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Il decreto lavoro non è la strada giustaIn evidenza

ROMA- Se si crede di creare occupazione attraverso gli strumenti adottati dal disegno di legge approvato in consiglio dei ministri, è tutto una fantasia senza logica. In questo momento ci sono difficoltà oggettive per quasi tutte le imprese italiane, molte delle quali preferiscono delocalizzare e non certamente rimanere braccate nelle maglie della burocrazia e del fisco italiano. Creare lavoro per i giovani imponendo, come è costume di questa finta democrazia, dettando delle caratteristiche che devono avere i giovani per essere assunti, bè, questo non porta da nessuna parte. Innanzitutto per creare nuova occupazione bisogna far ripartire in tempi stretti la macchina dei consumi, oggi i consumi sono tornati indietro di 20 anni, le famiglie si privano di tutto, ma lo fanno perché sono attanagliate dalla enorme pressione fiscale delle istituzioni tutte. Quindi per rimettere in moto un meccanismo lavorativo alla base ci deve essere la ripartenza dei consumi, il governo letta su questo non ha fatto nulla. Gli incentivi messi in campo sono la solita presa in giro per i giovani e per chi cerca un lavoro vero. Forse era meglio richiamare tutte le imprese che dal 2010 hanno chiuso battenti e invitarli a riaprire mettendo nelle loro mani strumenti capaci di evitargli i sallassi che li hanno portati alla chiusura. Il lavoro si costruisce attraverso la costruzione di nuove imprese e potenziando quelle poche che sono rimaste ancora aperte, e non certamente con incentivi inconcludenti che portano ad assorbire risorse dello stato in un breve tempo, per poi ritrovarsi di nuovo al punto di partenza tra un anno. Non è questa la strada giusta per rimettere in piedi l’Italia. l’Italia ha bisogno di far riaprire chi ha chiuso battenti, in modo da poter riassorbire tutta quella forza lavoro che si è ritrovata senza lavoro per colpa di politiche scellerate imposte dalla Baldracca Europa. Le imprese sono il lavoro: alle imprese vanno garantiti percorsi capaci di evitargli l’enorme pressione fiscale sul lavoro e l’enorme pacchetto burocratico che le spinge a chiudere o andarsene dall’Italia.

Redazione

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