
Siamo partiti da febbraio a iniziare a tremare per il coronavirus. Poi l’insorgenza del virus, le difficoltà nel riconoscerlo e poi l’ondata di morte che ha travolto il nostro paese. Elementi che hanno dato la misura di cosa stava succedendo e non si conosceva cosa fosse. Un virus maledetto che ha portato via con sé più di trentamila morti.
Lo stato interviene molto in ritardo, quando ormai l’epidemia si era già diffusa a macchia d’olio. Poi le chiusure forzate per evitare il contagio. Da qui la doppia tragedia dell’epidemia: da un lato il virus che galoppava, dall’altra la povertà che incombeva. Quelli che prima facevano comodo anche allo stato, cioè tutte quelle persone che in silenzio cercavano di andare avanti anche con lavori saltuari; operatori commerciali in difficoltà prima della quarantena ma, nonostante ciò, andavano avanti; chi aveva un lavoro precario e tirava avanti nonostante la precarietà; sono diventati in poco tempo i nuovi poveri che, in effetti, erano già poveri non riconosciuti.
Lo stato è intervenuto con il decreto di aprile, convertito a maggio, ma che di sicuro arriva a giugno. Quasi tre mesi per dare risposte ancora inevase. Dietro la lunga attesa c’è un detto popolare che si addice al momento: l’acqua è poca e la papera non galleggia. Vuol dire che lo stato italiano già prima del coronavirus stava malissimo, con l’epidemia sono venute fuori tutte le sue difficoltà. I soldi in cassa non ci sono o perlomeno non sono sufficienti a far fronte a tutto il fabbisogno del momento. È una difficoltà economica che rallenta le richieste di fabbisogno in questo momento di epidemia. A esse si somma la difficoltà delle tante strutture dello stato che si sono viste travolte da una richiesta enorme di aiuto. Il virus è stato uno tsunami improvviso che ha travolto tutti e tutto. Ad aggravare ulteriormente la situazione c’è stata la leggerezza europea, che ancora oggi continua a discutere come uscire fuori dalla tempesta. L’unione non è stata efficiente e tempestiva per salvare i paesi come Italia e Spagna che erano stati travolti in maniera devastante dal covid-19. Al di là di tutto c’è un paese, il nostro, che ha messo in luce la sua debolezza economica nonostante abbia un tessuto imprenditoriali invidiato da tutti. Sebbene siamo tra le prime potenze industriali del mondo, rimaniamo ultimi in tutto, e nel momento di grande bisogno, si scopre che siamo un paese con le toppe sul sedere.
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