Nei suoi occhi la luce (PRIMA PARTE)

Sono tornato dopo tanti anni di studio in America. Finalmente riprendo a camminare sul suolo della mia città, tante volte desiderata, ed ora annuso il profumo fine e meraviglioso della storia romana. Anni di studio a New York tristemente trascorsi per accontentare il volere di mia madre dopo la morte di mio padre. Per lei era importante che mi laureassi in una università prestigiosa americana. Ora eccomi qui a prendere in mano le sorti della clinica privata

Nei suoi occhi la luce (PRIMA PARTE)

Sono tornato dopo tanti anni di studio in America. Finalmente riprendo a camminare sul suolo della mia città, tante volte desiderata, ed ora annuso il profumo fine e meraviglioso della storia romana. Anni di studio a New York tristemente trascorsi per accontentare il volere di mia madre dopo la morte di mio padre. Per lei era importante che mi laureassi in una università prestigiosa americana. Ora eccomi qui a prendere in mano le sorti della clinica privata che mio padre ha creato e lasciato a me, e pronto a godermi insieme alla mia ragazza lunghe passeggiate sul Tevere.
<<Ciao, Michele>>. Una voce mi chiama, la guardo, non la conosco. Il primo giorno è già caratterizzato da una inaspettata sorpresa. Al mio fianco c’è mio zio che, in tutti questi anni, nell’attesa della mia laurea e specializzazione, ha continuato a tenere in piedi la struttura per mio conto con l’aiuto di mia madre, anch’essa medico. Purtroppo la reazione di mio zio alla vista della ragazza è alquanto arrogante e volgare, insulta la povera crista: “Vattene, qualche giorno di questi giuro che vado in galera ma ti spacco la faccia, stronza”. Mai sentito tanta arroganza, poi nei confronti di una giovane ragazza, bella, mora, con occhi che parlavano da soli stando in silenzio. Con molta sorpresa strattono mio zio per farlo tacere, invitandolo ad andarsene. Lui cerca di tirami. Gli tolgo le mani di dosso, gli ripeto di andare via. Mi sento mortificato più della ragazza stessa, in America mi hanno insegnato soprattutto le buone maniere. Trovavo l’atteggiamento di mio zio troppo volgare. Mi avvicino alla ragazza: “Come fai a conoscere il mio nome. “È una storia molto lunga, hai un po’ di tempo da dedicare a me. Non bastano poche ore, è troppo quello che devo raccontarti, tuo zio mi odia, ma se ascolti potrai capire meglio. Poi è troppo importante, devi assolutamente ascoltarmi, devi”, mi dice. Non capisco il significato, ma non avevo altra scelta che ascoltarla. Aveva una voce talmente delicata e dolce, che colpì immediatamente il mio essere uomo, anzi, un giovane di 30 anni. Andiamo nel bar all’angolo, e mai avrei immaginato di uscirne, nel primo giorno di lavoro, solamente la sera tardi con la vita completamente sconvolta.
<<Perché vuoi parlarmi, cosa c’è di così importante>>.
<<Troppo, c’è troppo di importante. Molte cose devi capire, e molte devo capirle io attraverso te>>.
<<Continuo a non capire>>.
<< Ok, ascoltami attentamente>>:
Avevo appena 10 anni, la mia vita era un mezzo inferno. Senza un padre e con una madre malata. La mattina mi alzavo per andare a scuola, ma prima, verso le sei del mattino fino alle otto, venivo qui e mi mettevo fuori alla porta della clinica per chiedere l’elemosina. Sì, hai capito bene, elemosina. Dopo un ora andavo a scuola, e nel primo pomeriggio ritornavo al posto di combattimento. Fu proprio un pomeriggio che si avvicina a me un uomo, giovane, distinto, quasi mi face paura, ero semplicemente una bambina. Era tuo padre. Mi accarezza: “Che ci fai qui, piccola. Sono giorni che ti noto, perché chiedi l’elemosina”. Non gli risposi. Avevo paura. “Va bene, ho capito, ti va un bel panino con patatine e hamburger”. Mia madre mi aveva insegnato a non accettare mai nulla da estranei, ma tuo padre insistette e lo seguo presa anche dalla fame che avevo. Mangiai il primo panino in un lampo, avevo una fame da lupi selvaggi. Mi fece portare altri due panini, mangiai pure quelli con più calma mentre gli raccontavo la mia vita e quella della mamma malata. Quando tornammo indietro mi diede 300 euro, 200 disse fai quello che vuoi, su cento scrisse qualcosa chiedendomi di non spenderli e conservarli fino a quando non avrei incontrato una persona. Nei giorni a seguire attendeva il mio ritorno da scuola per poi portarmi a mangiare con lui. Dopo un mese non chiedevo più l’elemosina: tuo padre mi dava 50 euro ogni pomeriggio ed io me ne tornavo a casa. Poi un giorno chiese di accompagnarmi. Appena in casa fece amicizia con la mamma che, essendo malata, lo ringrazia ripetutamente. Mia madre prima della malattia era una bella donna, ma anche ora, nonostante la malattia, dava i segnali giusti della sua bellezza, soprattutto era una donna stupenda dentro. Non aveva risorse necessarie per curarsi, anche perché nessuno ci aiutava, eravamo sole, e i segni della sofferenza erano stampati sul volto adombrando la sua passata bellezza. Tuo padre fu fondamentale. Il giorno dopo condusse mia madre nella sua clinica, ricoverandola per un lungo periodo. Quando feci ritorno da scuola mi stava aspettando all’ingresso, comunicandomi che la mamma era ricoverata lì e l’avrebbe fatta guarire. Ero felice, saltellavo e cantavo dalla gioia. Tua madre non vide di buon occhi questo attaccamento nei confronti della mamma, ma tuo padre era una persona ferma, oltre ad essere un bravissimo medico. In poco tempo diventai la mascotte della clinica, tornavo da scuola e restavo sempre con la mamma a cui tuo padre aveva riservato una camera tutta per lei. Dopo due mesi di degenza, e il miglioramento delle condizioni, permise di far ritorno a casa. Altre due sorprese: primo, trovammo la casa completamente ristrutturata. Secondo, tuo padre era riuscito a fare avere la pensione a mia madre in base alla sua malattia. Non ci capivo più niente, tre mesi di presenza di un uomo, a cui già volevo molto bene, e la mia vita cambiava decisamente. Tuo padre veniva a trovarci spesso, quasi tutte le sere. Ogni volta che arrivava portava un sacco di cose. Lui e la mamma restavano per ore a parlare, mentre io guardavo la TV. Avrei voluto fosse veramente mio padre, sarebbe stato il massimo, era un uomo eccezionale. Passarono quasi due anni. Poi la vita evidentemente accanita a volermi far soffrire, mi trascina di nuovo nello sconforto. Un pomeriggio torno a casa, mia madre stava piangendo a dirotto. Gli chiesi cosa fosse successo: “Alberto…alberto…è morto, è morto”. Piansi tantissimo, avevo perso un amico, un padre acquisito, avevo perso la compagnia e la persona che aveva permesso a mia madre di stare meglio. Dopo due settimane seppi che si era ucciso, non potevo crederci. Venni a sapere della tragedia andando in clinica per riprendere la roba che lasciavo nel suo ufficio. Quel giorno feci anche una macabra scoperta: stavo per entrare nel suo ufficio di nascosto, all’interno c’era tua madre e tuo zio che facevano l’amore, capisci, due settimane dopo. Mi videro, mi presero e mi portarono in una stanza attigua allo studio. Mi schiaffeggiarono immediatamente. Piangevo dalla paura e dal dolore. Mi minacciavano, non dovevo dire niente di quello che avevo visto, e continuavano ad infierire su di me con schiaffi violenti minacciandomi persino di morte. Ricordo quel momento ancora oggi, ero piccola, 12 anni, con tanta paura addosso scappai via. Non ho mai detto niente a nessuno, nemmeno a mia madre, ora mi pento. Adesso sono cresciuta e sono sola al mondo, mia madre mi ha lasciato un anno fa. Ho 20 anni, ed ho scoperto che tuo padre voleva bene a me e alla mamma, altrimenti non capisco il suo gesto. Infatti un mese dopo il compleanno per i miei diciotto anni, vengo chiamata da un notaio. In un primo momento credo ad uno scherzo, poi, una seconda convocazione, così decido di andare. Quando mi recai dal notai trovo un uomo anziano, mi fece sedere, e dopo un po’ tira fuori da un cassetto dei fogli e due lettere. I fogli contenevano un testamento a mio favore: tuo padre mi ha lasciato una casa in eredità. Una piccola casa che si trova sulle sponde del lago di Bracciano. Ci sono già stata, voglio trasferirmi lì al più presto. Poi il notaio apre una prima lettera dove c’è scritto: “Ciao piccola, credevi che mi fossi dimenticato di te. Sciocca, come potevo, sapessi quanto ti ho voluto bene. Adesso goditi la vita. Il qui presente notaio ti darà tutto quello che ti servirà per diventare un bravo medico, ti ricordi, volevi fare il medico, adesso puoi farlo. La casa è tua, in banca troverai tanti soldi per te. Spero che la vita possa sorriderti tanto. L’altra lettera che il notaio ti consegna, non devi aprirla, la devi consegnare chiusa e sigillata a mio figlio Michele. Mi raccomando, la lettera deve arrivare nelle sue mani e dovete leggerla insieme. Ti prego, non darla a nessun’altro se non a mio figlio, capito, amore. A, dimenticavo, sei anche proprietaria della clinica al 10%, pertanto auguri, ti voglio bene, sono certo che tu e Michele sarete il mio orgoglio. Dopo la seduta dal notaio ho trascorso un mese a riempire tanti documenti, ma adesso è tutto a posto, tocca solo convincere tua madre a farmi lavorare per quel 10% che tuo padre ha voluto destinare a me. Tuo zio e tua madre, dopo la mia ricomparsa, mi odiano tantissimo, per questo tuo zio ha detto quelle parole poco fa. Adesso, Michele, questa è la lettera di tuo padre. Come vedi c’è ancora il sigillo del notaio, nessuno l’ha mai aperta, non so cosa c’è scritto, adesso, forse, potrò sapere altro, e lo saprò insieme a te. Prima dobbiamo aprire i cento euro, nella lettera destinata a me c’è scritto che prima della lettera dobbiamo aprire i cento euro, vediamo cosa c’è scritto: “22 dicembre 1970, ore 14.32, oggi ho visto la luce negli occhi di una bambina”.
<<Non Piangere>>, dice Michele.
<< È troppo quello che ha fatto tuo padre, aveva semplicemente scritto la data e l’ora, per far sì che tu potessi convincerti facilmente. Credo che nella lettera c’è molto che non conosco, forse oggi è un altro giorno meraviglioso della mia vita>>…..continua
I fatti narrati nel racconto sono frutto della fantasia dell’autore, ogni riferimento a cose o persone e le tutto casuale