
Il coronovirus ha evidenziato di molto la differenza sociale che esiste in Italia. A fare i maestri di una scuola scaduta erano tutti quelli che, in un modo o nell’altro, erano coperti economicamente. Il resto, quelli che ormai avevano perso il lavoro o erano stati obbligati a chiudere le attività, il mondo gli cadeva addosso. Quelli del posto fisso o i garantiti per eccellenza, dicevano restate a casa, gli altri piangevano disperati. Mentre per i primi era una passeggiata la quarantena, per gli altri significava chiedere la carità per sopravvivere. Questa è l’Italia che esce fuori dai due mesi di quarantena forzata. Un paese lacerato da una divisione sociale che deva far riflettere non poco chi guida le istruzioni italiane.
Dei circa 9,5 milioni di lavoratori che nel mese di marzo non hanno potuto lavorare, 3,7 milioni vivono in famiglie monoreddito, di cui la metà con figli a carico, dove pertanto è venuta a mancare l’unica entrata economica. Molti di questi soggetti stanno facendo i conti con la riduzione temporanea dello stipendio Rispetto a prima del lockdown la percentuale di nuclei familiari in condizione di vulnerabilità socio-economica che beneficia di aiuti statali è quasi raddoppiata, passando dal 18,6% al 32,3%. Si tratta di genitori che, nel 44% dei casi, sono preoccupati di non poter tornare al lavoro o cercarne uno.
La fase di quarantena ha distrutto la vita di chi già era fragile all’interno della società italiana. Anche in questo caso l’assenza della stato sociale si è sentita notevolmente. Tutte quelle che sono state le promesse iniziali, gradualmente sono venute meno, e le persone in difficoltà sono rimaste isolate da una sistema governativo che ha guardato con occhio vigile ai già garantiti chiudendo entrambi gli occhi per chi invece, sul serio, aveva bisogno di aiuto.
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