
Come osservatore guardo lo stato di salute del nord, poi guardo lo stato di salute del mio sud, e mi rendo conto che i meridionali sono un popolo senza speranza.
Possibile che a distanza di più di 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, la questione meridionale è sempre uno stato attuale senza speranza? Eppure è cosi.
Al sud le infrastrutture sono inesistenti o in cattivo stato. La sanità è un incubo continuo, dove il diritto alla salute non è più un diritto. I trasporti sono fermi all’anno zero. Le scuole cadono a pezzi. Le strade somigliano a quelle di campagna. I rifiuti sono la perenne questione da risolvere. E per finire, il lavoro non è mai arrivato.
Dietro tutte queste inefficienze mai risolte, c’è un popolo silente. Un popolo che dorme sogni beati. Ha distrutto la vita delle passate generazioni, ed ora sta distruggendo anche quella delle future generazioni. Un popolo che vive nell’attesa che arrivi il solito contentino. Un popolo che non sa ribellarsi. Si accontenta.
Non lo scrive un nordista o un leghista, lo scrive un uomo del sud, uno che la sua terra è stato costretto spesse volte a guardarla dall’alto. E non è giusto. Come non è giusto continuare a temporeggiare in attesa che qualcosa possa cambiare. Le cose cambiano solo se rivendichiamo il sacrosanto diritto a farle cambiare. Il sud è una terra meravigliosa, non può vivere nello stato in cui si trova. La colpa è del popolo meridionale che, per primo, non ha saputo rispettare la propria terra e non ha saputo farsi rispettare.
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