
ROMA -Tanti sono i film usciti nelle sale a Maggio, come Dogman di Matteo Garrone, con Marcello Fonte che ha vinto la Palma d’oro a Cannes.
Tra i film d’autore, è da pochi giorni al cinema, “Stato di Ebbrezza” che affronta le mancanze, le perdite dell’anima.
Si parla poco di fragilità in questa società, dove bisogna essere invincibili, ma il regista Luca Biglione ha il coraggio di raccontarla.
Scendere negli abissi della mente, cadere nelle dipendenze e nelle ossessioni che essa ti offre. Spegnere la luce, trovarsi inconsapevolmente al buio.
Stato di Ebbrezza racconta senza giri di parole la vera storia di Maria Rossi , una giovane comica dipendente dall’alcool e da quelle paure spietate che arrivano nella vita improvvisamente e ti fanno perdere il senso della vita. La donna, interpretata con grande senso di rispetto dall’attrice Francesca Inaudi, dopo una grande perdita, perde il controllo della sua vita e si ritrova così in una clinica psichiatra. Tra le pareti bianche di un posto che non pensava mai di dover chiamare casa, la Inaudi ci mostra con schiettezza le fasi della dipendenza. È arrivato per Maria il momento di fare i conti con se stessa.
In una delle scene iniziali, Maria si ritrova ad avere un confronto con la dottoressa della clinica, interpretata da Emanuela Grimalda . La dottoressa ha il coraggio di chiedere ciò che nessuno chiede a Maria: << Cosa è successo tre anni fa?>>
<< Non saprei.>> risponde Maria con lo sguardo che si perde nel nulla, il senso di adeguatezza prende il sopravvento e forse è proprio qui che inizia il film. Inizia da quel:” Non saprei”. Da quel nascondere il dolore per non doverlo affrontare, invece il dolore è lì e ti aspetta in una sfida corpo a corpo senza pausa.
Durante la narrazione, Maria conosce i vari pazienti dell’ospedale e in loro riconosce quelle fragilità che ormai la appartengono e la controllano senza sosta. C’è la donna ossessionata dalla pulizia ( Antonia Truppo), il ragazzo che ha perso ogni cosa per l’errore di una notte. Lo spettatore si ritrova così spiazzato nella fragilità di ogni personaggio, in quel senso di dispersione e perdita di controllo che caratterizza ognuno di loro. Particolare e intenso è sicuramente il personaggio di Beatrice, una giovane madre tossicodipendente e suicida. Beatrice si rivela nel corso della narrazione il vero e proprio specchio umano per ogni personaggio di questa storia. L’Interpretazione forte e intensa di Melania Dalla Costa, che la consacra come un’attrice di spessore e umanità, é un pugno allo stomaco che ci porta nell’essenza del dolore.
Melania Dalla Costa ricorda Angelina Jolie in “Ragazze Interrotte” con il personaggio di Lisa, consacrandola una delle attrici di talento e da non perdere di vista, del cinema italiano.
Dopo l’ennesimo tentativo di suicidio, Beatrice si confida con le ragazze della clinica: << Ho fatto di tutto per allontanare mio marito e mia figlia. Come se fuggissi dalla felicità. Come se non la meritassi.>>
É in quelle parole dolorose che lo spettatore comprende, conosce e impara ad amare la concreta fragilità di questo film.
Tra Maria e Beatrice nasce un’amicizia intensa, solida, fatta di sguardi e di sostegno reciproco, di promesse, e di voglia di sopravvivere a tutto ció che fa male.
<< Io non funziono senza mia figlia.>>
Afferma Beatrice, seduta sulle scale.
<< Io non funziono se non faccio ridere.>> la segue senza esitare Maria.
In quel botta e risposta si trova la forza sui cui entrambe le donne hanno bisogno di appoggiarsi e ritrovare ció che avevano perduto.
E così pian piano, Maria ritrova ció che aveva perso. Affronta le sue mancanze, il rapporto difficile ma profondo con suo padre, interpretato da un Andrea Rocanto sensibile e attento.
“ Se c’è qualcuno che deve morire, quella non sei tu”, afferma suo padre prima di morire.
A quel padre, Maria promette di non bere più. Perché ora non é arrivato il tempo di morire, perché amare significa anche lasciar andare le persone che si amano. Perché rinascere é possibile. Forse non facile, ma possibile.
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