Renato Carosone: “Napoli nobilissima”
Primavera 1937. Napoli, quartiere Porto. In via Mezzocannone, strada nota in epoca rinascimentale come: Vico dei Tintori, per la presenza di numerosi artigiani dediti alla tintura di tessuti, il diciassettenne Renato Carosone, studente di pianoforte all’ultimo anno del Conservatorio di San Pietro…

Primavera 1937. Napoli, quartiere Porto. In via Mezzocannone, strada nota in epoca rinascimentale come: “Vico dei Tintori”, per la presenza di numerosi artigiani dediti alla tintura di tessuti, il diciassettenne Renato Carosone, studente di pianoforte all’ultimo anno del Conservatorio di San Pietro a Majella,uscito dal portone della sua abitazione, sta percorrendo la ripida salita che lo condurrà dapprima in piazzetta Nilo, e da lì, alla casa editrice di E.A Mario, noto compositore e autore di canzoni, presso cui lavora come “ripassatore”, ovvero insegnante delle canzoni della tradizione classica napoletana ai cantanti della nuova generazione, quando viene fermato da un suo ex compagno di scuola Elementare. “Oh, oh!…e che figurino!…Renati’…e come sei elegante!…e dove te ne vai di bello così vestito?…”, domanda il ragazzo, fattorino di una nota pasticceria del Centro storico. “Buongiorno!…ma tu,chi sei?….ti chiedo scusa,ma non ricordo…cioè, no, qualcosa ricordo…il tuo viso,infatti, non mi è nuovo, ma non mi viene in mente il tuo nome!…”, risponde l’adolescente al coetaneo. “Renati’,ma come non ti ricordi?…io stavo a scuola con te, alle Elementari…Renati’!: io sono Salvatore, Salvatore Capece, il figlio di Pasquale, Pasquale, il meccanico…giocavamo sempre a campana e a nascondino con Antonio, il figlio del salumiere…”, cerca di farsi riconoscere il garzone di pasticceria. “Salvatore, certo!… Salvatore detto : “Sasà!”…sei tu!…Ah, mo’ sì che mi ricordo!…Salvato’…non ci vediamo dall’ultimo giorno insieme con la maestra, la signora Squillante!…sono passati dieci anni, eh?…e intanto siamo proprio cresciuti!…ma tu dimmi, dimmi di te, come stai, che fai, come vivi?…”, domanda il giovane Carosone. “Iooo?…tu piuttosto!…sembri un attore!…eh, e come sto Renati’?…sto come mi vedi!…faccio il fattorino nella pasticceria di Don Ciccio Gaeta…”, risponde l’ex compagno di scuola, continuando: “Don Ciccio è una brava persona…sa che mi piacerrebe fare il pasticcere e che un giorno vorrei aprire un negozio tutto mio e mi sta insegnando l’arte di fare i dolci!…Mo’ però tocca a te…mi devi dire tutto!…Jamme ja’, dove te ne vai così, come un figurino?…”. “Salvato’, ma quale figurino e figurino…io studio pianoforte al Conservatorio e tra qualche mese , se tutto va bene, mi diplomerò…nel frattempo faccio qualche lavoretto per non pesare su papà…che fa sempre l’impresario al Teatro Mercadante…lavoro alla casa editrice E.A. Mario: faccio il “ripassatore”, insegno ai cantanti nuovi le canzoni del passato!…”, racconta il giovane pianista, destando l’ammirazione nell’ex compagno di scuola. “Ah,ah!…Renati’, allora lo vedi che avevo ragione io!…allora fai l’artista?…Renati’,l’artista!…Uhè, ma quando diventerai un celebrità lo posso dire in giro che siamo amici o ti offendi?…”, chiede il tuttofare della pasticceria. “Eh, se… se!…prendi in giro tu!…ma qua’ famoso?, a me basta di suonare…e poi comunque, certo che lo puoi dire che siamo amici!…però tu, quando apri la pasticceria, mi devi segnare come cliente fisso!…”, commenta Carosone. “Certo Renati’ , per te , per il mio amico artista tutte le paste del mondo: babà, sfogliatelle, cassate, sciù…pastiere…tutte le prelibatezze per il mio amcio Renatino, che, me lo sento , porterà in alto il nome della nostra Napoli nel mondo!…”, auspica l’ex compagno di scuola, chiosando: “Buona fortuna, Renati’!…e tanti saluti a te, la Napoli nobilissima!…”.
“Sono nato il 3 gennaio del 1920. Dire quando, però, non risolve il problema. Adesso dovrei raccontarvi della mia infanzia , trascorsa in Vico dei Tornieri, for’a Marina, a due passi da piazza Mercato, cuore di una Napoli stracciona eppure nobilissima”. Con queste parole, Renato Carosone racconta nel diario autobiografico: “Un americano a Napoli”, delle sue umili origini e delle traversie affrontate prima di diventare , insieme con Totò, i fratelli De Filippo e Massimo Troisi, volto e voce-simbolo di una Napoli d’arte, che crea, diverte, stupisce e desta in chi l’osserva ammirazione, quando non è troppo impegnata a lottare per la sopravvivenza. La storia di Carosone, lo ha scritto lo stesso artista, ha inizio in un’abitazione del quartiere Pendino, dove in una fredda giornata di gennaio, viene al mondo. Fratello maggiore di Olga e Ottavio, dedica la sua infanzia e l’adolescenza allo studio del pianoforte cui è avviato dal padre, impresario del Teatro Mercadante. Completati gli studi presso il Conservatorio di San Pietro a Majella, sotto la direzione dei maestri: Albanese, Romaniello e Capuano, si diploma nel 1937, ma può già vantare una serie di utili esperienze: a quindici anni, infatti, era stato scritturato come “pianista-commentatore” da Ciro Perna, patrono dell’“Opera dei pupi” e assunto dal letterato-giornalista, autore di canzoni, E.A. Mario, come “ripassatore” (insegnante di canzoni del repertorio classico partenopeo ai cantanti della nuova generazione), presso la sua casa editrice musicale. Ingaggiato come musicista da un capocomico, nel 1938 parte per le colonie italiane dell’Africa orientale, al seguito di una compagnia d’arte varia, la quale è solita proporre in ristoranti e caffè-concerto un repertorio di varietà, riviste e commedie dialettali. Tuttavia, l’insuccesso riscontrato presso gli spettatori , spinge i commedianti a interrompere la tournèe e a decidere di far ritorno in Italia. Nonostante ciò, il giovane Carosone non demorde e, trovato impiego come pianista in un locale di Asmara, prende dimora ad Addis Abeba. Le terribili spire della Seconda Guerra Mondiale, aggiuntesi a quelle del colonialismo avviluppano il continente africano, costringendo il musicista ad arruolarsi e a combattere sul fronte somalo-italiano. Rientrato soltanto nel 1946 in Italia e nella sua amata città, Napoli, riprende la carriera di pianista e, divenuto membro di alcune orchestre jazz, si esibisce in club e locali notturni frequentati da soldati e marines americani. In uno di questi, lo “Shaker“, conosce la futura moglie Marisa, detta: “Lita”, e due ragazzi dalla personalità estrosa e dal grande talento musicale: Gegè Di Giacomo, nipote del più noto Salvatore e Peter Wan Wood, olandese d’origine, ma di cittadinanza americana, autore con Fiorenzo Fiorentini del motivetto accattivante: “Tre numeri a lotto”. Intuendo le loro potenzialità, decide di formare un trio: il “Trio Carosone”. Il debutto , avvenuto il 28 ottobre del 1949 proprio allo “Shaker”, lascia ben sperare : piace al pubblico l’arrangiamento in chiave swing delle canzoni: “Scalinatella”, “Anema e core”, “Luna rossa”, proposto dalla formazione e, così pure le istrioniche performance realizzate dal Di Giacomo, capace , grazie alle buone doti d’intrattenitore, di trasformare un concerto in uno spettacolo teatrale. Nel 1952, Van Wood, dibattutosi a lungo tra la passione per la musica e l’interesse per il giornalismo,opta per la professione di cronista, facendo ritorno negli Stati Uniti. Carosone e Di Giacomo, allora, orfani di un elemento, non si perdono d’animo e nel giro di due anni , nel 1954 , danno vita a “Il gruppo 40“, complesso che vede: Franco Cerri alla chitarra, Claudio Berbardini al contrabbasso e Riccardo Rauchi al sassofono, sostituiti gradatamente da Alberto Pizzigoni , Piero Giorgietti eda Gianni Tozzi Rambaldi. Il quintetto suggella la propria affermazione nel 1955, lanciando il brano “Maruzzella“, scritto dagli autori Enzo Bonagura e Nisa (acronimo per Nicola Salerno), presentato in anteprima , nel corso di una serata, al dancing viareggino: “La Bussola“, di proprietà di Sergio Bernardini. Il ritornello malinconico della canzone , ispiratrice del film “musicarello” omonimo, interpretato dallo stesso Carosone e dall’attrice del momento, la “povera ma bella”, Marisa Allasio, conquista non solo il cuore della sua fidanzata “Lita”, che, rapita, dalla malia delle note,decide di capitolare, ma anche degli ascoltatori, determinati nell’assegnare alla struggente melodia la palma di “lento più ballato dell’estate”. Il gruppo, presto trasformatosi in un sestetto, con l’aggiunta di un clarinettista , Tonino Grottola , e di un percussionista, Raf Montrasio, fra il 1956 e il 1958 incide le canzoni: “Tu vuo’ fa l’americano”, “Torero”, “‘O sarracino”, “Pigliate ‘na pastiglia”, “Caravan petrol”, divenute hit internazionali, contestate però dai “puristi” della canzone napoletana, nostalgici della melodia tutta mandolini e pizzicati e della soave aulicità di testi carichi di soffernze e struggimenti d’amore e disorientati dinanzi alla pragmaticità con cui il pianista liquida i patemi degli innamorati delusi, consigliando: “Pigliate ‘na pastiglia sient a mme”. Il pubblico partenopeo, quindi, si divide tra: “conservatori” e “innovatori”, ferventi estimatori , i primi, della canzone classica napoletana, amanti, i secondi, delle nuove tecniche di registrazione su nastro, delle variazioni di velocità e del taglio ritmico-parodistico, impiegati dal “Maestro Carosone”, che persevera nel sottoporre agli ascoltatori i suoi esperimenti di jazz, swing , samba e beguine . Entusiasti del cambiamento, anche gli italiani e i napoletani all’estero, per i quali il “virtuoso del pianoforte”, nel 1957, tiene concerti in Nord e Sud America, approdando in chiusura addiruttura alla “Carnegie Hall” di New York. All’apice del successo, Carosone stupisce ammiratori e giornalisti, annunciando il ritiro dalle scene: “Il gusto della gente è mutato, non c’è più spazio per il jazz e lo swing!”. Lontano dal palcoscenico, coltiva l’interesse per le arti figurative e rivela una spiccata abilità nella pittura, disciplina artistica che studia a Milano , presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Non rinuncia , però, a tenere concerti in occasioni pubbliche o a prendere parte nel 1989 , in veste di concorrente , alla kermesse sanremese , classificandosi al quattordicesimo posto con il brano: “Na canzuncella doce doce“. Morirà, domenica 20 maggio 2001, nella sua casa romana, all’età di ottant’anni, lasciando al pubblico , che lo scorso 3 gennaio ha celebrato il centeneraio della sua nascita, ricordato anche nel corso del Premio Carosone ,svoltosi il 27 luglio, l’esempio di una dignitosa , intelligente bonomia; bonomia con cui aveva scritto e cantato: “Faciteme cantà ‘na canzoncella/ che a tutte quante voglio dedicà/ ‘na canzuncella doce doce/ che parte ‘a Napoli e luntano vo’ arrivà/ ‘na canzuncella ca facèsse truvà pace / a tutta ‘a gente ca int’a pace nun ce sta/ ‘na canzuncella ca trasèsse dint’o core/ putèsse fa rummore pe’ chi nun vo’ sentì/ ‘na canzuncella che dicèsse a tutte quante/ vuliteve cchiù bbene e i so’ cuntente”.