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Aldo Moro: lo statista ucciso che noi giovani non capivamo

ROMA – Ad oggi ancora non si è mai capito il sacrifico umano di un grande statista della democrazia cristiana come Aldo Moro. I giovani della mia generazione lo ricordano quel giorno della mattina del 16 marzo 1978. Mi trovavo nella mia scuola del Giordano di Capua, quando verso le dieci del mattino suonò improvvisamente la campanella in maniera insolita. Nessuno capiva perché, fino a quando i bidelli ci chiesero di uscire ordinatamente dalle classi. Non si capiva cosa fosse successo. Per noi giovani quel buio di risposte ci pareva strano. Solo qualche ora più tardi, non c’erano le tecnologie di ora, comprendemmo cosa fosse accaduto.
Non eravamo addentrati nei meandri della politica italiana, sapevamo solo che un capo di un partito era stato rapito dalle brigate rosse, terroristi con posizioni di sinistra, che avevano messo in atto un rapimento eccellente. Furono ore delicate. Il paese si fermò mobilitato alla ricerca del presidente della DC. Le attività quotidiane furono bruscamente sospese: a Roma i negozi abbassarono le saracinesche, in tutte le scuole d’Italia gli studenti uscirono dalle aule scolastiche riunendosi in assemblee spontanee, mentre le trasmissioni televisive e radiofoniche furono interrotte da notiziari in edizione straordinaria. Partiva l’estenuante trattativa per liberare Aldo Moro.
In quella mattina persero la vita anche vite innocenti. In pochi secondi, sparando con armi automatiche, i brigatisti rossi uccisero i due carabinieri a bordo dell’auto di Moro, Oreste Leonardi e Domenico Ricci, i tre poliziotti che viaggiavano sull’auto di scorta, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Uomini in divisa che scortavano Aldo Moro.
La vicenda scuote anche le coscienze di noi giovani davanti a tanta ferocia. Questi uomini col marchio rosso avevano ucciso senza pietà giovani innocenti e padri di famiglia mentre stavano compiendo il loro dovere. Non ebbero pietà per nessuno dei presenti. Gente senza scrupolo che aveva ucciso in nome di un ideale inesistente.
Seguimmo la vicenda da vicino consapevoli che il nostro paese era finito in un burrone e forse non ne saremmo più usciti, come poi è successo. I ricordi di quei giorni non si sono mai sbiaditi. Sono rimasti indelebili, poiché quel rapimento aveva un orientamento politico ben preciso, eliminare chi stava cercando di porre in essere un compromesso storico col vecchio PCI, ma con lo scopo ben preciso di allontanare il Partito Comunista Italiano dall’unione sovietica.
Due giorni dopo, mentre in San Lorenzo al Verano si celebravano i funerali degli uomini della scorta, venne fatto ritrovare il primo dei nove comunicati che le BR inviarono durante i 55 giorni del sequestro alle istituzioni italiane. Per molti di noi il sequestro di Moro indicava un segnale netto alla politica italiana. Poi col tempo quel segnale si è fatto concretezza, poiché i vari processi hanno cercato, ma mai delucidato del tutto, che la politica aveva abbandonato Moro al suo destino.
Infatti dopo una prigionia di 55 giorni, durante la quale Moro fu sottoposto a un processo politico da parte del cosiddetto «tribunale del popolo» istituito dalle Brigate Rosse e dopo aver chiesto invano uno scambio di prigionieri con lo Stato italiano, per Moro era già scritto il suo destino.
La vicenda si chiude il 9 maggio del 1978 in Via Caetani, una strada di Roma poco distante dalla sede del Pci e della Dc. Nel bagagliaio di una Renault 4 rossa parcheggiata tra il civico 32 e il 33. La scelta del luogo in cui si conclude la tragedia politica italiana è l’ultimo messaggio simbolico. Da quell’automobile si scatenano i demoni di un terrorismo avviatosi verso l’autodistruzione, di una classe dirigente stremata e di un Paese che si vede riflesso nel cadavere di una vittima sacrificale di una politica che negli anni a venire poi dimostrava il peggio di se portando il paese allo sfascio attuale. Veniva ucciso un grande statista, un uomo politico che aveva ereditato le sorti della DC e stava cercando di costruire un percorso politico capace di dare vigore al paese. A inizio anni settanta il paese iniziava a scivolare verso il basso, e Aldo Moro da grande leader politico cercava di normalizzare la vita politica del paese, ma il suo scopo fu interrotto e mai più nessuno è riuscito a risollevare le sorti dell’Italia. Ed è proprio dal 1970 settanta che l’Italia si avvia ad un declino politico che ci ha portato alla povertà di oggi.

Redazione

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