
ROMA- Sergio Marchionne, 66 anni, è ricoverato in terapia intensiva all’ospedale universitario di Zurigo e le sue condizioni sono irreversibili. Quello che però sta succedendo in queste ore intorno alla figura di Marchionne, sta dimostrando quanto sia cattiva l’umanità. Tutti in questa vita sbagliamo, ma nessuno può gioire per la morte altrui. La morte è un passaggio doloroso che mette paura a tutti. Poi mi dicono che detesto i comunisti, bè, non smetterò mai di detestarli fino alla fine dei miei giorni: Il quotidiano comunista Il Manifesto sceglie una copertina molto criticata per il cinismo sui social, E così Fiat, con la foto di un Marchionne malinconicamente piegato su se stesso, per demolirne senza pietà la figura: «Ha tolto i diritti ai lavoratori e ha portato il gruppo via dal Paese. La sua eredità è piena di macerie. Credo che si possa contestare il ruolo ma non la persona. Marchionne ha dalla sua il fatto di aver preso un’azienda sotto l’orlo del fallimento e portata a ritornare a produrre eliminando anche i debiti. Un comunista non sarebbe mai capace di fare tutto ciò.
Per fortuna non tutti la pensano come i comunisti del Manifesto. Gli stessi operai della Fiat elogiano il lavoro che ha fatto Marchionne: loro rischiavano di non avere nemmeno il lavoro che hanno. In ogni angolo del mondo elogiano le capacità manageriali di Marchione e ciò che ha fatto per la Fiat, oltre ad elogiare il suo lavoro in America con la Chrysler. Se errori ci sono stati sono frutto della vita umana, sbagliano i grandi come sbagliano i piccoli. Anche i sindacati hanno sbagliato e sono colpevoli del disastro Italia, inutile negarlo.
Ora dinanzi alla morte tutti dovrebbero fare marcia indietro. Purtroppo stare sulla sica del successo per anni trascina dietro odio. Avviene in tutti i ruoli. Ma se ci sono ragioni che hanno spinto una persona a fare delle scelte, anche improprie per salvare il salvabile, vanno rispettate. Additano Marchionne come un capitalista, ma lui ha fatto quello che doveva fare essendo uno dei più grandi manager al mondo. Oggi questo ruolo glielo riconoscono tutti, meno i comunisti.
Marchionne aveva una passione da cui non riusciva a staccarsi. Quel maledetto vizio del fumo comune a tanti. La sigaretta era quasi una sua passione come ricorda Franzo Grande Stevens, storico legale di Gianni Agnelli: “Quando dalla tv di Londra appresi il giovedì sera che egli era stato ricoverato a Zurigo, pensai purtroppo che fosse in pericolo di vita. Perché conoscevo la sua incapacità di sottrarsi al fumo continuo delle sigarette”, scrive in una lettera al Corriere della Sera. “Tuttavia, quando seppi che era soltanto un intervento alla spalla, sperai. Invece, come temevo, da Zurigo ebbi la conferma che i suoi polmoni erano stati aggrediti e capii che era vicino alla fine“.
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