
ROMA- Sarà una campagna elettorale soft, senza tanti clamori di carattere marketing. La lotta contro i partiti e suoi benefit ha portato buoni risultati, ed oggi essi sono con l’acqua alla gola, con le casse piuttosto vuote.
Il 15 luglio scadeva il termine per le forze politiche per pubblicare i loro ultimi bilanci approvati, relativi al 2016. Openpolis ha analizzato i rendiconti depositati dall’inizio della legislatura ad oggi. Quello che emerge è una compressione del ruolo dei partiti, a partire dalle entrate su cui possono fare affidamento. In 4 anni, le entrate dei partiti si sono ridotte del 61%. In questo conteggio sono incluse le sole entrate della gestione caratteristica, cioè quelle che derivano da fondi pubblici, donazioni private, quote d’iscrizione e da altre attività tipiche.
I dati passati in rassegna si prestano a diverse interpretazioni. Quella dominante è l’emersione di un nuovo sistema politico, di cui il partito, ridimensionato nel finanziamento pubblico e trascurato da quello privato (ad eccezione degli eletti), non è più l’asse centrale. A seguito di questa crisi, il gruppo parlamentare, da soggetto istituzionale, viene chiamato a finanziare anche attività che sarebbero di normale competenza dei partiti.
Il progressivo svuotamento dei partiti, se non sarà invertito nei prossimi anni (il che è possibile, se i partiti riusciranno ad intercettare i fondi stanziati con il 2×1000), è destinato ad accrescere il ruolo di fondazioni, associazioni e think tank contigui a singole personalità politiche.
Si tratta di un processo che dovrà essere monitorato, con il grande limite che oggi – a differenza dei partiti – questi soggetti non sono sottoposti a obblighi di trasparenza ulteriori. E mentre i partiti comunque rappresentano, a costituzione vigente, il mezzo di partecipazione alla vita democratica dei cittadini, la finalità di queste strutture è determinata dai propri fini statutari.
Quali sono le cause di una crisi così vistosa? Lo spiega Openpolis: In primo luogo, come era lecito aspettarsi, la riduzione del finanziamento pubblico verso i partiti. Il sistema del finanziamento ai partiti è stato riformato due volte tra 2012 e 2014, dai governi Monti e Letta. Quest’ultimo in particolare (con il decreto 149/2013 convertito nella legge 13 del 2014) ha rimodulato il meccanismo con cui i partiti ricevono fondi pubblici: i rimborsi elettorali (automatici e commisurati al risultato elettorale) sono stati sostituiti dal 2×1000 (la cui entità dipende dalla capacità di intercettare le scelte dei contribuenti).
Nelle intenzioni del legislatore, il 2×1000 avrebbe dovuto supplire all’eliminazione del finanziamento diretto, almeno per i partiti iscritti nel registro istituito con la stessa legge. Il decreto Letta infatti prevedeva, in parallelo con il taglio dei rimborsi, un tetto crescente da erogare attraverso il 2×1000, che dal 2017 può valere fino a 45,1 milioni di euro. A differenza del passato questi fondi non sono più automatici: se i contribuenti non optano per nessuna forza politica il loro 2×1000 resta allo stato. Ad esempio, rispetto ad uno stanziamento teorico di 27,7 milioni di euro nel 2016, meno di 12 milioni sono stati realmente incassati dai partiti. Per questa ragione, finora il 2×1000 non è riuscito a compensare le entrate che garantivano i vecchi rimborsi elettorali . Dal 2017 questi non verranno più erogati, e sarà interessante capire se nei prossimi anni le forze politiche riusciranno a sfruttare maggiormente le potenzialità del 2×1000. Anche perché finora il finanziamento privato non sembra essere decollato, e anzi si assiste ad una sua progressiva contrazione. Il decreto Letta, per incoraggiare le donazioni di cittadini, aziende e altri enti privati verso i partiti, ha previsto una detrazione (irpef e ires) del 26% su quanto donato alle forze politiche iscritte nel registro dei partiti, per cifre comprese tra 30 e 30mila euro. Un mancato introito per le casse pubbliche che la stessa legge aveva quantificato in 27,4 milioni nel 2015 e in 15,65 milioni dal 2016, prevedendo quindi donazioni annue anche superiori ai 50 milioni di euro. In realtà, le forze politiche stanno ricevendo molto meno del previsto, e la tendenza sembra essere quella di una progressiva diminuzione di tali entrate.
Quindi il calo delle entrate dei partiti non è dovuto solo alla riduzione del finanziamento pubblico; anche le donazioni da privati cittadini e persone giuridiche sono in forte diminuzione. Anche escludendo il 2013 (anno elettorale, in cui è comprensibile che si concentrino maggiormente le donazioni), negli anni seguenti il declino è costante: le donazioni da persone fisiche ad esempio passano da 21 a 12,4 milioni. Molto più residuali le entrate da aziende e altri enti, nell’ultimo biennio sempre inferiori al milione di euro l’anno.
Questo il dato complessivo sui quattro anni, ma che cosa sappiamo riguardo chi finanzia i partiti? In base alle norme in vigore, le donazioni superiori ai 5.000 euro devono essere dichiarate insieme al bilancio. Con un dettaglio di non poco conto: la normativa sulla privacy consente comunque di “pecettare” i nomi di chi non ha rilasciato il consenso alla pubblicazione di dati personali. Un vulnus pericoloso, visto che in linea teorica donazioni fino a 100mila euro (il massimo legale previsto) potrebbero essere riscosse senza rendere pubblico il donatore. Le forze politiche potrebbero ovviare con un codice di autoregolamentazione, rifiutando i contributi di chi non vuole essere pubblicato.
Al netto di questa considerazione, oggi il problema per i partiti è il non riuscire ad attrarre finanziamenti privati, ad esclusione di quelli dei propri eletti. Se guardiamo i bilanci dell’ultimo anno, gli eletti ai vari livelli dei partiti politici contribuiscono – con una quota della loro indennità – a mantenere in vita quasi tutti i partiti.
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