ROMA- “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” – afferma l’articolo 27 della nostra Costituzione. Ecco, questo è un caposaldo della nostra costituzione che nessuno prende in considerazione. I padri costituenti previdero una rieducazione del soggetto che si è macchiato di un reato, al fine di poterlo reinserire nella società. Questo concetto è stato più volte disatteso, perché la pena carceraria non restituisce alla società una persona in grado di non commettere più crimini.
Il concetto dell’articolo 27 si sposa benissimo nella materia sulla violenza sulle donne. Finora non abbiamo costruito intorno alla materia un sistema capace di prevenire la cultura della violenza di genere. Ci siamo fossilizzati sulle pene che, comunque, non hanno inciso sulla fine delle violenze. La condanna della Corte dei diritti europea, che ha riconosciuto l’Italia colpevole di non essere intervenuta in modo efficace e in tempi veloci per proteggere una moglie, e per scongiurare l’assassinio di un figlio intervenuto per proteggere la madre da un padre alcolizzato e violento, sono la dimostrazione che alla fine le pene non producono effetti positivi.
La pena pone fine momentaneamente alla violenza, ma non la debella. Quando si arriva a commettere una violenza è un corto circuito mentale che colpisce l’uomo, ma deriva da diversi fattori che vanno studiati e messi in mora. La prepotenza non è solo un atto di supremazia sulla donne come sempre si va dicendo nei diffusi dibattiti sulla violenza sulle donne, ma deriva da aspetti interni al rapporto della coppia che possono essere di diversa natura. Perché per quanto riguarda la violenza sulle donne non c’è distinzione sociale: la violenza viene commessa in ogni strato sociale. Continuamente si ascolta che la violenza e il femminicidio, oggi, sono l’atroce reazione maschile al desiderio di libertà delle donne attraverso l’annientamento fisico, fino alla morte e non solo. Ci parlano delle relazioni proprietarie che per secoli gli uomini hanno convinto le donne ad accettare e da cui esse ora si sottraggono. Sono processi profondi e strutturali che hanno a che fare con le trasformazioni prodotte dalle donne. Ebbene se così fosse, a quest’ora non ci sarebbero né violenza né femminicidi, poiché la donna è riuscita ad ottenere l’autonomia che desiderava, per cui ha lottato, sia nel pensiero sia nel mondo del lavoro, quindi il concetto non è del tutto preciso in questo contesto storico. I tempi passati sono lontani, e la donna oggi ragione e agisce con la propria testa. Sarebbe opportuno, invece, dire con chiarezza che dietro le violenze e i femminicidi, c’è la carenza di valori umani che colpiscono l’umanità in questo processo di modernizzazione che ha lasciato indietro l’efficace della vita: l’amore e il rispetto.
I Centri antiviolenza sono una porta aperta sicura. In essi sempre più donne trovano aiuto professionale consolidato e qualificato per nominare la loro situazione, analizzare il contesto di relazioni profondamente compromesse e intraprendere percorsi a loro misura, affiancate costantemente da altre donne. I centri antiviolenza sono stati un ottimo strumento di aiuto alle donne colpite da violenza, ma bisogno andare oltre i centri antiviolenza. Sarebbe opportuno invece aprire la discussione tra gli uomini, per farli avvicinare al dramma della violenza affinché gli orchi, che sono una minoranza, possano sentirsi isolati. Bisogna smetterla di creare ulteriore odio tra i due sessi, generalizzando sulla posizione dell’uomo. Non tutti gli uomini picchiano le donne o le uccido, quelli che lo fanno sono una minoranza, tanto piccola che si può isolare facilmente. Ci vuole uno strumento di prevenzione culturale, che è efficace, ed è quello di aprire centri di incontro capaci di sperimentare il contatto tra i due generi, affinché possono studiare insieme i percorsi che portano alla convivenza, e come sfruttare l’opportunità dell’amore come strumento capace di non portare odio quando finisce un rapporto, ma rimarlo aperto all’interno della coppia il dialogo per affrontare il domani non più uniti, per il bene personale e anche dei figli. Punti d’incontro per giovani e coppie basati sul concetto chiave della vita che è l’amore vero, che esiste, e si chiama rispetto. Ecco, le chiacchiere che si continuano a dire nelle tante manifestazioni, nessuno indirizza le persone verso questa strada, perché se educhi al rispetto, crei le condizioni per eliminare la violenza.
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