
ROMA – Ho anticipato di due giorni la discussione sulla violenza sulle donne consapevoli che sabato 25 novembre di parate e titoloni in difesa delle donne non si contano. Ma c’è un particolare che inquieta sul discorso sulla violenza sulle donne: appare evidente che anche questo dramma sta diventando un business. Ho anticipato di qualche giorno il discorso violenza, proprio perché voglio prendere le distanze dai tanti proclami che ci saranno sabato 25. Sì, voglio uscire fuori dal coro, perché sabato 25 l’unica cosa giusta da fare è il silenzio, in segno di rispetto per le tante vittime di questa piaga sociale che nessuno è riuscito a difendere.
Massimo rispetto per i centri antiviolenza: fanno un lavoro straordinario a sostegno di chi vive un disagio sociale per via di violenze fisiche, sessuali, pscicologiche, stalking, tutte forme di violenza che vanno sostenute. La legge 119 del 2013 preveda il potenziamento delle forme di assistenza e sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli, con il rafforzamento della rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza.
Le strutture ricevono principalmente fondi dallo Stato (ovvero dal dipartimento per le Pari opportunità che li gira alle regioni), dalle stesse regioni e dai comuni, oppure grazie alla partecipazione a bandi europei e privati. In particolare, l’articolo 5 bis del decreto legge del 2013 stabilisce che i centri e le case rifugio abbiano un finanziamento statale di 10 milioni l’anno. Sono stati stanziati circa 18 milioni sia per il biennio 2013-14 sia per il 2015-16. Per il 2017 si aspetta la distribuzione di circa 12 milioni. La situazione potrebbe nettamente migliorare dal 2018. Nella prossima legge di bilancio è stata inserita la previsione di fondi all’incirca triplicati a 33,9 milioni di euro nel 2018 e 34 milioni nel 2019.
Questi numeri danno la misura di quanti soldi girano intorno alla violenza sulle donne. Però questa montagna di danaro pubblico non evita i tanti femminicidi, e non fa diminuire il dramma. Anche i numeri della violenza sulle donne del 2017 sono impietosi, quindi quello che si sta facendo non sta producendo risultati. Per prima cosa, per evitare i femminicidi, le donne vanno protette. È scontato che l’orco finisce ai domiciliari dopo la denuncia, ma se vuole uscire per uccidere la donna lo fa tranquillamente. Quindi chi denuncia l’atto di violenza e riceve minacce concrete, va scortata, altrimenti la sua vita è sempre in pericolo. Allora mi domando, perché una parte di questi soldi non sono destinati alla scorta di queste donne dopo che hanno denunciato?
Poi c’è anche un altro aspetto fondamentale che va sostenuto: l’inizio del dramma va ascoltato. Infatti i centri di ascolto ce ne sono pochi, al fine di stabilire un contatto diretto per aprire un dialogo proficuo all’interno della coppia che non duri pochi minuti, ma che abbia una forma di ascolto costante. Mi spiego meglio: quando si apre una disputa all’interno di una coppia, essa ha un’origine che può dipendere da molteplici fattori, quindi va ascoltato per poter riparare il danno che si è venuto a creare, e ciò va fatto ascoltando entrambi i soggetti sia in sedute separate sia in sedute comuni, perché solo ascoltando entrambi le ragioni si può suggerire il modo per uscirne. Oppure, nei casi peggiori, si aiuta entrambi a non sviluppare l’odio che accresce nei momenti di tensione all’interno della coppia, e si aiuta entrambi a controllare l’attrito cercando di far diventare meno dolorosa la separazione. È un modo per prevenire quello che può succedere dopo.
Ci sono molte falle nella tutela della donna, che vanno riparate con azioni diverse. I soldi sono tanti, e spesso, sappiamo bene, fanno gola a soggetti in malafede che si nutrono sui drammi altrui. Questo va impedito e corretto, altrimenti la violenza sulle donne si riduce al 25 novembre per continuare a ricordare e aggiungere nuove vittime nell’elenco.
Francesco Torellini
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