
Quando andavo a scuola sui miei libri di storia non ho mai letto un rigo sulle foibe. A partire dalle scuole elementari, le medie, per finire alle superiori, ma sono stato interrogato sul massacro delle foibe. Non potevano interrogarmi: non ce lo facevano studiare. Diventato grande ho iniziato ad approfondire quella strage compiuta dal regime comunista di Tito, che i vincitori sono riusciti a tenere nascosti per anni.
Come sempre avviene dopo ogni guerra, la storia la scrivono i vincitori. Eppure i massacri delle foibe è stato un eccidio ai danni di militari e civili italiani autoctoni della Venezia Giulia, del Quarnaro e della Dalmazia, avvenuti durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato secondo dopoguerra, da parte dei partigiani jugoslavi e dell’OZNA. Il nome deriva dai grandi inghiottitoi carsici, che nella Venezia Giulia sono chiamati “foibe”, dove furono gettati molti dei corpi delle vittime.
La maggioranza delle vittime morì nei campi di prigionia jugoslavi o durante la deportazione verso di essi. Si stima che le vittime in Venezia Giulia, nel Quarnaro e nella Dalmazia siano state, sempre secondo gli storici Pupo e Spazzali, tra le 3 000 e le 5 000, comprese le salme recuperate e quelle stimate nonché i morti nei campi di concentramento jugoslavi, mentre alcune fonti fanno salire questo numero fino a 11 000. In generale però cifre superiori alle 5 000 si raggiungono soltanto conteggiando anche i caduti che si ebbero da parte italiana nella lotta antipartigiana.
Al massacro delle foibe seguì l’esodo giuliano dalmata, ovvero l’emigrazione più o meno forzata della maggioranza dei cittadini di etnia e di lingua italiana dalla Venezia Giulia, del Quarnaro e dalla Dalmazia, territori del Regno d’Italia prima occupati dall’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia del maresciallo Josip Broz Tito e successivamente annessi dalla Jugoslavia. Emigrazione dovuta a varie ragioni: dall’oppressione esercitata da un regime la cui natura totalitaria impediva anche la libera espressione dell’identità nazionale, al rigetto dei mutamenti nell’egemonia nazionale e sociale nell’area, nonché alla vicinanza dell’Italia, che costituì un fattore oggettivo di attrazione per popolazioni perseguitate ed impaurite nonostante il governo italiano si fosse a più riprese adoperato per fermare, o quantomeno contenere, l’esodo. Si stima che i giuliani, i quarnerini e i dalmati italiani che emigrarono dalle loro terre di origine ammontino a un numero compreso tra le 250 000 e le 350 000 persone tra il 1945 e il 1956.
Improvvisati tribunali, che rispondevano ai partigiani dei Comitati popolari di liberazione, emisero centinaia di condanne a morte. Le vittime furono non solo rappresentanti del regime fascista e dello Stato italiano, oppositori politici, ma anche semplici personaggi in vista della comunità italiana e potenziali nemici del futuro Stato comunista jugoslavo che s’intendeva creare. A Rovigno il Comitato rivoluzionario compilò una lista contenente i nomi dei fascisti, nella quale tuttavia apparivano anche persone estranee al partito e che non ricoprivano cariche nello Stato italiano. Vennero tutti arrestati e condotti a Pisino. In tale località furono condannati e giustiziati assieme ad altre persone di etnia italiana e croata.
La maggioranza dei condannati fu gettata nelle foibe o nelle miniere di bauxite, alcuni mentre erano ancora in vita. Secondo le stime più attendibili, le vittime del 1943 nella Venezia Giulia si aggirano sulle 600-700 persone. Alcune delle uccisioni sono rimaste impresse nella memoria comune dei cittadini per la loro efferatezza. Le prime ispezioni delle foibe istriane, che furono disposte immediatamente dopo il ripiegamento dei partigiani conseguente alla successiva invasione nazista, consentirono il rinvenimento di centinaia di corpi. Il compito di ispezionare le foibe fu affidato al maresciallo dei Vigili del Fuoco Arnaldo Harzarich di Pola, che condusse le indagini da ottobre a dicembre del 1943 in Istria, in particolare nella Foiba di Vines.
Ecco, questo è piccolo accenno di quello che successe raccolte da Wikipedia, ma noi non abbiamo mai letto un rigo nei nostri libri di storia quando andavamo a scuola.
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