
Sono 45mila, secondo un’indagine sul “southworking” realizzata da Datamining per la Svimez su 150 imprese con oltre 250 addetti, i lavoratori assunti da grandi aziende del Nord, da inizio pandemia che lavorano in smart working al Sud. I settori sono manifatturiero e dei servizi. Secondo l’indagine le 45mila persone al lavoro per il Centronord da aree al Sud è equivalente a 100 treni Alta Velocità. Ma, si legge nella ricerca, “se teniamo conto anche delle imprese piccole e medie (oltre 10 addetti), molto più difficili da rilevare, si stima che il fenomeno potrebbe aver riguardato nel lockdown circa 100mila lavoratori meridionali”. Lo studio ricorda che attualmente sono circa due milioni i meridionali che lavorano al Centronord.
Questa potrebbe essere un’opportunità per riportare al Sud capitale umano. Secondo il rapporto, poter offrire ai lavoratori meridionali occupati al Centronord la possibilità di lavorare dalla loro terra di origine potrebbe costituire un inedito e opportuno strumento per la riattivazione di quei processi di accumulazione di capitale umano da troppi anni bloccati per il Mezzogiorno e per le aree periferiche del Paese. Il rapporto propone di concentrare gli interventi sull’obiettivo di riportare al Sud giovani laureati (25-34enni) meridionali occupati al Centronord. Secondo i dati raccolti, l’85,3% degli intervistati andrebbe o tornerebbe a vivere al Sud se fosse possibile, mantenendo il lavoro da remoto.
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