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La luce nel buio

Fino ad un anno fa credevo che la vita fosse soltanto quella che vivevo. Tanta serenità, fruibilità nella vita di coppia e di agio economico. Tutto mi sembra un fiume piatto dove si può navigare tranquillamente poiché le acque sono sempre calme. Non immaginavo lo tsunami che da lì a poco si fosse scatenato su di me senza darmi nemmeno il tempo di girarmi intorno. Sabrina, la mia vita, la mia sorgente d’acqua, senza non posso vivere. È stata sempre la domanda che mi sono posto ogni giorno. Io e Sabrina abbiamo fatto un percorso di vita gomito a gomito. La nostra conoscenza risale alla prima elementare, da allora non ci siamo mai più staccati. Le medie insieme fino alla maturità liceale, sempre nello stesso banco. Dopo la maturità io fermo gli studi mentre lei prosegue per anno iscrivendosi all’università. Io nel frattempo ho risposto ad una inserzione di una nota azienda farmaceutica svizzera. Dopo un colloquio a Berna, ottengo l’assunzione diventando agente per il centro Italia. Inizia la mia carriera che dura da ben venti anni, diventando la mia stabilità economica. Inizio giovanissimo, così quando io e Sabrina decidiamo di sposarci avevo messo da parte parecchi soldi e comprato e pagato una casa. Quindi la nostra vita di coppia, dopo che tra noi scoppiò l’uragano dell’amore, è stata senza tanti patemi d’animo. Dieci anni di matrimonio fatti di tanto amore. Il percorso iniziato alle elementare non si è più interrotto. Tra noi c’è stata sempre una grande sinergia. Dopo il matrimonio lei decise di dedicarsi alla famiglia, anche perché guadagnavo abbastanza per portare avanti anche due famiglie. La nostra vita vista dall’esterno era anche motivo di invidia, anche se non sono stato mai un avaro, anzi, quanto si presentano i motivi mi sono sempre prodigato per aiutare gli altri. Dopo un percorso così bello arriva quel tsunami che stravolge completamente l’esistenza mia e di Sabrina. Era il mese di agosto, eravamo al mare, già avevamo trascorso quindici giorni di vacanza. Un pomeriggio Sabrina sta giocando con Giacomo, il nostro bambino, quando accusa una forte mancanza di respiro. Il 118 arriva in pochi minuti. Urge il ricovero in ospedale. Chiamo mio fratello, che dopo diverse ore mi raggiunge in Puglia, dove sono in vacanza. Nei mesi successi mio fratello e la moglie diventano il bastone dove appoggiare la mia profonda angoscia. Sabrina è sottoposta a diverse analisi che non convincono i medici. Tanto che dopo una settimana in ospedale si richiede una risonanza magnetica che da il quadro perfetto della situazione: carcinoma polmonare con estensione al cervello. La notizia scatena una forte rabbia e tanta delusione. Fino a pochi giorni prima giocava e scherzava, adesso dove affrontare un calvario senza pari. Lasciamo la Puglia e facciamo ritorno a Firenze. La ricovero all’ospedale fiorentino dove ripetono tutti gli esami, l’esito è lo stesso. Sabrina, da persona intelligente, intuisce subito la gravita della situazione. Cerco di rincuorarla facendo sembrare la cosa non molto grave, fidandosi ciecamente di me, ci crede. Ma in cuor mio la rabbia monta giorno dopo giorno. Senza Sabrina mi sarei spento in pochi mesi. Era troppo il tempo vissuto insieme, anzi, tranne i prime sei anni della mia esistenza, il resto è passato a braccetto con lei. Adesso però ho il compito di sfidare la malattia e lottare insieme a lei. Dopo poche settimane inizia il ciclo di chemio. La perdita dei capelli gli fa comprendere la gravità nella sua pienezza. Cerco di fargli capire che il fatto è solo passeggero, poi tutto torna come prima. Per non farla sentire diversa vado dal barbiere e mi raso i capelli. Quando rientro a casa lei scoppia a ridere: ero buffo. Rivederla sorridere mi rincuora, li avrei tagliati tutti i giorni pur di vederla sempre ridere. Ma quel percorso di chemio, tanto difficile e doloroso, non dà gli esiti sperati. Si continua, ma la strada si fa sempre più in salita. Dal giorno della comparsa della malattia il mondo mi sta crollando addosso. La situazione peggiorava giorno dopo giorno sia per quanto riguarda la malattia di Sabrina, sia per quanto concerne la situazione economica. Per Sabrina sto spendendo tutti i risparmi di una vita. I soldi non avevano più importanza. Però, nonostante facessi un lavoro a contatto con tanti medici, mi rendo conto di come sono bastardi: non guardano in faccia a niente e a nessuno per denaro. Casi di persone in difficoltà le avevo incontrate, però viverle direttamente era un’altra cosa. Ricordo quando in uno studio di un noto medico incontrai due anziani. La moglie si rivolse a me chiedendomi l’onorario del dottore. Conoscendolo dissi che prendeva quasi cinquecento euro a visita. La donna calò il capo angosciata: il marito stava male e aveva bisogno della visita del professore. Lessi subito la sua disperazione, così la feci entrare con me. Una volta dentro la presentai come una mia cugina. Il dottore fu più morbido, e dopo la visita pagai io. Sono piccole parentesi, ma certamente adesso la situazione è diversa: mi tocca dentro. Adesso sto pagando visite anche di mille euro per volta. Anche la famiglia si sta prosciugando per salvare al vita di Sabrina. Ormai sono giunto alla conclusione che devo vendere casa, così avrò soldi liquidi per continuare le cure. Poi, persuaso da mio fratello, opto per il licenziamento, mi toccano bei soldi di liquidazione perlomeno salvo la casa, il lavoro lo ritrovo. Dopo due giorni mi reco in Svizzera per rassegnare le mie dimissioni e chiudere la liquidazione. Il mio capo quando legge la lettera, mi guarda: “Sei impazzito, mai accetterei le tue dimissioni. Ma perché?” chino il capo, cosi il mio capo intuisce che qualcosa non va. Gli spiego come stanno realmente le cose, e i costi che non sono più in grado di affrontare. Pochi attimi di esitazione da parte sua, si alza, mi lascia da solo nello studio. Quando torna: “Fai salire tua moglie. Ho parlato con uno dei migliori professori in una delle migliori cliniche svizzere, vediamo lui cosa ci dice”. La cosa mi conforta, ma certamente come pago. Cosi gli spiego che io non posso pagare un grande professore. Tranquillo, mi risponde, “è tutto pagato dall’azienda, anche se il professore non prenderà niente perché gli abbiamo fatto tantissimi favori”. Chiamo mio fratello per portarmi Sabrina a Berna. Nel primo pomeriggio loro tre erano già fuori alle porte della clinica. Inizia il ricovero svizzero. Il mattino dopo per Sabrina inizia una giornata fitta di analisi e controanalisi. Al mio fianco restano mio fratello e Laura, sua moglie. Per Laura la malattia di Sabrina è diventato un incubo. Col tempo sono diventate non solo grandi amiche, ma molto di più, ormai tutti le scambiano per sorelle per il tempo che trascorrono insieme. Per me e Sabrina, Laura è la persona della famiglia a cui teniamo di più. Ricordo ancora quando mio fratello, che aveva tenuto nascosto l’amore sbocciato con Laura, una sera mi disse di essersi innamorato di una donna speciale. Quando la conobbi, capii che aveva ragione: lei e Sabrina si somigliavano tanto. Laura veniva da un percorso molto difficile, fatto di tanta sofferenza, e per massimo, mio fratello, Laura era la perla delle donne: aveva ragione. Quando decise di sposarsi, essendo operai in una fabbrica, si sentiva oppresso per non poter dare a Laura quello che desiderasse. Ma Sabrina una sera: “Dobbiamo aiutare Massimo a dare a Laura quello che desidera, ci si sposa una volta sola, e Laura merita tanto, mi disse”. Sabrina si era già affezionata a Laura, tanto che dovetti prendere le redini in mano, offrendo a massimo la disponibilità economica che gli occorreva per convogliare a nozze con Laura senza fargli mancare nulla. Da quel giorno le nostre strade sono state sempre unite. Ed oggi sono qui al mio fianco a soffrire un evento che nessuno immagina. Dopo due giorni dal ricovero in svizzera, tutte le analisi furono fatte. Il professore nel primo pomeriggio mi chiama: “Non posso darle notizie confortanti, per sua moglie forse nemmeno un miracolo basta per salvargli la vita”. Con me c’era Laura, Massimo era andato a fare dei panini. Laura scoppia in un pianto dirotto, inarrestabile: stava per perdere una amica, una sorella, una voce che ogni giorno gli dava il sorriso giusto per continuare a vivere. Sì, Sabrina era sempre pronta per tutti. Io mi limito a chinare il capo assorbendo quella assoluzione barbara e crudele. Quando ci raggiunge massimo, capisce subito il dramma. Mi stringe forte. Non smette di piangere. L’unico che non piange sono io, quasi incredulo a quello che avevo sentito. Adesso però bisognava fingere e non far capire nulla a Sabrina. A stento si sorride, ma Sabrina ha capito tutto: “Sono verso la fine. Voi tre per me siete stati le persone che avrei dato la vita per difendere la vostra. In questo terribile periodo mi state dimostrando che non mi sbagliavo: siete speciali. Poi rivolgendosi a Laura: “Ti prego Laura, fa che Giacomo non avverta molto la mia assenza. Non abbandonarlo, sii per lui la madre che non avrà più e accudiscilo come se fossi io a farlo”. Rivolgendosi a me: “Ti prego amore mio, portami sempre nel tuo cuore, amami all’infinito, ma non vivere nella solitudine. Se un giorno incontri un’altra donna, che vuoi amare, non esitare, la solitudine può ucciderti. Pensa a giacomo, ma pensa anche a te stesso, sei ancora giovane, non chiuderti nel silenzio. Promettimi che lo fai?” Annuisco con la testa, ma dentro di me c’è la morte. Tutti e tre ormai siamo devastati dalla più profonde delle malinconie. Quella sera Laura vuole restare insieme a Sabrina, ma io dico di no: “Fino all’ultimo voglio godermi il suo calore e il suo respiro. Fino all’ultimo”. Laura capisce e mi lascia solo con il mio amore che sta per lasciarmi. La notte, come ormai faceva da tempo, mi stringe la mano cercando quel pizzico di sonno. La mano la fa sentire sicura, ha paura della morte, lo capisco da come mi mantiene la mano. Tenere la mia mano stretta la fa sentire protetta. Io nel buio immagino il dopo e le parole che mi aveva detto. No, non riuscirò ad amare più nessuno, poi tu non mi lascerai, dicevo nel mio inconscio. Volevo ancora illudermi nonostante la sentenza del professore. Il mattino dopo Sabrina non ha nemmeno più le forze per scandire una parola. Ormai la sentenza si fa concretezza. Infatti il professore dopo averla visitata disse: “Gli restano pochi giorni”. Non avevamo altra scelta che aspettare la morte di Sabrina. Ritornare in Italia era impossibile: Laura non poteva affrontare un viaggio cosi lungo. La sera gli riprendo la mano, ma lei non risponde come le altre volte, capisco che la fine è imminente. Spengo le luci della camera. Sono avvolto da un buio tombale: la luce gli dava fastidio. Avevo un piccola pila per far si che di tanto in tanto potessi inquadrare il suo volto. Vedo che Sabrina socchiude gli occhi. Ho paura, prego. La mattina ero uscito dalla clinica. Nel piccolo paesino avevo trovato una chiesetta. Ci sono entrato. Davanti a me una piccola statua della madonna. Gli ho chiesto di non farla più soffrire, e con tanto dolore dentro: “la morte esiste, ma Sabrina ha ancora tanta strada davanti. Non lo merita. Se questa è la tua volontà, ti prego, non farla soffrire. Fa che non si renda conto della morte. Ti prego, madonnina, perlomeno questo puoi farlo”. Continuo l’ennesima serata insonne al fianco di Sabrina. Forse l’ultima. Fisso l’esterno della camera per evitare il buio profondo, godendomi quel poco di luce che arriva dentro grazie alla porta abbastanza grande della camera che affaccia sul balcone esterno. Continuo a fissare, quando all’improvviso una palla di luce si ferma davanti ai vetri. Entra nella camera. È accecante. Sono ipnotizzato. Si ferma a un metro da Sabrina, sto guardando la morte che porta via Sabrina. Tremo tutto. La palla di luce prende le sembianze di una sagoma umana. La luce si allunga come se fosse un braccio e accarezza tutto il corpo di Sabrina. Piango, piango, ma non sono in grado di alzarmi, non riesco a muovere, come se qualcosa mi avesse incollato alla sedia. Una sensazione strana percorre tutto il mio corpo. Non so cosa fosse, ma dolore si, quello tanto. La luce scompare in un istante. Accendo la pila. Sabrina ha gli occhi chiusi. Mi alzo. È ancor calda, allora cos’è successo. Non capisco più nulla. Mi risiedo tenendo sempre ben stretta la mano come per non farla scivolare via. Lentamente sento la mano di Sabrina stringere la mia. Stringe sempre più forte, più forte. “Cosa mi è successo”, mi chiede. “Non lo so, non lo so”, rispondo. “Fammi scendere dal letto”. Non credo a quello che sento. Sabrina ormai non scendeva più dal letto, ogni movimento era fatto con il nostro aiuto. La lascio scendere dal letto. Sabrina senza il mio aiuto fa dei passi, prima lenti, poi più veloci. Non credo a quello che sto osservando. Percorre tutta la camera da sola. Poi torna indietro. Si avvicina a me, mi cinge le braccia al collo: sto bene, mi sento bene, oddio, sono guarita. Chiamo i medici. Una volta in camera rimangono per un attimo immobilizzati, increduli dello spettacolo che si presenta davanti ai loro occhi. Portano via Sabrina. Chiamo mio fratello e la moglie, che dopo pochi minuti sono con me in camera. Laura piange, sicura di averli chiamati per annunciare la morte di Sabrina. Quando da lontano vedono che il mio volto ha un aria serena quasi sorridente, rimangono perplessi. Laura si precipita immediatamente in camera, trova il letto vuoto, riprende a piangere con la certezza che Sabrina fosse andata via: “Perché non ce l’hanno fatto vedere per l’ultima volta, perché non ci hai chiamato prima, chiede Laura”. Io rido, Laura non capisce. “Perché ridi, cosa ti prende”, domanda Laura. “Sabrina è guaritaaaaaaaaaaaa”, grido ad alta voce. Laura s’inginocchia a terra piangendo di gioia. Dopo mezz’ora Sabrina viene accompagnata di nuovo su. Cammina nel corridoio con affianco il professore. Quando arrivano vicino a noi, il professore: “Sua Moglie è guarita. Abbiamo fatto una risonanza magnetica, della malattia non c’è più traccia. Questo è un grande miracolo”. Sì è un miracolo. Quella luce era qualcosa di troppo divino, il passaggio sul corpo di Sabrina era la luce per salvarla dalla morte. Sabrina dice di aver sentito un calore forte talmente forte come se all’interno del corpo stesse bruciando tutto. Gli racconto della luce, e lei inizia a piangere a dirotto. La madonnina aveva ascoltato le mie preghiere, non solo, non l’aveva fatta soffrire, ma aveva fatto di più, me l’ha restituita come prima.
Sono trascorsi tre anni da quel giorno. Siamo ritornati sulla spiaggia dove in un attimo la nostra vita aveva subito uno stravolgimento. Adesso vedere Sabrina giocare con Maria mi riempie il cuore. Sì, Maria, la bambina che è nata dopo la malattia. Sabrina ha voluto chiamarla Maria come la madonna. Con lei c’è Laura che, adesso, sono ancora più unite. Insieme curano una associazione che assiste malati terminali. La nostra vita ha ripreso a camminare, ma siamo cambiati dentro, e tutto il nostro tempo libero lo dedichiamo alla sofferenza altrui. Ci prodighiamo a rendere meno amara la sofferenza degli altri. La vita ha un senso, quel senso si chiama coraggio e voglia di combattere, soprattutto solidarietà. Ma nello stesso tempo la vita ci consegna sempre un passaggio doloroso, lo fa per farci capire che oltre a noi stessi esistono anche gli altri a cui bisogna dare assistenza e aiutarli anche economicamente quando si presentano delle difficoltà. L’umanità è una, siamo tutti uguali, ce ne accorgiamo quando incontriamo sulla nostra strada lo spettro della morte, solo allora comprendiamo l’importanza della vita.

Redazione

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