
Inverno 2019. Napoli, Piazza del Gesù. A poche settimane dal Natale, la folla si riversa per le strade gelide del Centro storico in cerca di svendite e di mercatini del baratto e dell’usato, simulando una mite gaiezza, subito smentita dalla furiosa esplosione di una ressa di fronte all’ultimo paio di scarpe vendute da un ambulante all’ingresso della Chiesa di Santa Chiara. Lungo la strada, ghirlande rigogliose di vischio , fiori rossi di carta pesta e lunimarie scintillanti vestono a festa le vetrine dei negozi, all’interno dei quali commesse trafelate assecondano le richieste dei numerosi clienti in attesa, mentre alcuni musicisti al centro della piazza intrattengono i passanti curiosi, suonando un repertorio inconsueto : non cori Gospel né dolci Carole inneggianti a Gesù Bambino o a Babbo Natale,ma il “canzoniere” di Fabrizio, “Faber”, De André. Il gruppo, tutto di adulti sulla quarantina, composto da una chitarra classica, due cantanti e un bassista, suona “Bocca di rosa” e “La canzone di Marinella” , destando l’attenzione di una comitiva di adolescenti, che, avvicinatisi al termine dell’esibizione, inizia a fare delle domande. “Salve!…ma questa musica che fate è un po’ vecchia o sbaglio?…No, perché in giro non si sente!…A noi, ci piacciono i rappér, i trappèr…ma voi non li conoscete?…”, domanda uno dei ragazzi, cui risponde il chitarrista: “Ah!…così, voi vorreste sentire i rappèr e i trappèr?…E mi dispiace, qua, in questa piazza, da noi, non li sentirete!…qua, si suona e si ascolta solo De André, che è un grande cantautore, che si studia pure a scuola…ma mi sa che voi, con la scuola ci state un po’ litigati!…Uagliu’,io , se fossi in voi, mo’ che tornate a casa, mi farei una bella ricerca su Internèt…e poi, mi ascolterei tutte le sue canzoni, che sono degli autentici capolavori!…Io, vi posso solo dire che i protagonisti dei suoi brani sono gli ultimi: i poveri, le prostitute, gli emarginati…De André canta le loro storie con la tenerezza della poesia, con i suoni dolci delle rime, come se volesse accarezzare le loro solitudini, le loro amarezze…”. “Ah, sì?…e quelli pure i rappér s i trappér cantano gli emarginati!…”, ribatte un altro tra i ragazzi, incalzato da uno dei cantanti: “Sì, ma c’è una differenza: De André è un poeta…anche il letame nei suoi versi si trasforma in un fiore…Nei testi dei rappér e dei trappèr che vi piacciono tanto, invece, questa poesia, spesso, non c’è…anzi, al contrario c’è violenza, sopraffazione, abbrutimento!…Uagliù, ricordatevelo: De André è l’eroe degli anti-eroi…l’eroe degli anarchici, delle donne e degli uomini liberi, delle donne e degli uomini sempre controcorrente, sempre in direzione ostinata e contraria!…”.
“Pensavo è bello che dove finiscono le mie dita , in qualche modo debba incominciare una chitarra”. Con queste parole, in un’intervista rilasciata a un quotidiano qualche anno prima di morire,il cantautore Fabrizio De André rendeva omaggio allo strumento musicale che, negli anni, lo aveva accompagnato e al cui studio ,”un po’ per noia e un po’ per gioco“, come raccontava, aveva dedicato la vita. Nato a Genova il 18 febbraio 1940, da Giuseppe, torinese,amministratore delegato dell’azienda Eridania e vicesindaco della città, e da Luigia Amerio, anch’essa di origini piemontesi, durante la Seconda Guerra Mondiale si trasferisce con la famiglia alla Cascina dell’Orto di Ravignano d’Asti per poi rientrare in Liguria a conflitto terminato, dove cresce insieme con il fratello maggiore Mauro e dove frequenta una scuola elementare privata ,retta da suore, che abbandona alle Medie. Il suo comportamento definito “sopra le righe” e “privo di schemi“, gli impedisce una convivenza pacifica con i professori e per questo motivo i genitori sono costretti a iscriverlo nuovamente a un istituto religioso, il complesso scolastico gesuita dell’Arecco. Qui, tra i rampolli della “Genova bene”, è vittima di molestie da parte di un sacerdote cui reagisce denunciando l’accaduto al padre , che , dopo una breve inchiesta del Perovveditore agli studi e delle autorità competenti, ne ottiene l’allontanamento e l’espulsione dall’ordine del religioso. Studia poi presso il Liceo Classico “Cristoforo Colombo” e, conseguita la Maturità, indeciso tra le Facoltà di Lettere, Medicina e Giurisprudenza, opta per quest’ultima, disposto a seguire le orme paterne ,come del resto aveva già fatto il fratello maggiore. Tuttavia, non porta a termine gli studi e si ferma a soli sei esami dalla laurea. L’incontro con la musica, infatti, sconvolge i suoi piani e comincia a suonare la chitarra, emulando i cantautori francesi impegnati, quali: Georges Brassens o Jacques Brel, dei quali traduce i testi delle canzoni, e a scoprire il Jazz attraverso “gli amici d’arte” (Luigi Tenco, Umberto Bindi e Gino Paoli). A vent’anni, dopo aver condotto una vita sregolata, fatta di esperienze anticonvenzionali e di lavori saltuari (musicista a bordo di navi da crociera) si sposa con Enrica Rignon detta “Puny”, con la quale ha il figlio Cristiano e , messe da parte le aspirazioni artistiche , trova un impiego come insegnante presso un istituto privato. Non potendo sottrarsi al suo destino di “cantastorie”, però, nell’ottobre del 1961 pubblica con la casa discografica Karim il suo primo 45 giri, contenente due brani: “Nuvole barocche” ed “E fu la notte“. Poi, fra il 1961 e il 1964 sostiene alla SIAE di Roma un provino in veste di autore,affermandosi come interprete colto e raffinato di tematiche sociali, affrontate con metafore poetiche chiare e semplici che rendono il suo lingiuaggio inconfondibile. Nel 1966, quindi, pubblica l’album di esordio: “Tutto Fabrizio De André” ,cui seguono i “Concept”, “Volume primo” del 1967 (con la canzone d’apertura “Preghiera in gennaio”, scritta a poche ore di distanza dal suicidio dell’amico Luigi Tenco), “Tutti morimmo a stento” del 1968 (legato alla poetica di Francois Villon, per la cui scrittura collabora con il poeta Riccardo Mabberini) e , “La buona novella” del novembre 1970, in cui reinterpreta il messaggio cristiano alla luce dei Vangeli apocrifi (il Protovangelo di Giacomo e il Vangelo arabo dell’infanzia). De André saluta questo album come “il più riuscito“, aggiungendo: “Io mi ritengo religioso e la mia religiosità consiste nel sentirmi parte di un tutto, anello di una catena che comprende tutto il Creato e quindi nel rispettare tutti gli elementi , piante e minerali compresi, perché, secondo me, l’equilibrio è dato proprio dal benessere diffuso in ciò che ci circonda. La mia religiosità non arriva a ricercare il Principio, che tu voglia chiamarlo Creatore , Regolatore o Caos non fa differenza. Però penso che tutto quello che abbiamo intorno abbia una sua logica e questo è un pensiero al quale mi rivolgo quando sono in difficoltà, magari dandogli i nomi che ho imparato da bambino, forse perché mi manca la fantasia per crearne altri”. Più tardi, ritorna sull’argomento: “Quando scrissi “La buona novella” era il 1969. Si era, quindi, in piena rivolta studentesca e le persone molto attente, che poi sono sempre la maggioranza di noi, compagni , amici, coetanei, considerarono quel disco come anacronistico. Mi dicevano: “Cosa stai a raccontare della predicazione di Cristo, mentre noi facciamo a botte per cercare di difenderci dall’autoritarismo del potere, dagli abusi, dai soprusi”…Non avevano capito, almeno i meno attenti tra loro, come “La buona novella“, fosse un’allegoria. Paragonava le istanze migliori e più ragionevoli del movimento sessanttottino , cui io stesso partecipavo, con quelle , molto più vaste spiritualmente , di un uomo di 1968 anni prima, che proprio per contrastare gli abusi del potere si era fatto inchiodare su una Croce , in nome della fratellanza e di un egualitarismo universali”. I musicisti che lo supportano nell’esecuzione del disco sono: “I Quelli“, destinati a cambiare nome in “Premiata Forneria Marconi“, il cui leader , Mauro Pagani, continua il sodalizio con lui fino agli anni Ottanta. Nel 1971 pubblica : “Non al denaro, non all’amore né al cielo”, libero adattamento di alcune poesie dell’Antologia di Spoon River (opera poetica di Edgar Lee Masters) realizzato in collaborazione con l’auotore Giuseppe Bentivoglio (già coautore della canzone “La ballata degl’impiccati“, presente nell’album “Tutti morimmo a stento“), con la traduttrice dell’opera : Fernanda Pivano, che, in epoca di censure e proibizioni fasciste (1943), aveva dato luogo , per la casa editrice Einaudi, alla prima versione italiana del testo, e con il musicista Nicola Piovani. L’opera di Master e la riscrittura di De André presentano in forma poetica una serie di epitaffi che raccontano le storie di alcuni defunti, abitanti di Lewistown, cittadina americana dell’Illinois accanto al fiume Spoon, pervasa dall’ipocrisia e dal finto perbenismo. Ecco una dichiarazione rilasciata dall’artista riguardo all‘Antologia: “Avrò avuto diciotto anni quando ho letto Spoon River. Mi era piaciuto , forse perché in quei personaggi trovavo qualcosa di me. Nel disco si parla di vizi e di virtù: è chiaro che la virtù mi interessa di meno, perché non va migliorata. Invece, il vizio lo si può migliorare : solo così un discorso può essere produttivo; il personaggio che sento più vicino è il Suonatore Jones che “offrì la faccia al vento, la gola al vino e non un pensiero al denaro, all’amore e al cielo”. Nel 1973, ragala agli ascoltatori , in piena età stragista: “La storia di un impiegato“, in cui , ancora una volta, insieme con Giuseppe Bentivoglio, narra la storia di un impiegato durante il maggio del 1968; il disco, a sfondo politico, viene attaccato dagli esponenti del movimento studentesco e dai giornalisti vicini agli ambienti della sinistra, come Enrico Deregibus che si esprime in tal modo: “L’album è uno dei più confusi. La vena anarchica di De André deve fondersi con quella marxista di Bentivoglio e spesso i punti di sutura e di contraddizione sono fin troppo evidenti. Non a caso è l’ultimo episodio della collaborazione tra i due”. Nello stesso anno termina il matrimonio con “Puny” dalla quale si separa, per poi incontrare nel 1974 , in una sala di registrazione milanese, la cantante Dori Ghezzi , sposata il 7 dicembre 1989. Gli anni compresi fra il 1974 e il 1979 sono funestati da molteplici eventi negativi: la crisi creativa, il conseguente ritiro dalle scene per un periodo e il successivo ritorno segnato dalla decisione di esibirsi in tournée e in concerti dal vivo (fino a quel momento aveva sempre rifiutato proposte in tal senso, a causa del sua timidezza). Nel 1979, spiato dai Servizi segreti e dalla Polizia, convinti di un suo coinvolgimento e di una complicità con gruppi terroristici eversivi quali: le Brigate rosse , viene rapito dall’Anonima sequestri,insieme con la compagna Dori, nella sua tenuta dell’Agnata , in Sardegna. Il tragico episodio si conclude , dopo alcune mesi , con il pagamento del riscatto da parte di suo padre e, con la liberazione dei due ostaggi . A poche ore dal rilascio , l’ artista ricostruisce il terribile accadimento alla presenza di numerosi giornalisti: “Ci consentivano, a volte, di rimanere a lungo slegati e senza bende”, ed ha parole di pietà per i suoi carcerieri : “Noi ne siamo venuti furoi, mentre loro non potranno farlo mai. Loro appartengono al proletariato periferico e, perciò, meritano il nostro perdono, ma i mandanti no!, perché sono persone economicamente agiate”. E ancora: “Durante il rapimento mi ha aiutato la Fede negli uomini, proprio dove latitava la Fede in Dio. Ho sempre detto che Dio è un’invenzione dell’uomo, qualcosa di utilitaristico, una toppa sulla nostra fragilità… Ma, tuttavia, col sequestro, qualcosa si è mosso; non che abbia cambiato idea, ma è certo che bestemmiare oggi, come minimo, mi imbarazza!“. Ed esorcizzando l’incubo del rapimento , nel 1981, consegna al pubblico l’album: “L’indiano”, in cui esplora sonorità e realtà linguistiche regionali, confrontando il Colonialismo subito dai Sardi con quello subuito dai Pellerossa, nativi americani. Nel 1984, pubblica il disco: “Creuza de ma“, dedicato al Mediterraneo e ai suoi popoli e cantanto completamente in lingua genovese, lingua di mercanti, navigatori, ricca di contaminazioni dal Greco, dall’Arabo, dallo spagnolo, dal francese e dall’inglese. All’uscita dell’album , De André dice: “Creuza è stato il miracolo di un incontro simultaneo tra un linguaggio musicale e una lingua letteraria entrambi inventati. Ho usato la lingua del mare , un esperanto dove le parole hanno il ritmo della voga, del marinaio che tira le reti e spinge sui remi. Mi piacerebbe che Creuza fosse il veicolo per far penetrare nelle orecchie dei genovesi (e non solo nelle loro) suoni etnici che appartengono alla loro cultura, assieme ai temi del mare, del viaggio e delle avventure dei marinari”. Nel 1988, collabora con i cantautori Ivano Fossati e Francesco De Gregori( con quest’ultimo aveva già lavorato , nel 1975, alla traduzione di alcune ballate del folk singer americano Bob Dylan e del cantautore-poeta-narratore, Leonard Cohen ,confuite nell’album “Volume ottavo“) alla stesura del brano: “Questi posti davanti al mare” inciso, poi, da Fossati nel suo disco “La pianta del tè“. Nel 1990, invece, incide “Le nuvole” dal titolo che rimanda alla omonima commedia di Aristofane, umorista greco del V secolo a. C. e che, lo stesso De André, spiega in tal modo: “Le mie nuvole sono da intendersi come quei personaggi ingombranti e incombenti nella nostra vita sociale, politica ed economica; sono tutti coloro che hanno terrore del nuovo, perché il nuovo potrebbe sovvertire le loro posizioni di potere. Nelle seconda parte dell’album, si muove il popolo, che quelle Nuvole subisce senza dare peraltro nessun evidente segno di protesta”. Nel 1996 pubblica il disco : “Anime salve“, incentrato sul tema della solitudine e composto insieme ad Ivano Fossati ,che gli vale la vittoria al Premio Lunezia come “migliore autore”, per il brano “Smisurata preghiera“. Nell’estate del 1998, si congeda dagli ascoltatori con una tournée nelle principali località italiane del Sud. Al ritorno da quel concerto, scopre la malattia e la notte dell’11 gennaio del 1999, alle 2:30, muore a Milano, presso l’Istituto dei tumori. I funerali si svolgono a Genova, nella Basilica di S. Maria Assunta in Carignano, alla presenza di diecimila persona, della famiglia e degli amici come Paolo Villaggio che dichiara: “Se potessi, gli direi che sono molto invidioso di lui, perché non avrò un funerale così!”, come Fernanda Pivano che lo celebra , commentando: “Non doveva andarsene, non doveva. E’ stato il più grande poeta che abbiamo mai avuto…” o come Nicola Piovani, che sentenzia: “De André non è stato mai di moda. La moda, effimera per definizione, passa. Le canzoni di Fabrizio restano”. Infatti, ancora oggi, i musicisti e i cantanti, in piazze affollate o in locali fumosi, continuano a suonare e a cantare le sue canzoni e, noi insieme con loro, perché ostinatamente convinti che: “Dai diamanti non nasce niente/ dal letame nascono i fior”.
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