“Anna Maria Proclemer : la signora del teatro italiano”In evidenza
Anna Maria Proclemer , la “Signora del teatro italiano “ , viene insignita dal presidente della Repubblica ,

Anna Maria Proclemer , la “Signora del teatro italiano “ , viene insignita dal presidente della Repubblica , Oscar Luigi Scalfaro , del titolo di “Grande ufficiale “ . La prestigiosa cerimonia d’investitura si svolge in una stanza ricca di decorazioni fastose , arazzi e affreschi dipinti dai pittori rinascimentali Melozzo da Forlì e Guido Reni , alla presenza delle più alte cariche istituzionali , d’illustri personalità della cultura , dell’arte e dello spettacolo e di fotografi e giornalisti che , seduti su scanni regali , cercano di attirare l’attenzione per scattare foto o strappare qualche commento ai convenuti . Al centro della sala , un podio in legno di noce attende gli oratori , quando , di colpo, il brusio sommesso e indistinto degli astanti viene interrotto dall’ altisonante annuncio dell’arrivo del Capo dello Stato . Oscar Luigi Scalfaro , in elegante doppiopetto blu , dopo aver pronunciato una solenne orazione e una perorazione decisa in difesa delle “ Muse “ , elenca i nomi di coloro che , avendo dedicato l’intera esistenza alla Conoscenza , si sono distinti per virtù , merito e impegno . Mentre l’addetto dispensa le medaglie su un vassoio , i decorati , in fila , si appropinquano timidamente al Presidente . Gli onorifici dischi di metallo vengono consegnati e , a turno , i neo “Grandi ufficiali “ ringraziano per l’onorificenza concessagli . Tutti elogiano Scalfaro per la sua benemerenza e , nelle fotografie di rito ,gli stringono le mani tronfi e compiaciuti . Soltanto Anna Maria Proclemer , ignorando il cerimoniale e i finti convenevoli chiede di parlare : “ Buonasera , Presidente , Ministri , esimi colleghi ! . Benchè sia molto emozionata , trattenendo a stento la commozione , cercherò di esprimere in modo chiaro e lucido il mio pensiero . Aver ricevuto tale distintivo, emblema d’onore e di capacità, m’inorgoglisce enormemente . Se mi è permesso , però , preferirei mettere da parte la retorica dei complimenti per affrontare una questione che mi sta a cuore . Come Loro sanno , sono un attrice : il teatro è stato la mia casa ,la mia famiglia da quando , a diciassette anni, pur di recitare , ho abbandonato Trento , la città in cui sono nata il 30 maggio del 1923 . Era il 1941 : l’Italia era da poco entrata in guerra ; nella Penisola si era diffusa una fervida speranza di conquista che non saprei spiegare . Allora , determinata nella mia incoscienza , diedi l’ “addio ai monti “ e , noncurante delle bombe e dei carri armati , giunsi nella Capitale . Non m’importava del freddo e della fame : il mio unico desiderio era il palcoscenico e, vi salii, debuttando con la Compagnia dell’ Università di Roma nella piéce : “Nostra Dea “, testo surrealistico di Massimo Bontempelli, professore , giornalista , letterato, che ebbi la fortuna di conoscere proprio la sera della prima . Questi lodò la mia interpretazione e mi spronò a ricercare, sempre, nella quotidianità qualcosa di magico e io ricambiai la sua cortesia , manifestandogli la stima per essersi opposto con coraggio all’antisemitismo e alle leggi razziali promulgate da Benito Mussolini nel 1938 . Nel 1942 , recitai un altro testo di Bontempelli : “Minnie la candida”, diretta da Ruggero Jacobbi , per poi approdare alle Compagnie Ranzani- Cervi e Ricci , al Teatro d’Arte di Vittorio Gassman e Luigi Squarzina e, infine , al Teatro delle Arti di Anton Giulio Bragaglia , nei cui geniali allestimenti ( “Anfissa “, di Leonid Andreev ; “Catene “, di Allan Langdon Martin ; “Don Giovanni involontario “, di Vitaliano Brancati ) impersonai ruoli drammatici e brillanti . Ben presto , Bragaglia mi presentò un regista esordiente , lo sconosciuto Alessandro Blasetti , che mi assegnò la parte di protagonista , nei drammi : “Il tempo e la famiglia Conway “ di Jason Boynton Priestley e “La foresta pietrificata “ di Robert Sherwood . Nel 1946 , sposai lo scrittore Vitaliano Brancati e , nel 1947 ebbi una figlia , Antonia . Il matrimonio terminò nel 1954 , due mesi prima della sua morte solitaria in un appartamento di Torino . La nostra fu un ‘ “amicizia amorosa “, refrattaria alla noia , che ci consentì di condividere passioni e interessi : infatti scrisse apposta per me la commedia “La governante “ . Era un uomo intelligente , acuto , critico dei costumi di una provincia meridionale affetta da “gallismo “, e “velleitarismo “ , “perversioni della mente “ che fustigava con modi aristofaneschi , senza mai scadere in amarezze patetiche . L’ ho amato oltre le distanze e le incomprensioni e continuo ad amarlo oltre la morte , anche se non credo nell‘eternità . Nel 1947 , obbligata all’ esilio dalle scene a causa della maternità , scoprii , in veste di doppiatrice, il cinema . Quindi , scelta dal regista Alberto Lattuada , prestai la voce all’attrice Ivonne Sanson nel film : “ Il delitto di Giovanni Episcopo “ e protrassi la felice esperienza fino al 1962 , anno in cui , doppiata la diva Anne Bancroft nella pellicola “Anna dei miracoli “ , lasciai il doppiaggio . Tuttavia , nei decenni Cinquanta e Sessanta , non rinunciai al Teatro , portando in scena , all’ Eliseo di Roma , il dramma di Giuseppe Giacosa : “Come le foglie “ ( vicenda di conflitti economici che minano l’unità familiare ) ,subito seguito dalla rappresentazione , presso il teatro milanese “Il piccolo “ , de “Il gabbiano “ testo dello scrittore e drammaturgo russo Anton Cechov , riadattato dal regista Giorgio Strehler . Il decennio 1950 , segnò per me una svolta : al termine di un breve esperimento di prosa radiofonica ( “Otello “ di William Shakespeare , con la regia di Anton Giulio Majano , 1951 ; “Un tale che passa “ di Gherardo Gherardi , con la regia di Sergio Tofano , 1952 ; “Santa Giovanna “ di George Bernard Shaw , con la regia di Sandro Bolchi , 1955 ) , l’impresario e regista teatrale Lucio Ardenzi , mi scritturò per una tournèe in America del sud . A fianco di validi e affermati attori ( Luigi Vannucchi , Giorgio Albertazzi, Tino Buazzelli , Glauco Mauri , Davide Montemurri , Eva Magni , Franca Nuti ) interpretai il “Re Lear “ di William Shakespeare e una serie di opere tratte dal recente repertorio italiano ( “Corruzione al Palazzo di giustizia “ di Ugo Betti , “Beatrice Cenci “ , di Alberto Moravia e “Il seduttore “ di Diego Fabbri . Nel 1956 , è noto alle cronache , il sodalizio artistico con Giorgio Albertazzi si trasformò in un legame sentimentale ; a lui devo la prima apparizione televisiva nello sceneggiato RAI del 1959 : “L’idiota “ ( tratto dall’omonimo romanzo di Dostoevskij) e il resto della mia carriera . Insieme abbiamo affrontato commedie di Pirandello , George Bernard Shaw e Lillian Hellman , William Gibson ; grazie al suo intuito sono stata narratrice della “Divina commedia “ di Dante Alighieri e de “La figlia di Jorio” di Gabriele D’Annunzio e attrice cinematografica in pellicole “impegnate “ , “d’autore “ ( “Cadaveri eccellenti “di Francesco Rosi , 1976 ) . Oggi , a settantatre anni , non ambisco al ruolo di “ prima donna “ : sono consapevole di essere vecchia e vivo la cosa serenamente , perché amo questo mestiere e so che morirò in palcoscenico . Quello che mi preoccupa di più , però , non è tanto la mia sorte quanto quella della Cultura : è questo che mi sta a cuore ! . Fondi , finanziamenti vengono tagliati , dimezzati e ,di frequente, sottratti da politicanti privi di scrupoli e destinati, a un impiego meno nobile , ad acquisti indebiti , scriteriati , addirittura inutili . Vi prego , perciò , di non considerare la Conoscenza “accessoria “ , superflua , ma “essenziale” per lo sviluppo e l’evoluzione della società , della nazione . Lo dico , perché mi piacerebbe che le nuove generazioni avessero nelle istituzioni un punto di riferimento , una guida scrupolosa , retta , proba , in grado di formare cittadini liberi e consapevoli di sé . Mi scusino se ho portato via Loro minuti preziosi , ma gli anziani sono creature fragili , ingenue , lontane dalle logiche del potere , che , simili ai folli, farneticano di altri mondi possibili . Non volendo abusare della Loro pazienza , vogliano concedermi ancora un secondo per ricordare l’uomo a cui ho voluto e voglio un bene profondo e inarrestabile : mio marito , Vitaliano Brancati . La mia memoria di lui si consuma nella nostalgia . Perdendolo , ho barattato l’innocenza e la voglia di giocare , come quando ero bambina , a smarrire la strada di casa per ritrovarla , con la colpevolezza e un pragmatismo cinico e disincantato . Proprio per questo , stasera , servendomi dei versi del poeta Eugenio Montale , voglio dirgli : “Ripenso il tuo sorriso , ed è per me un’ acqua limpida scorta per avventura tra le petraie d’un greto , esiguo specchio in cui guardi un’ellera i suoi corimbi ; e su tutto l’abbraccio d’un bianco cielo quieto . Codesto è il mio ricordo ; non saprei dire , o lontano , se del tuo volto s’esprime libera un ‘anima ingenua , o vero tu sei dei raminghi che il male del mondo estenua e recano il loro soffrire con sé come un talismano. Ma questo posso dirti, che la tua pensata effigie sommerge i crucci estrosi in un ‘ondata di calma, e che il tuo aspetto s’insinua nella mia memoria grigia schietto come la cima d’una giovinetta palma … “ .
Anna Maria Proclemer è morta il 25 aprile del 2013, all’età di ottantanove anni . Nessun funerale roboante , nessuna ribalta : un comunicato secco , diffuso dai telegiornali tra una notizia di cronaca e una di economia . Così , in silenzio, se n’è andata una vera , grande artista .