Credito, lasciato fallire per 27mila euro, ma vanta crediti dalla PA per 1 Mln di euroIn evidenza
ROMA-Ancora il credit crunch mette in grave difficoltà le piccole e medie imprese italiane, che sono le più colpite dalla scarsità di credito

ROMA-Ancora il credit crunch mette in grave difficoltà le piccole e medie imprese italiane, che sono le più colpite dalla scarsità di credito nell’Eurozona. L’Italia tra i paesi del Sud Europa soffre di più la mancanza di credito sotto un duplice aspetto: il primo è costituito dal fatto che le banche italiane sono restie a concedere credito alle PMI, il secondo è che le PMI italiane non hanno mezzi finanziari per garantire il credito, nell’ipotesi che le banche accogliessero la richiesta di concederlo.
Bisogna anche dire che sono soprattutto le PMI del Centro – Sud a soffrire la carenza di credito, mentre quelle del Centro – Nord hanno maggiore possibilità di ottenere credito.
L’allarme proviene dal sondaggio semestrale della BCE: le differenze nell’Unione monetaria sono ampie e diverse tra le PMI degli Stati membri. Nel Nord Europa non hanno problemi, mentre per quelle italiane e spagnole il credito è difficile ed a tassi di interesse non sempre sostenibili.
Il credit crunch colpisce le piccole e medie imprese, che scontano condizioni di finanziamento più pesante rispetto ai grandi gruppi.
La difficoltà è ottenere credito, talvolta, come il recente caso dell’imprenditore siciliano, è determinato dal fatto che la P.A. non paga i propri fornitori. In questo caso l’impreditore è stato addirittura dichiarato fallito per un debito nei confronti dell’Agenzia delle Entrate di appena € 27.000, ed un credito verso le amministrazioni locali di oltre un milione di euro. Non era mai accaduto che la P.A. blindasse il proprio credito fino al punto di ottenere il fallimento del fornitore che non riesce a pagare un piccolo debito per il cui recupero agisce la famigerata Agenzia delle Entrate, mentre il credito dell’imprenditore verso la P.A. non viene soddisfatto per un ammontare di oltre un milione di euro.
L’imprenditore siciliano è vittima di un provvedimento abnorme, quale la dichiarazione di fallimento, mentre il proprio credito, sia pure riconosciuto , non viene pagato dalla P.A., che lo mette nella ingiusta condizione di fallire, non solo, mentre il credito dell’impresa dovrà essere recuperato dal Curatore fallimentare. Fatti e/o misfatti di questo genere sono all’ordine di ogni giorno.
In questo caso, l’impresa, pur disponendo di un credito di oltre un milione di euro, non ha avuto da alcuna banca il sostegno necessario per avere un prestito di 27.000 euro e così saldare il debito di pari importo con la P.A. che nella fattispecie aveva affidato all’Agenzia delle Entrate il recupero del proprio credito.
Se l’imprenditore non si avvale della richiesta di credito ad una banca, è perché rimarrebbe insoddisfatto, non avendo i mezzi finanziari per sostenerlo, per cui dovrebbe essere lo Stato ad offrire la necessaria garanzia perché il privato ottenga il prestito, soprattutto in un caso come quello citato, e cioè quando la piccola impresa è creditrice della P.A. per una somma di rilevante importo di oltre 1 milione di euro.
Lo Stato, quindi, non solo non garantisce l’impresa, a cui deve addirittura corrispondere oltre un milione di euro, ma non appresta strumenti per il credito all’impresa, come il microcredito, uno strumento dell’U.E. diffuso in Europa, ma non in Italia.
Si tratta di prestiti che non superano i 25.000 euro, anche se non sono molti, si tratta sempre di prestito che aiuta la piccola azienda a salvarsi, talvolta dal fallimento, e comunque di poter lavorare utilizzando il piccolo prestito ottenuto grazie al microcredito, ma che gli sarebbe stato impossibile ottenere dal sistema bancario ordinario.
Possiamo dire che, nonostante gli impegni del governo, purtroppo meramente verbali, l’ultimo rapporto della BCE segnala un record negativo per le PMI italiane in quanto “a peggioramento di utili e di fatturato”.
Nell’ultimo semestre ottobre 2012 – marzo 2013 le imprese italiane, si apprende da fonte BCE, hanno contribuito più di tutte all’aumento netto della necessità di prestiti bancari e quello di scoperto di conto corrente.
Un canale che, come è noto, è preminente in Italia rispetto al ricorso ai mercati finanziari e azionari, ma che nell’attualità è completamente inattivo e quindi non da’ alcun sostegno alle PMI.
Per sbloccare il credito alle piccole e medie imprese, c’è stato ieri il primo vero “vertice” italiano sul “credit crunch”. Dopo quasi sei anni di crisi è stata la prima occasione in cui i protagonisti del settore finanziario hanno deciso di riunirsi per parlare di “credit crunch”.
Il direttore generale di Bankitalia, Salvatore Rossi, e il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, dopo essersi richiamati a quanto sostiene il Centro Studi Bruegel di Bruxelles, secondo cui il 43% dei quasi quattro milioni di piccole e medie imprese in Italia incontra ostacoli nell’ottenere prestiti bancari, e quando ci riesce paga interessi a scadenza di un anno al 4,20% ad una banca che si finanzia a tre anni in BCE ad un costo a meno dell’1%, hanno sottolineato che la contrazione del credito non si aggrava solo perché le famiglie o gli imprenditori non ne chiedono, ma perché gli Istituti di credito ne offrono sempre meno. Ora, se si vuole che anche in Italia la crescita delle PMI sia un fatto reale, è necessario che il sistema bancario italiano tenga conto delle esigenze di credito del sistema industriale italiano che senza adeguato credito non può iniziare il suo cammino di crescita.
È chiaro che il sistema delle PMI non può avere solo la banca come interlocutore, ma anche nuovi intermediari da individuare in tempi rapidi per dare respiro alle aziende che, pur avendo un grande now how, non riescono ad utilizzarlo nella produzione perché mancano di liquidità.