
Primavera 2000. Roma, piazza del Campidoglio. Nella sala della Protomoteca del Comune , si è da poco conclusa la cerimonia per gli ottant’annni dell’attore, doppiatore,regista e sceneggiatore Alberto Sordi, cui è stata conferita dal primo cittadino, Francesco Rutelli, la fascia Tricolore di “sindaco per un giorno”. Concessosi ai flash dei fotografi, Sordi, facendosi largo tra la folla degli ammiratori, raggiunge l’automobile che lo condurrà in un noto ristorante del Centro storico. Arrivato, trova ad attenderlo all’ingresso del locale il collega Carlo Verdone, considerato dalla critica il suo erede e con il quale ha girato alcuni film come :“In viaggio con papà” e “Troppo forte”. I due, avviatisi insieme verso il tavolo riservato loro, si siedono in attesa di ordinare. “Bella, la cerimonia, eh Albe’?…emozionante,davvero emozionante!…”, esclama Verdone, interrotto da Sordi, che , con un gesto, gli fa segno di stare in silenzio. “Devo sta’ zitto, Albe’?…e perché?…’n’do’ guardi, oh?…”, chiede Verdone all’attore. “Sta’ zitto Carle’, che ci divertiamo!…dietro di te, nun te girà, ce stanno du’ coatti…famme senti’ che dicono!…” , replica Sordi, attratto da una coppia seduta al tavolo retrostante. “Teso’, ma lo sai che ‘st’anello è la fine der monno?…guarda ‘sto diamante come sbrilluccica, me sembra da essere Lady D, la “principessa del popolo”!…Teso’, grazie pe’ ‘sto regalo!…”, ringrazia la donna, continuando: “Teso’…tu pensa quanno lo farò vede’ alle amiche mie!…capirai, quelle, ‘n’vidiose come so’, rosicheranno ‘na cifra!…Teso’, comunque , sai che pensavo?, che st’altr’anno, invece che a Dragona, potemo anna’ n’vacanza in Sardegna…così, pe’ ‘na volta, famo i vips pure noi!…Io già me ce vedo sulla spiaggia de Porto Cervo…sdraiata sul lettino come quella, l’attrice, com’è che se chiama?…ah, la Marini!…Che dici, teso’, se po’ fa’?…”. “A, Elia’!, a Eliana, quante volte te l’ho detto: con me, tutto è possibile!…”, risponde il compagno, con piglio vanesio, “Voi anna’ a Porto Cervo, Elia’?…ed Ezio tuo te ce porta!…Aho, a Elia’, ma ‘sto cameriere quand’è che arriva,che ancora non avemo magnato niente!…Mo’, sai che faccio?, teso’, lo chiamo,così se spicciamo!…’A coso…vie’ ‘n po’ quaaa!…”, urla il giovanotto, attirando l’attenzione di un cameriere attempato, intento a servire a un tavolo, in fondo alla sala, che, nella fretta di raggiungerlo, scivola, battendo violentemente il coccige, proprio sotto i suoi occhi. “‘A nonne’, se semo fatti vecchiarelli, eh?…Aho’, appena te tiri su, portace du’ carbonare e ‘na bottiglia de vino bianco…me raccomando, fresco e non freddo, che c’ho lo stomaco delicato!…”. “‘A Carle’,ma hai visto che roba?…”, domanda Sordi, rivolgendosi a Verdone, “Hai visto chi sono gli italiani oggi?…A’ Carle’, io non ti nascondo che so’ quasi felice d’essere arrivato alla fine della mia carriera, perché se dovessi sta’ ar posto tuo, e c’avessi ancora tanti anni davanti, non saprei proprio che racconta’, non saprei proprio che inventarmi pe’ fa’ ridere la gente…anche perché ormai le persone hanno proprio perso il senso del ridicolo!…Sai che te dico Carle’?, io quasi quasi anticipo la pensione…e tanti saluti!…te ce lascio a te, co’ questi!…”. “No, Albe’, ma che stai a di’?…te, c’hai ancora molto da racconta de ‘sto Paese”, lo ammonisce Verdone, chiosando: “e poi, te ,non te nei poi anna’ così, perché altrimenti, a noi,chi ce fa ride’?…e allora Alberto’, altre ottanta di queste risate!…anzi, altre cento!…”.
“Negli ultimi anni è sempre più difficile far ridere, perché l’Italia,gli italiani hanno perso il senso del ridicolo”. Così, l’attore, doppitore, regista e sceneggiatore Alberto Sordi, confidava le sue impressioni sul cambiamento della società italiana al collega Carlo Verdone, in occasione del suo ottantesimo compleanno. Nato il 15 giugno del 1920 a Roma, in via Cosimato 7, nel Rione Trastevere, da Maria Righetti, maestra elementare, e da Pietro Sordi, professore di Musica e titolare di tuba contrabassa nell’orchestra del Teatro dell’Opera, cresce insieme con le sorelle Aurelia e Savina e con il fratello Giuseppe a Valmonte, comune alle porte della Capitale di cui è originario il padre e presso il quale frequenta la scuola Elementare “Armando Diaz”, dove ha modo di rivelare la sua attitudine per la recitazione e il canto, partecipando al teatro delle marionette e prendendo parte, grazie alla voce bianca da soprano, al coro della Cappella Sistina, diretto da Lorenzo Perosi. Quindi, approfondito lo studio del canto lirico , nel periodo dell’adoloscenza , si esibisce sulla scena operistica, che abbandona ben presto per dedicarsi pienamente al Teatro. Così, nel 1936, messo da parte il denaro ricavato dall’incisione di un disco di favole per bambini, si trasferisce a Milano per studiare all’Accademia dei Filodrammatici, lasciando incompiuti gli studi di ragioneria iniziati all’Istituto di Avviamento Commerciale “Giulio Romano”. L’esperienza milanese, però, si interrompe prematuramente , per la decisione dell’insegnante di Dizione di espellerlo, a causa di un’inflessione dialettale romanesca troppo accentuata, diffcile (a suo dire, impossibile) da correggere. Fatto ritorno a Roma, dunque, nel 1937, inizia a frequentare gli studi cinematografici di Cinecittà e a lavorare come comparsa in kolossal come “Scipione l’Africano” di Carmine Gallone, in cui interpreta un soldato romano. Tuttavia, venuto a conoscenza di un provino, indetto dalla Metro Goldwyn Mayer per l’ ingaggio da doppiatore del comico Oliver Hardy (l’Ollio della celebre coppia di comici americani Stanlio e Ollio), si presenta al concorso, persuadendo il direttore della nota casa di produzione statunitense a scritturarlo, grazie al suo timbro da basso, caldo e pastoso. Siamo nel 1939 , e il giovane Alberto, allora meglio conosciuto con lo pseudonimo di “Albert Odisor”, diventa la voce italiana di Hardy, condividendo la sala doppiaggio con Mauro Zambuto, alias Stanlio-Stan Laurel, fino al 1956. Nonostante il grande successo come doppiatore di Hardy, Sordi viene scritturato anche per altri doppiaggi di pellicole , tra cui: “La vita è meravigliosa” di Frank Capra e “Ladri di biciclette” di Vittorio De Sica. In quegli stessi anni, non rinuncia però al palcoscenico , partecipando, ora come figurante, ora come ballerino di fila, a spettacoli di rivista, messi in scena dalle compagnie di Aldo Fabrizi e Anna Fougez e di Guido Riccioli e Nanda Primavera. Poi, nel 1940, con l’entrata dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale , è chiamato al fronte, arruolandosi , grazie al padre musicista, nella banda dell’81° Reggimento Fanteria di Torino. Protagonista negli anni del conflitto e del Dopoguerra di riviste interpretate al fianco della vedette Wanda Osiris, fra il 1946 e il 1953, anima i varietà radiofonici della Rai, ideando numerosi personaggi , tra i quali: “I compagnucci della parrocchietta”, pungente caricatura dei giovani iscritti all’Azione cattolica. Proprio una di queste, attira l’attenzione del regista e attore, tra i padri del Neorealismo, Vittorio De Sica, che, nel 1951, lo scrittura per il film da lui prodotto: “Mamma mia che impressione!”,sceneggiato da Cesare Zavattini e diretto da Roberto Savarese. Altra caratterizzazione radiofonica ad essere prestata al cinema, poi, è quella di “Mario Pio“, presente nella pellicola del 1953 “Ci troviamo in galleria“, esordio del regista Mauro Bolognini. Sordi , è notato dagli addetti ai lavori per la sua comicità sorniona, tutta mimica e gesti,ma non riesce ancora ad affermarsi : seguono dunque ruoli minori, in commedie e film “leggeri”, come “I 3 aquilotti” di Mario Mattoli, “L’Innocente Casimiro” di Carlo Campogalliani, “Che tempi!”, versione cinematografica della commedia teatrale “Pignasecca e Pignaverde” di Emerico Valentinetti, “Lo scocciatore(Via Padova 46)”, diretto nel 1953 da Giorgio Bianchi, fino a quando l’incontro e l’amicizia con il giovane disegnatore, con il pallino della macchina da presa, Federico Fellino, si traduce nella sua prima pellicola da protagonista: “Lo sceicco bianco“, un insuccesso di pubblico e di critica, preludio ai più fortunati film: “I vitelloni“(sempre diretto da Fellini), “Un giorno in pretura”, “Un americano a Roma” e “Piccola posta”,diretti invece da Steno, nei quali propone il personaggio del giovane scansafatiche, con il mito dell’America e degli americani, “Ferdinando Moriconi” detto: “Nando“. Fra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta,quindi, porta sul grande schermo l’italiano medio: dal maestro di scuola pronto a fare di un bambino un piccolo prodigio per ottenere le luci della ribalta di “Bravissimo“, diretto da Luigi Filippo D’Amico, al gondoliere donnaiolo impenitente di “Venezia la luna e tu” di Dino Risi, passando per il giornalaio che sogna l’alta società de “Il Conte Max”di Giorgio Bianchi, l’imprenditore squattrinato einconcludente , vessato dalla moglie ricca de “Il vedovo“, ancora di Dino Risi, e il censore dalla ferrea morale , in realtà, reclutatore di ballerine di night club de “Il moralista” di Giorgio Bianchi. Poi, verso la metà del decennio Sessanta e nei Settanta , il riso si fa amaro e la commedia diviene tragedia, portando nelle sale uomini codardi, soldati per costrizione , che la guerra trasforma in eroi (“La grande guerra” di Mario Monicelli, “Tutti a casa” di Luigi Comencini, “Una vita difficile” di Dino Risi), vigilli e camerieri costretti a ubbidire al potente di turno (“Il Vigile” di Luigi Zampa), “Lo scopone scientifico” di Luigi Comencini), borghesi e piccolo borghesi che l’ambizione spinge a farsi largo con il talento (“Guglielmo il Dentone“, episodio de “I complessi” di Luigi Filippo D’Amico) o con il compromesso bieco (“Il medico della mutua” di Luigi Zampa, “Il prof. Dott. Guido Tersilli primario della clinica Villa Celeste convenzionata con le mutue” di Luciano Salce) e italiani medi sopraffatti dall’ingiustizia e indotti dalla disperazione a farsi giustizia da sé (“Detenuto in attesa di giudizio” di Nanni Loy e “Un borghese piccolo piccolo” di Mario Monicelli). Senza contare le pellicole da lui dirette e interpretate , nella doppia veste di regista e attore, quali: “Fumo di Londra“, sui comportamenti dell’italiano all’estero, e la trilogia con Monica Vitti: “Polvere di stelle“, cronaca della disperata sopravvivenza in tempi di guerra di una compagnia di avanspettacolo, omaggio al genere della rivista anni Quaranta, “Amore mio aiutami“e “Io so che tu sai che io so”, disamina sui rapporti coniugali, basati su convenzioni di facciata e attraversati da ipocrisie e tradimenti. Tante poi, su questo solco, le dinamiche sociali e di attualità affrontate dall’ “Albertone nazionale”, per certi versi interprete e autore profetico nel rivelare in anticipo il cambiamento dei costumi degli italiani nei film girati nel ventennio Settanta-Ottanta, sceneggiati , tra gli altri, da Rodolfo Sonego e da Piero De Bernardi, quali: ” Bello onesto emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata” di Luigi Zampa, sulla solitudine degli italiani immigrati all’estero, “Le vacanze intelligenti“, episodio di“Dove vai in vacanza” da lui diretto , satira nei confronti della cultura “alta” e snob nei confronti del popolo, “Io e Caterina“,sempre con la sua regia, incentrato sull’umanizzazione dei robot, “Sono un fenomeno paranormale” di Sergio Corbucci, sul bisogno di credere dell’uomo, “Il tassinaro”, “Un tassinaro a New York”, “In viaggio con papà”, “Tutti dentro”, “Nestore l’ultima corsa” e “Incontri proibiti“, tutti diretti da lui e incentrati sulla ricerca di un riscatto da parte delle classi meno abbienti, sull’incomunicabilità padre-figlio, sulla corruzione politica e l’esposizione mediatica della Magistratura, sulll’indifferenza della società nei confronti degli anziani e sull’amore senile. Presenti poi nella sua filmografia anche alcune caratterizzazioni in costume d’epoca e non come: “Il malato immaginario” e “L’avaro” di Tonino Cervi, (pellicole desunte dalle omonime opere di Molière), “Il marchese del Grillo” di Mario Monicelli, “Nell’anno del Signore” e “In nome del popolo sovrano” di Luigi Magni e “Troppo forte” di Carlo Verdone. Attore amato anche dal pubblico televisivo, non si risparmia partecipazioni a programmi passati alla storia, come “Studio Uno“, trasmissione del primo e unico canale nazionale, condotta da Mina, in cui, nel 1966, elogiando la beltà della cantante e conduttrice, duetta con lei sulle note di “Breve amore“, tema del film “Fumo di Londra“, appena uscito nelle sale. Altrettanto indimenticabili: l’ideazione e la conduzione del programma “Storia di un italiano“, in onda su Rai Due nel 1979, la sua presenza al Festival della canzone italiana del 1981 , nella veste di cantante dell’ironico brano “E va’…E va’” e l’interpretazione , nel 1989, del ruolo di “Don Abbondio” nella trasposizione televisiva del romanzo di Alessandro Manzoni “I Promessi Sposi”, diretta da Salvatore Nocita . Per non parlare della sua ultima apparizione in un video del 2001 inviato ai direttori e al pubblico del Teatro Ambra Jovinelli di Roma per scusarsi dell’assenza a una serata in suo onore, dovuta alle cagionevoli condizioni di salute. Sindaco per un giorno nel 2002, per festeggiare gli ottant’anni, insignito nel corso della sua lunga carriera di premi (5 Nastri d’Argento, 7 David di Donatello, 1 Orso d’Oro al Festival di Berlino e un Leone d’Oro alla carriera al Festiva del cinema di Venezia) e di lauree honoris causa , nell’ultimo periodo della sua vita, lontano dai riflettori e da ogni spettacolarizzazione, si interessa tanto all’assistenza e alla cura degli anziani, supportando con la sua fondazione il Campus Biomedico di Roma, quanto al sostegno dei giovani talenti. Già malato da qualche anno, infatti, si spegne la sera del 24 febbraio, all’età di 82 anni, nella sua villa,poco distante dalle Terme di Caracalla (divenuta , proprio quest’anno , in occasione del centenario della nascita , un museo visitabile a lui dedicato), circondato dall’affetto della sorella Aurelia e dai suoi cari. Salutato da amici, colleghi e ammiratori presso la Sala delle Armi del Campidoglio e con funerali solenni alla presenza di 250.000 persone, svoltisi presso la Basilica di San Giovanni in Laterano, schivo in privato, ma sempre pronto a far ridere il suo pubblico, a cui ha generosamente donato l’intera esistenza (pur serbando nel cuore l’indelebile ricordo del grande amore per l’attrice Andreina Pagnani), a chi ,un giorno, gli chiese se fosse mai triste e , se sì, a chi rivelasse il suo stato d’animo, rispose: “Io, la tristezza la nascondo. Perché a nessuno importa niente della mia tristezza, delle mie malinconie, per cui non mi confido mai. La tristezza la tengo per me”.
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