Mar. Mar 19th, 2024

ROMA- Negli ultimi 8 anni  abbiamo perso quasi 158.000 imprese attive tra botteghe artigiane e piccoli negozi di vicinato. Di queste, oltre 145.000 operavano nell’artigianato e poco più di 12.000 nel piccolo commercio. La CGIA stima che a seguito di queste chiusure abbiano perso il lavoro poco meno di 400.000 addetti.

“La crisi, il calo dei consumi, le tasse, la burocrazia, la mancanza di credito e l’impennata del costo degli affitti – denuncia il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – sono le principali cause che hanno costretto molti piccoli imprenditori ad abbassare definitivamente la saracinesca della propria bottega. Se, inoltre, teniamo conto che negli ultimi 15 anni le politiche commerciali della grande distribuzione si sono fatte sempre più mirate ed aggressive, per molti artigiani e piccoli negozianti non c’è stata via di scampo. L’unica soluzione è stata quella di gettare definitivamente la spugna”. La caduta, purtroppo, è continuata anche negli ultimi 12 mesi: tra il giugno di quest’anno e lo stesso mese del 2016 il numero delle imprese attive nell’artigianato e nel commercio al dettaglio è sceso di 25.604 unità (-1,2 per cento).

In questi ultimi 8 anni, lo stock complessivo delle imprese attive nell’artigianato è costantemente sceso da 1.463.318 a 1.322.640, le attività del commercio al dettaglio, invece, sono diminuite in misura più contenuta. Se nel 2009 erano 805.147, nel giugno di quest’anno si sono attestate a quota 793.102 (vedi Graf. 1) Le categorie artigiane che dal 2009 hanno subito le contrazioni più importanti sono state quelle degli autotrasportatori (-30 per cento), i falegnami (-27,7 per cento), gli edili (-27,6 per cento) e i produttori di mobili (-23,8 per cento). In contro tendenza, invece, il numero di parrucchieri ed estetisti (+2,4 per cento), gli alimentaristi (+2,8 per cento), i taxisti/autonoleggiatori (+6,6 per cento), le gelaterie/pasticcerie/take away (+16,6 per cento), i designer (+44,8 per cento) e i riparatori/manutentori/installatori di macchine (+58 per cento) (vedi Tab. 2).

“Al di là della necessità di rilanciare la crescita e conseguentemente anche l’occupazione – spiega Renato Mason segretario della CGIA – è necessario recuperare la svalutazione culturale che ha subito in questi ultimi decenni il lavoro artigiano. Anche se bisogna evidenziare che attraverso le riforme della scuola avvenute in questi ultimi anni, il nuovo Testo unico sull’apprendistato del 2011 e le novità introdotte con il Jobs act, sono stati realizzati dei passi importanti verso la giusta direzione, ma tutto ciò non è stato ancora sufficiente per invertire la tendenza”.

Dunque, per il rilancio dell’artigianato, una volta vero e proprio fiore all’occhiello del Made in Italy, non sarà sufficiente l’uscita dall’attuale stato di crisi economica, ma ci vorrà anche uno sforzo culturale, che porti a una radicale riconsiderazione del valore sociale del lavoro artigianale che con l’avvento della rivoluzione digitale subirà dei cambiamenti epocali. Una prospettiva assolutamente da perseguire, perché potrebbe aprire tante nuove opportunità di lavoro a migliaia e migliaia di giovani.

Ritornando ai dati, il Sud è stata la ripartizione geografica più colpita dalla chiusura delle attività artigianali. Sempre dal giugno del 2009 allo stesso mese di quest’anno, la diminuzione è stata del 12,4 per cento: Sardegna (-17,1 per cento), Abruzzo (-14,5 per cento), Sicilia (-13,5 per cento), Molise (-13,2 per cento) e la Basilicata (-13,1 per cento) sono state le regioni che hanno subito la contrazione più forte. In termini assoluti, invece, è la Lombardia (-18.652) il territorio che ha registrato il numero di chiusure più elevato. Seguono l’Emilia Romagna (-16.466), il Piemonte (-15.333) e il Veneto (-14.883). Anche nell’ultimo anno la contrazione del numero delle imprese artigiane attive nel paese ha interessato tutte le 20 regioni d’Italia (vedi Tab. 3). Una delle principali cause che hanno costretto alla chiusura di queste 158.000 imprese artigiane e piccole attività commerciali è riconducibile al calo dei consumi delle famiglie. Queste attività, infatti, lavorano quasi esclusivamente per il mercato domestico e sebbene negli ultimi 3 anni i consumi sono tornati a salire, i benefici di questa crescita hanno interessato quasi esclusivamente la grande distribuzione organizzata. Dal 2006 al 2016, ad esempio, il valore delle vendite al dettaglio della piccola distribuzione (artigianato di servizio e piccoli negozi di vicinato) è crollato del 13,1 per cento; nella grande distribuzione, invece, è aumentato del 6,2 per cento. Questo trend è proseguito anche nei primi 6 mesi di quest’anno: mentre nei supermercati, nei discount, nei grandi magazzini le vendite sono aumentate dell’1,3 per cento, nei piccoli negozi la diminuzione è stata dello 0,6 per cento.