Francia, Lecornu si dimette: “Non c’erano le condizioni per restare”. Cosa succede adesso a Parigi

Francia (Pixabay) - Quotidianoitalia
Le ragioni dell’addio e il percorso istituzionale verso il dopo-Lecornu
La decisione di Sébastien Lecornu è arrivata al termine di giornate segnate da pressioni parlamentari e tensioni nella maggioranza. Il premier ha motivato l’uscita con una formula netta – «non c’erano le condizioni per restare» – che, in politica francese, equivale a dire che la tenuta numerica e l’intonazione programmatica non garantivano più un lavoro efficace. Sullo sfondo, l’incrocio tra dossier economici interni (inflazione, potere d’acquisto, riforme sociali) e i capitoli europei e di sicurezza, che richiedono un esecutivo capace di muoversi con rapidità e coesione.
Dal punto di vista istituzionale, il percorso è codificato: il primo ministro presenta le dimissioni al presidente della Repubblica, che le accetta e, contestualmente, chiede al governo uscente di restare in carica per gli affari correnti fino alla nomina del nuovo esecutivo. Si apre quindi la fase delle consultazioni con i leader dei gruppi parlamentari e, se necessario, con gli attori sociali più rilevanti. Due strade appaiono teoricamente sul tavolo: un nuovo premier con una maggioranza ridefinita (anche con intese puntuali su singoli provvedimenti) oppure un rimpasto ampio con rilancio programmatico. Meno probabile, ma non impossibile nella storia della Quinta Repubblica, lo scenario di scioglimento e ritorno alle urne, opzione che di norma l’Eliseo tiene come extrema ratio per evitare vuoti di governabilità.
Il messaggio politico dell’addio è chiaro: la navigazione con numeri stretti all’Assemblée Nationale è diventata troppo costosa in termini di tempo e compromessi. Le riforme che richiedono voti larghi – dal bilancio alla politica industriale, fino ai capitoli energia e transizione – rischiavano di impantanarsi. La dimissione, in questo senso, è anche un tentativo di riaprire il perimetro, costringendo i partiti a uscire dall’equilibrio precario che ha caratterizzato l’ultima fase e a misurarsi con un nuovo assetto di responsabilità.
I dossier caldi: bilancio, energia, sicurezza europea e fiducia dei mercati
Il primo banco di prova del prossimo esecutivo sarà il bilancio. Con i conti pubblici sotto osservazione e i tassi ancora elevati, Parigi deve coniugare disciplina fiscale e sostegno alla crescita, evitando tagli lineari che deprimano la domanda. La transizione energetica resta un altro capitolo dirimente: investimenti su nucleare e rinnovabili, infrastrutture di rete e politiche di efficienza che tocchino famiglie e imprese senza scaricare tutto sui prezzi finali. La credibilità del programma – più che gli slogan – sarà determinante per rassicurare i mercati e contenere la volatilità sui titoli sovrani.
Sul fronte estero, la Francia rimane un pilastro della sicurezza europea. Dalla difesa comune ai teatri di crisi nel vicinato, la capacità di proiezione e coordinamento con gli alleati è legata alla stabilità dell’esecutivo. Cambiare premier non significa cambiare postura, ma ogni passaggio politico richiede di ricalibrare priorità e tempi decisionali. In sede UE, inoltre, i dossier su competitività e politica industriale – incentivi, supply chain strategiche, AI, semiconduttori – richiedono una voce francese compatta nei negoziati con partner e Commissione.
All’interno, la cartella sociale resta densa: potere d’acquisto, sanità, scuola, trasporti. Sono i temi che incidono più direttamente sull’umore del Paese e sul consenso. Un nuovo premier dovrà scegliere se puntare su pochi interventi ad alto impatto (bollette, salari minimi di settore, mobilità urbana) o se diluire le riforme in una road map più lunga ma politicamente meno rischiosa. In entrambi i casi servirà un metodo: testo chiaro, calendario credibile, misurazione dei risultati per non smarrire il filo tra annuncio e realtà.
Per gli osservatori, la chiave sarà capire se l’Eliseo cercherà un profilo di continuità tecnica – volto a blindare i dossier europei e finanziari – o una figura più politica, capace di ricucire con l’Assemblée e con i corpi intermedi. La scelta determinerà il linguaggio del prossimo governo: più riformista-pragmatico o più rammendatore del tessuto sociale. Intanto, i ministeri restano operativi sui fascicoli urgenti, mentre gli apparati preparano scenari per i primi cento giorni del successore.
In sintesi, le dimissioni di Lecornu non sono solo la chiusura di una fase: sono l’apertura di un negoziato a tutto campo su linea politica, maggioranza e priorità del Paese. La Francia entra in una zona di transizione che richiede scelte rapide ma ponderate. Dal nome del nuovo premier e dall’architettura del governo dipenderanno non solo la stabilità dei prossimi mesi, ma anche la capacità di Parigi di incidere, con voce autorevole, sui grandi tavoli europei e internazionali.