
ROMA –E sì, l’ottimismo dei politici fa proprio a cazzotti con la realtà quotidiana. Ed è proprio dalla realtà dei fatti che emergono le contraddizioni che non sposano l’entusiasmo che ogni giorno sentiamo uscire dalle bocche di chi ci governa.
È stato presentato a Roma, nell’imminenza della prima Giornata mondiale dei Poveri del 19 novembre, il “Rapporto su povertà giovanili ed esclusione sociale in Italia” realizzato da Caritas Italiana. La 16a edizione del Rapporto povertà, dal titolo “Futuro anteriore”, si concentra quest’anno sul tema della povertà giovanile in Italia e in Europa. Questa scelta è in sintonia con l’attenzione di tutta la Chiesa alle future generazioni.
Sulla base di dati pubblici e di fonte Caritas, aggiornati al 2017, La crisi economica ci lascia un piccolo “esercito” di poveri, superiore per entità a quello della popolazione di un’intera regione italiana. Uno sguardo complessivo al testo del Rapporto mette in luce aspetti e zone d’ombra di varia natura. In primis il divario intergenerazionale in termini socio-economici che penalizza i giovani nei confronti delle classi di età più anziane, meglio retribuite e con maggiori livelli di protezione sociale. Ma poi ci sono molte altre forme di povertà: la povertà culturale e i fenomeni di dispersione scolastica; la disoccupazione, da cui deriva in parte il tema dei giovani Neet, privi di lavoro e fuori dal circuito educativo-formativo; la condizione di vita delle nuove generazioni di stranieri, con particolare attenzione ai rifugiati e richiedenti asilo; le nuove e vecchie forme di dipendenza; il difficile accesso dei giovani alla casa, che ostacola e inibisce sul nascere la “voglia di futuro” delle nuove generazioni. Tutte situazioni rilevate nelle parrocchie e nei centri Caritas.
Le nuove forme di povertà giovanili non possono essere solamente di tipo tradizionale, e devono necessariamente spingersi oltre la stretta dimensione dell’aiuto materiale. Occorre investire molto sull’aspetto educativo, sulla formazione, sulla componente motivazionale e di autonomia personale, in modo da garantire ai ragazzi in difficoltà forme personalizzate di accompagnamento e orientamento. Colpisce a tale riguardo il dato che quasi il settanta percento dei giovani tra 18 e 24 anni che si rivolgono ai centri di ascolto Caritas hanno un livello di educazione uguale o inferiore alla licenza media inferiore.
Anche in epoca di post-crisi i dati di Eurostat ci consegnano un’Europa segnata da forti livelli di povertà ed esclusione sociale. Ricordiamo che nel marzo del 2010 l’Unione Europea ha varato la Strategia Europa 20201 , allo scopo di promuovere nell’Unione una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Attraverso l’adozione di un approccio di partenariato fra l’UE e gli Stati membri, l’obiettivo della nuova Strategia Europa 2020 è quello di creare un’economia europea competitiva e basata sulla conoscenza, in grado di conservare il modello di economia sociale di mercato, superare i limiti della precedente Strategia di Lisbona e garantire l’uso efficiente delle risorse disponibili.
L’Italia è seconda solamente alla Spagna nel numero di persone che dal 2010 al 2015 hanno peggiorato la loro condizione economica . Seguono il Regno Unito (982mila persone in più) e la Grecia (782mila). Sul versante opposto, come dicevamo in precedenza, vi sono invece paesi europei dove il numero di persone a rischio di povertà è diminuito: 2 milioni 731mila poveri in meno in Polonia; 1 milione 680mila poveri in meno in Romania; 439mila in meno in Bulgaria e 262mila in Germania. L’indicatore sintetico di grave deprivazione materiale, concordato in sede Eurostat, si basa sulla valutazione di una pluralità di sintomi di disagio che rilevano la mancanza di possesso di specifici beni durevoli, l’impossibilità di svolgere alcune attività essenziali o di rispettare le scadenze di pagamenti ricorrenti, a causa di problemi economici. L’aumento del numero di persone in grave deprivazione in Italia è stato il più elevato di tutta l’Europa, superando di gran lunga quello che è avvenuto in Grecia e in Spagna, i due “paesi deboli” dell’Unione, maggiormente colpiti dalla recente crisi economico-finanziaria. in Italia esiste una misura più severa di povertà – quella assoluta- che rileva la quota di persone (o famiglie) che non riescono a raggiungere un livello di vita “dignitoso”, cioè socialmente accettabile. La soglia di povertà assoluta rappresenta il valore monetario di quel paniere di beni e servizi (alimentazione adeguata, abitazione, vestiario, salute, ecc.) ritenuti essenziali per ciascuna famiglia, calcolata in base al numero e all’età dei componenti, alla ripartizione geografica e alla dimensione del comune di residenza. Una famiglia è quindi definita assolutamente povera se sostiene una spesa mensile per consumi pari o inferiore a tale valore monetario5 . Secondo questa definizione, in Italia vivono in uno stato di grave povertà 4 milioni 742mila persone (il 7,9% dei residenti), un totale di 1 milione e 619mila famiglie (pari al 6,3% dei nuclei familiari). Anche nel 2016 si registra un lieve incremento dell’incidenza della povertà, disattendendo la speranza di un miglioramento, di un cambio di tendenza di quel trend negativo che ormai dal 2007 appare continuo e inarrestabile (l’unica eccezione è stata la lieve flessione del 2014) (cfr. Graf. 5). In termini percentuali nell’ultimo decennio si è registrato un incremento del 165,2% del numero dei poveri.
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