Il sorriso degli angeli (1°Parte)

Ritornare a casa si trasforma in un incubo. Ultimamente le cose sono peggiorate. Da quando ho perso l’incarico annuale come insegnante, non riesco a trovare una nuova collocazione, anche un asilo, purché non debba dipendere da mia moglie.

Il sorriso degli angeli (1°Parte)

Ritornare a casa si trasforma in un incubo. Ultimamente le cose sono peggiorate. Da quando ho perso l’incarico annuale come insegnante, non riesco a trovare una nuova collocazione, anche un asilo, purché non debba dipendere da mia moglie. Invece eccomi qui, apro la porta, spero che il Dio mi faccia trovare la consorte meno inviperita del solito. E pensare che fino a qualche anno fa tutto sembrava meraviglioso, invece l’inferno è entrato nel nostro rapporto di coppia, e non c’è sera che non finisce in una battaglia in attesa di quella definitiva che faccia finire la guerra.
<<Ciao amore>>.
<< Il disoccupato è rientrato>>.
<<Non è colpa mia se non si trova lavoro>>.
<<La solita scusa>>.
<<Perché dici così, tu sei fortunata, hai un posto fisso, e non hai nulla a che vedere con noi vittime del precariato eterno della scuola italiana>>.
<<Frottole>>.
Ecco, lei è Marika, la mia dolce metà, che mi accoglie ormai da un anno sempre allo stesso modo. Gli metterei le mani alla gola, non per ammazzarla, ma per fargli sentire la rabbia che covo dentro a dover chiedergli un euro per prendere l’autobus. Marika l’ho sposata con tutto l’amore che provavo dentro. Non l’ho mai tradita, anche se adesso lo meriterebbe tutto un tradimento. Lei non so. Adesso le cose non vanno più bene. Ogni giorno che passa l’amore si sta trasformando in odio profondo. I suoi atteggiamenti ledono la mia personalità. Mi rendono un uomo innocuo. Dopo cinque anni di matrimonio devo anche rassegnarmi all’idea che il suo volere non ha mai voluto che diventassi padre: la cosa che più desidero al mondo.
<< A proposito, disoccupato eterno, è arrivata questa lettera. Per educazione non l’ho aperta, ma sarà un’altra minchiata delle tue>>.
Apro la lettera, è indirizzata a me da una scuola privata della periferia di Roma. È dall’altra parte della città. Fa niente: accetto qualunque cosa pur di liberarmi di Marika.
· Gentile professore, abbiamo visionato attentamente il suo curriculum ed è degno di rispetto. Purtroppo non possiamo offrirle un ruolo in merito alle sue competenze, però vorremmo fare tesoro della sua professionalità per un ruolo diverso ma comunque utile ai fini dell’istruzione. Attendiamo una sua visita nella nostra scuola, poi sarà lei a decidere.
<<Allora, di che si tratta, professorino>>.
<< È una scuola alla periferia di Roma, dall’altra parte della città, mi offrono un ruolo, ma non si capisce bene. Domani ci vado per capire meglio>>.
<<Bene, domani vedremo che tipo d’insegnamento ti affidano>>.
La sua ironia mi turba. Senza nemmeno cenare vado a letto per far passare la serata senza sentire le sue battutacce. Il mattino dopo alle sei sono già alla fermata dell’autobus. Non posso permettermi l’auto, quindi ogni mio spostamento avviene con mezzi pubblici. La mia consorte invece, poiché è occupata fissa, ha la sua auto sfiammante, che io non posso nemmeno toccare. Alle otto sono davanti ai cancelli della scuola misericordia delle suore dello spirito santo. Ero finito proprio nel posto giusto: un po’ di pace mi fa bene. Entro. La madre superiore mi invita ad attendere il preside. Dopo quindici minuti arriva il preside. Dopo i saluti di rito: “Professore, sono certo che anche lei tra pochi minuti sarà di nuovo fuori senza nemmeno pensarci su due volte”. Non capisco bene la sua affermazione. Quasi frastornato: “perché”, chiesi. Il preside non mi diede nessuna risposta. Guarda fisso il lungo corridoio, s’incammina verso la meta prefissata: l’aula che doveva essere mia. Apre la porta: “Professore, benvenuto, se accetta questa è la sua classe”. Rimango di stucco, quasi mi manca il respiro: nell’aula c’erano quindici bambini con la sindrome di down. Tutti in silenzio, quasi fossero abituati al riturale di vedere la porta aprirsi e un maestro a visionarli e decidere se accettare o no. Li guardo anch’io. Sento il cuore in gola dalla tenerezza che mi fanno. Mi guardano fissi. Nessuno dice una parola. Dal banco della seconda fila un bambino, all’incirca sette anni, mi lancia un sorriso particolare, quasi a dirmi dai, non andartene pure tu. Sono frastornato, non capivo più dov’ero. “Accetto”. Il preside mi guarda: “Sicuro professore che vuole accettare”. “Sì, sì che accetto. Questi bambini non hanno nulla da imparare, semmai siamo noi che dobbiamo imparare da loro”. Il preside mi guarda per un istante: “Credo di aver trovato la persona giusta. Grazie professore. Dopo venga nel mio ufficio che regoliamo il contratto”.
Entro nella classe. I piccoli mi guardano con attenzione. Ognuno segue ogni mio movimento con lo sguardo. Facciamo conoscenza, ad ognuno chiedo il nome, l’età, e la professione dei genitori. Osservo le loro risposte per capire il grado di difficoltà. Solo tre di loro mostrano delle difficoltà superiori al resto della classe. Mi scappa un sorriso: io professore di fisica ad insegnare a quindici ragazzi down stupendi, meravigliosi, che avevano bisogno più che di un maestro di un amico. Ed io ero pronto a recepire la sfida lanciata dal destino abbandonando il mio essere professore di fisica e regalare a questi bambini uno stimolo in più per accettare la vita com’è. Finisco la mattinata di approccio, mi reco dal preside per la firma del contratto.
<<Allora professore, è ancora convinto di accettare>>.
<<Non ho dubbi: è una sfida che accetto volentieri>>.
<< Per primo devo dirle che molti dei bambini lasciano la classe alle ore sedici, quindi lei deve restare fino alle 16, però in compenso la mattina può arrivare anche alle dieci, durante la sua assenza sarà una suora ad occuparsi dei bambini. Le sta bene?>>
<<Certo>>.
<< Allora per premiare la sua buona volontà di misurarsi con una avventura diversa dalle sue competenze io e la dirigente abbiamo deciso di premiarla con uno stipendio diverso dagli altri insegnanti. Le offriamo 2500 euro mensili fino a fine anno scolastico. Che ne dice?>>.
<<Non posso ambire a qualcosa di più, già è tanto. La ringrazio signor preside>>.
<<Chiamami Alfredo, sono sicuro che diventeremo ottimi amici. A domani allora>>.
<<Ok Alfredo, a domani>>.
Una volta a casa preparo l’affronto con Marika. Sicuramente il suo atteggiamento porterà ad una accesa discussione. Non mi sbagliavo:
<< Sei un’incosciente, non dovevi accettare: un professore di fisica che fa la balia a quattro ragazzi malati. Cosa diranno le mie amiche quando sapranno che insegni in quella scuola e per giunta a ragazzi con difetti fisici. Domani vai lì e dici che rinunci>>.
<< Marika, sei spregevole. Non sei la ragazza che ho sposato, dolce, simpatica, affettuosa, ma che cazzo ti è successo in questi due anni>>.
<< Si cambia, tutto qui>>.
<<Tu sei cambiata in peggio, non ti riconosco più. Adesso però faccio come dico io. Non mi importa di cosa pensano gli altri, di cosa pensi tu, si fa a modo mio. Ti piaccia o no, la musica è questa>>.
<<Allora trovati un buon avvocato, chiedo la separazione>>.
<<Quando mi arriva la tua richiesta di separazione mi trovo il legale. Meglio interrompere il nostro rapporto che andare avanti con questo tormento continuo. Io ho sposato un’altra donna, e tu oggi non sei quella che ho sposato, quindi meglio separarci che continuare a farci del male>>.
<<Giusto. Ognuno per fatti suoi>>.
Lascio la discussione e mi ritiro in camera. Marika sta diventando insopportabile, aspetto perlomeno che possa ritornare alla ragione e torni ad essere quella ragazza dolce e meravigliosa alla quale chiesi di sposarmi in ginocchio sotto una pioggia battente. Segue…
I fatti narrati sono frutto della fantasia dell’autore, ogni riferimento a persone o cose è puramente casuale.