
ROMA- È una ricostruzione millimetrica del regno delle due Sicilie quello che uscito dopo il voto di domenica 4 marzo. Il sud demolito dall’unità d’Italia è stato ricostruito dalle nuove generazioni meridionali. È uguale e identico a quello che fu spazzato via dall’unità. Il voto ha detto che la parte bassa del paese è stanca, e non vuole essere più oggetto prelibato dei partiti storici. È tutta una macchia gialla, di azzurro o rosso non c’è nulla, tutti cacciati via.
Guardare la cartina del dopo voto è impressionante. Ha lo stesso schema che aveva il regno delle due Sicilie. Segno che nulla è morto, e tutto si può ricostruire. Sappiamo tutti che l’unità d’Italia è stato un bluff per il sud, e siamo stati uniti solo quando c’era da tifare la nazionale di calcio. I libri di storia ci hanno raccontato una verità distorta, poiché gli storici asserviti al potere di quel tempo hanno raccontato quello che faceva comodo.
Il sud era ricco, il nord era poverissimo, ma un piemontese decise di unire l’Italia per portare le ricchezze del sud al nord, cosa che successe, e da quel giorno il sud è diventato poverissimo e il nord ricchissimo. Non solo, da quel giorno il mezzogiorno è stato posto in condizione di schiavitù nei confronti del nord, e la manodopera meridionale, privata del lavoro al sud, è servita per far crescere e evolvere il nord.
La dinastia dei Borbone regnava negli stessi territori, ma questi risultavano divisi nel Regno di Napoli e nel Regno di Sicilia (ad eccezione dell’isola di Malta che il regno di Sicilia concesse nel 1531 come feudo perenne al Sovrano Militare Ordine di Malta). Perduta l’indipendenza i settori produttivi dell’ex reame borbonico entrarono in una profonda crisi. Finché il nuovo Stato non avviò una politica di industrializzazione (1878) le ripercussioni dell’annessione prima e le politiche doganali adottate poi, segnarono la fine delle non più “protette” imprese meridionali rispetto alla concorrenza europea ed italiana, contribuendo alla nascita della questione meridionale, mai più finita.
Il Regno delle Due Sicilie aveva a tutti gli effetti un regime monetario monometallico a base d’argento, formato, oltre che dalle monete di quel metallo (cioè la gran parte delle monete circolanti), anche dalle fedi di credito del Banco delle Due Sicilie, considerate anche all’estero valuta di prim’ordine. Nel saggio “Nord e Sud”, Francesco Saverio Nitti rileva che, al momento dell’introduzione della lira, nel Regno delle Due Sicilie furono ritirate 443,3 milioni di monete di vario conio, di cui 424 milioni d’argento, pari al 65,7% di tutte le monete circolanti nella penisola.
Tralasciando i cenni storici, che comunque vanno letti e riletti per come sono stati impostati e scritti al fine di eludere l’ingenuità del popolo del sud, va detto che il sud prima dell’unità d’Italia aveva una sua autonomia ed era uno stato autonomo che beneficiava di tutte le sue ricchezze, dopo l’unità le ricchezze del sud hanno soltanto favorito il nord, demolendo le aspettative del sud. Per concludere, quella unità d’Italia ha solo penalizzato il sud e messo in condizione di sottomissione totale. Il voto di domenica ha tracciato un quadro che riporta all’emersione di quello stato, seppur simbolico. Le nuove generazioni, che non credono più agli storici ritenendoli falsi proclamatori, hanno dato uno scossone che riporta il sud Italia a rialzare la testa.
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