Aumenta tutto, tranne gli stipendi: la truffa dell’inflazione per affamare gli italiani | Intanto loro si mettono in tasca i milioni

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La strategia della “competitività” svela il suo vero volto: un arricchimento per pochi, a costo della povertà di molti

Il concetto di inflazione è spesso percepito come un fenomeno astratto e lontano, ma le sue conseguenze si ripercuovono direttamente sulla vita di tutti i giorni, in particolare sul potere d’acquisto delle famiglie.

Quando i prezzi dei beni e dei servizi aumentano a un ritmo più veloce rispetto agli stipendi, si innesca un meccanismo che impoverisce progressivamente i lavoratori, un fenomeno che in Italia è stato particolarmente evidente negli ultimi decenni.

La stagnazione dei salari in Italia, infatti, è un dato di fatto: dal 1990 al 2020, i salari medi lordi sono aumentati di circa l’1%, un valore che, al netto dell’inflazione, si traduce in una perdita del potere d’acquisto.

In altre parole, a parità di lavoro, oggi gli italiani possono comprare meno rispetto a trent’anni fa.

La doppia beffa: inflazione e stagnazione salariale

L’inflazione, pur essendo un fenomeno globale, ha un impatto più marcato su economie con salari rigidi, come quella italiana. Mentre i costi di energia, materie prime e beni di consumo continuano a salire, la retribuzione dei lavoratori resta ferma. Questo divario crea una pressione finanziaria notevole sulle famiglie, che si trovano a dover affrontare spese maggiori con entrate invariate.

La situazione è ulteriormente aggravata dalla percezione che, mentre i cittadini comuni subiscono l’erosione del proprio potere d’acquisto, alcune élite economiche e politiche continuano a godere di redditi e privilegi elevati. La sproporzione tra i sacrifici richiesti ai lavoratori e i guadagni di pochi alimenta un senso di ingiustizia sociale, mettendo in discussione il concetto di equità e meritocrazia.

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Mario Draghi e la “competitività” a costo zero

Nel marzo del 2025, un intervento di Mario Draghi ha sollevato un’onda di polemiche. Durante un convegno a Roma, l’ex Presidente del Consiglio avrebbe ammesso, con un’espressione imbarazzata, che la scelta di mantenere i salari bassi non era stata una mera conseguenza di dinamiche economiche, ma un vero e proprio strumento strategico: “Abbiamo dovuto sacrificare la crescita dei salari per garantire la competitività del Paese sul mercato internazionale“.

Le parole di Draghi hanno riacceso il dibattito sulle sue retribuzioni e sui suoi benefit. La sua ultima dichiarazione dei redditi, risalente al 2021, ammonta a €527.319. A questo si aggiunge una pensione d’oro che supererebbe i €14.000 al mese. Una cifra che, se paragonata alla media degli stipendi italiani, suona quasi come un’offesa.