“Eleonora Duse : la diva della bella époque”

22 aprile 1924 .Cargnacco , Gardone . Sul far dell’alba una fosca umidità avvolge il profilo austero e superbo di una villa prospiciente le acque di un lago. Il silenzio della notte, appena dileguatasi per lasciar posto al giorno , è rotto dall’ improvviso canto di un ‘ allodola , tenacemente

“Eleonora Duse : la diva della bella époque”

22 aprile 1924 .Cargnacco , Gardone . Sul far dell’alba una fosca umidità avvolge il profilo austero e superbo di una villa prospiciente le acque di un lago. Il silenzio della notte, appena dileguatasi per lasciar posto al giorno , è rotto dall’ improvviso canto di un ‘ allodola , tenacemente abbarbicata al ramo di un ‘esile betulla. Al primo piano del grave edificio , una stanza, illuminata da una luce flebile , nasconde ,agli occhi del mondo , le inquiete fragilità di un uomo : Gabriele D’Annunzio, poeta- vate della Nazione italiana , raffinato esteta , soldato- pioniere , avventuriero dalle imprese spregiudicate, ormai, ridotto a pallido, sbiadito , simulacro di sé. Cimeli di guerra appesi alle pareti raccontano di uno spirito indomito e, fotografie ,incorniciate da intarsi lignei , esibiscono : autentico coraggio,compiacimento del rischio e ricerca del bel gesto . Solo un letto a baldacchino , coperto con lenzuola bianche ,di seta tradisce un temperamento lascivo , incline alla mollezza estenuata. L’uomo , seduto dinanzi a uno scrittoio popolato di preziosi faldoni e busti bronzei , ritratti di storici condottieri, sbrigata la corrispondenza , sfoglia , distratto, un quotidiano , quando la sua attenzione viene richiamata da uno “strillone” a tutta pagina : “ Eleonora Duse , la divina attrice della bella époque , non è più ! “. Tremante , incredulo , preda dello sconforto , si dirige verso un trumeau dal quale estrae un quaderno foderato di raso rosso ; con le mani ne accarezza la copertina e, vincendo l’esitazione , lo apre e legge : “Biografia di Eleonora Duse , attrice , mirabile interprete del teatro moderno “ ; quindi , ripercorre , alacremente, attraverso la lettura , la vicenda umana e artistica della donna amata. “Oh , Giovinezza, ahi me , la tua corona su la mia fronte già quasi è sfiorita! ; l’immensa gioia di vivere, d’esser forte, d’esser giovane, di mordere i frutti terrestri , con saldi e bianchi denti voraci, m’abbandona! . Solo sapendo di lei , solo frugando tra i suoi ricordi e , custodendone la memoria , potrò sopravviverle ! .Comincerò con l’evocarne la nascita , a Vigevano , in quel 3 ottobre del 1858 , presso una famiglia di attori dilettanti , membri di una compagnia itinerante e , gli esordi , nel 1862 , a quattro anni , interpretando il ruolo di “Cosetta” ne : “I miserabili “ ( dall’omonimo romanzo del francese Victor Hugo) , accanto al padre , Alessandro Vincenzo Duse e, alla madre, Angela Cappelletto. A vent’anni , nel 1878 , dopo aver impersonato “amorose” e scaltre servette in scenari della commedia dell’arte , elaborati dalla Compagnia Ciotti –Belli Blanes , divenne “prima attrice” , cimentandosi nel dramma :“Thérèse Raquin”, tratto dal romanzo del naturalista francese Emile Zola. Caparbia e determinata, aveva le idee chiare : – Perché continuare a dar vita a insulse figure di donne condiscendenti , complici di un sistema, quello borghese, che le relega, nella dimensione domestica ? ; perché restare ancorate alle convenzioni del Romanticismo , utilizzando l’ anacronistica forma della tragedia e del dramma storico ? ; perché non svelare all’ Italia l’inganno delle promesse politiche d’unità e di progresso , mostrandole, finalmente ,il suo reale declino?- . Così , nel 1879, ingaggiata dalla Compagnia Semistabile di Torino, rifiutò di recitare i vuoti stereotipi ,approntati dai drammaturghi italiani , importando dalla Francia “la piéce ben faite” ovvero : “ il dramma borghese “ . Dal 1880 al 1890 , fu interprete delle opere di Victorien Sardou e di Alexandre Dumas figlio ,smascherando , con la sua espressività intensa ed enfatica , l’ipocrisia e il finto perbenismo della società capitalistica , trincerata nell’ apparente ossequio verso il matrimonio, la famiglia , il lavoro che , invece, sacrifica , impunemente , sull’altare del Dio- denaro , unico regolatore di rapporti umani , privi di sincerità e disinteresse . In quegli anni , segnati dall’ aspra rivalità con l’attrice francese Sarah Bernhardt , che infiammò e divise i critici teatrali di mezza Europa ,la Duse delineò una serie di prototipi femminili alienati e irrisolti , alla costante ricerca della verità liberatrice. Attratto dalla sua personalità artistica e dalla sua fierezza aristocratica , spregiatrice del grigio diluvio democratico – borghese che tante belle e rare cose sommerge miseramente , volli conoscerla e , perché ciò avvenisse , mi recai in teatro ad applaudirne l’estro. Il primo incontro avvenne nel 1884 , al teatro Carignano di Torino , dove assistei al debutto di : “Cavalleria rusticana “, adattamento in prosa del melodramma di Giuseppe Mascagni, realizzato dallo scrittore verista Giovanni Verga , in cui la folla gelosia di una donna sconvolge gli abitanti di una tranquilla provincia siciliana , apportando in essa disperazione e lutto. Mi avvicinai a lei ,però, soltanto nel 1888 , quando , al termine della fortunata rappresentazione , tenutasi al teatro Valle di Roma , de : “La signora delle camelie “ ( dramma centrato sull’amore infelice di una “traviata” per un giovane borghese idealista e rivoluzionario , ricavato dal romanzo di Alexander Dumas –figlio) , l’attesi davanti al suo camerino , salutandone l’arrivo con l’ interiezione : “ Oh, grande amatrice ! “ . Mi ignorò : d’altronde ,allora , ero un ignoto ragazzetto riccioluto , di Pescara , avvenente di aspetto e di belle speranze , che aveva pubblicato qualche raccolta di liriche e novelle , sì, ma dal riscontro poco rilevante ; aspettai , paziente, che la fortuna e la Duse s’accorgessero , entrambe, di me ! . La vita della “Diva della bella époque” proseguì indisturbata tra matrimoni (con l’attore Tebaldo Cecchi ) , separazioni, relazioni infelici ( con lo scapigliato Arrigo Boito , grazie al quale conobbe il drammaturgo Giuseppe Giacosa che , nel 1887 , scrisse per lei : “Tristi amori”, vicenda di affetti e sentimenti rovinosi , riscattati dal lavoro e dal sacrificio , andata in scena al teatro Valle di Roma , il 24 marzo dello stesso anno) e, rappresentazioni teatrali del quotidiano . Nel 1890 ,però, alle consuete “storie di salotto” e di “triangolo amoroso” (marito-moglie- amante) , preferì le indagini sull’ inconscio e sulla psiche femminile del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen , accettando il ruolo di Nora in : “Casa di bambola “ , atto d’accusa rivolto dall’autore alla classe borghese , colpevole di ritenere la donna merce di scambio .Intraprese , perciò, lunghe tournèe all’estero , fino a che , nel giugno del 1892 , salutai il suo rientro in Italia , dedicandole le mie “Elegie romane “ , gesto, che la indusse a rivelare , tramite una missiva , il suo turbamento nei miei riguardi : – Mi abbandono a simili versi sorpresa di dimenticare l’amara sapienza dell’esistenza e di godere della lusinga che essi esprimono ! -, scrisse. Dal 1894 , fu mia donna e musa : all’indomani di un soggiorno nella città di Venezia ,in cui giurai che non l’avrei più lasciata ,acquistai ,per ottemperare alla mai promessa , una villa a Settignano (Firenze) , che denominai : “la Capponcina” ,posta a qualche metro di distanza dalla sua dimora , “la Porziuncola” . Mi servii del suo fervore creativo , componendo appositamente per lei numerosi drammi in prosa : i simbolici “Il sogno di un mattino di primavera “ (1897) e “Il sogno di un tramonto d’autunno” (1898) e , “La Gioconda” (1898) , storia di una donna che , per amore del marito ,scultore ispirato dalle forme di un ‘avvenente modella, sacrifica la propria dignità di moglie , assecondandone la passione adulterina ; poi, d’un tratto, il nostro rapporto si incrinò e mi legai all’ attrice francese Sarah Bernhardt, che diressi , a Parigi , come protagonista ne : “La città morta” (“La ville morte”) , intrigo di ambientazione contemporanea con l’innesto di archetipi classici ( l’incesto e la cecità) . Dopo qualche mese, mi perdonò e fu per me : “Francesca da Rimini “ (1901),dramma in versi , ispirato alla vicenda medievale della tragica passione della “ signora da Rimini “ per il fratello del marito ; “La figlia di Iorio”(1904) , storia di presunti incantesimi e sortilegi , svoltisi all’ombra di una primitiva e pastorale campagna abruzzese, dove la protagonista , Mila di Codro , fa innamorare di sé un padre ( Lazzaro) e un figlio ( Aligi) , spingendo quest’ultimo ad uccidere , per gelosia, l’anziano genitore . Incolpatasi dell’omicidio per salvare l’amato, la seducente fanciulla , più volte accusata di essere una strega , viene condannata e bruciata sul rogo ; Gigliola , delicata e virtuosa creatura ne “ La fiaccola sotto il moggio “ (1905) vittima di una torbida trama di sangue e vendetta , ordita dagli esponenti della nobile famiglia abruzzese dei Di Sangro ; Basiliola , donna crudele e fatale , sullo sfondo di una Venezia bizantina e barbarica ,ne “ La nave” (1906) . Delusa dalla mia condotta irriverente e dalle reiterate infedeltà , nel 1909, decise di allontanarsi da me , dal teatro e dall’Italia , non senza aver regalato al pubblico l’ennesima , trionfale interpretazione in : “Fedra “ , matrigna incestuosa dell’omonima tragedia di Euripide , da me riscritta . Le nostre strade si divisero : la villa detta “ la Capponcina” fu messa all’asta a causa dei debiti che contrassi per finanziare scriteriate iniziative ; mi ritirai , dunque, in volontario esilio , in Francia,ad Arcachon , vicino Bordeaux e , lì , produssi nuovi allestimenti per i teatri della regione . La monarchia risolse le mie pendenze , consentendo il ritorno in Patria di un figlio di valore ; dal 1915 al 1918 , gli anni della Grande guerra , fui assorbito dalle campagne interventiste , durante le quali pronunciai virulenti discorsi di istigazione alla conquista : il dominio delle plebi spetta all’aristocrazia ; per fortuna lo Stato eretto su le basi del suffragio popolare e dell’uguaglianza , cementato dalla paura , non è soltanto una costruzione ignobile , ma è anche precaria . Lo Stato non deve essere se non un istituto perfettamente adatto a favorire la graduale elevazione di una classe privilegiata verso un ‘ideal forma di esistenza . Questa riuscirà ,prima o poi, a riprendere le redini per domar le moltitudini ; non le sarà troppo difficile ricondurre il gregge all’ obbedienza . Le plebi restano sempre schiave ,avendo un nativo bisogno di tendere i polsi ai vincoli. Scesa l’Italia in guerra , mi distinsi in mirabili operazioni militari , arruolandomi con il grado di tenente dei Lancieri di Novara e , nel 1916, ferito all’occhio destro , trascorsi la mia convalescenza a Venezia : fu in quel periodo che appresi del ritorno in Italia della Duse , per girare una delle prime opere cinematografiche , “Cenere” , soggetto attinto dall’omonimo romanzo della sarda Grazia Deledda . Sentii crescere in me la speranza che accorresse al mio capezzale , ma l’illusione s’ infranse , quando seppi della sua repentina partenza per l’America . Mi gettai a capofitto nella “penultima ventura” : trasvolati i cieli di Vienna , compiuta la beffa di Buccari , a guerra conclusa , occupai la città di Fiume , contravvenendo alle decisioni prese dal governo italiano e dalla Conferenza della pace . Dal 1921 ,anno della meschina conclusione dell’impresa fiumana , questa villa sul Lago di Garda è divenuta il mio rifugio : il guerriero è stanco , ha deposto le armi ! ; le donne non gli sorridono più , lusingate ; è solo , ormai , nella grande casa !…. . Ieri , 24 aprile è morta a Pittsburgh , dove si trovava in tournée , la divina Eleonora Duse : attrice sofisticata , enfatica , volto di un teatro del rinnovamento , diva anticonformista . L’estremo respiro lo ha donato all’arte , come avrebbe voluto e, come desiderava , le sue spoglie mortali riposeranno al cimitero di Asolo” . Piange il poeta Gabriele D’Annunzio , mentre rilegge la notizia che campeggia sulla prima pagina del Corriere della sera e, tra singulti e accessi di rabbia , mormora e compita : “ E’ morta colei che non meritai ; come scorrea la calda sabbia lieve per entro il cavo della mano in ozio, il cor sentì che il giorno era più breve. E un ‘ansia repentina il cor m’assale per l’appressar dell’umido equinozio che offusca l’oro delle piagge salse . Alla sabbia del Tempo urna la mano era, clessidra il cor mio palpitante , l’ombra crescente d’ogni stelo vano quasi ombra d’ago in tacito quadrante”.