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anche: Unimpresa, da 2020 a 2021 utile netto +4,7 miliardi, ma credito -19 miliardi

Da 1,5 miliardi di euro di rosso a un profitto netto complessivo pari a 3,1 miliardi: dal primo trimestre del 2020 ai primi tre mesi del 2021, nonostante la pandemia da Covid, le principali banche italiane hanno ribaltato i risultati, con uno scatto di reni che ha portato ad avere un saldo positivo, in termini di utili, pari a circa 4,7 miliardi. L’aumento degli utili, tuttavia, non è stato accompagnato da una corrispondente e parallela crescita dell’attività di credito: lo stock di prestiti alla clientela di queste sette banche è calato di quasi 19 miliardi (-1,5%) da 1.249 miliardi a 1.230 miliardi. È quanto emerge da una analisi del Centro studi di Unimpresa, secondo la quale i primi sette gruppi bancari del Paese hanno realizzato performance decisamente importanti: Intesa Sanpaolo ha avuto utili per 1,5 miliardi, Unicredit per 887 milioni, Bper per più di 400 milioni, Banco Bpm per oltre 100 milioni, Monte dei Paschi di Siena per 119 milioni, Credem per 62 milioni, Creval per 28 milioni. «Serve più sostegno all’economia reale, vanno sfruttate a pieno le garanzie pubbliche per assicurare, soprattutto alle pmi, sempre maggiore liquidità. Molti istituti, invece, usano il paracadute pubblico, per proteggere i loro bilanci, sostituendo i vecchi finanziamenti con nuove linee di credito garantite dallo Stato» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Salvo Politino. «» aggiunge Politino.
Oltre ai risultati delle prime banche, secondo il Centro studi di Unimpresa, osserva che, dal 2020 al 2021, Banca Generali ha avuto utili trimestrali per 135 milioni, Banca Mediolanum per 133 milioni, Banco Desio per 20 milioni, Fineco Bank per 94 milioni, Popolare Sondrio per 59 milioni: in totale, questi cinque istituti hanno messo insieme 441 milioni. Quanto alle prime sette banche del Paese, Intesa Sanpaolo ha avuto utili, nei primi tre mesi dell’anno, per 1,5 miliardi, Unicredit per 887 milioni, Bper per più di 400 milioni, Banco Bpm per oltre 100 milioni, Monte dei Paschi di Siena per 119 milioni, Credem per 62 milioni, Creval per 28 milioni. Sul versante dei crediti, quelli di Intesa Sanpaolo sono passati da 460,1 miliardi a 461,7 miliardi, in salita dello 0,4%, quelli di Unicredit sono scesi da 489,9 miliardi a 446,6 miliardi in diminuzione dell’8,8%, quelli di Bper sono saliti da 53,1 miliardi a 75,3 miliardi in crescita del 42,19%, quelli di Mps sono calati da 82,6 miliardi a 82,2 miliardi con una contrazione dello 0,5%, quelli del Credem sono variati da 34,3 miliardi a 34,5 miliardi in aumento dello 0,45 miliardi, quelli del Creval sono calati da 19,6 miliardi a 19,4 miliardi, in discesa dell’1,1%. Complessivamente, le prime sette banche del Paese hanno tagliato i finanziamenti all’economia reale, cioè a famiglie e imprese, per 18,8 miliardi: lo stock di impieghi complessivo è passato da 1.249,1 miliardi a 1.230,2 miliardi in diminuzione dell’1,5%.
«La ormai imminente fase di concentrazione del settore bancario italiano non deve pregiudicare né ridurre la concorrenza fra le aziende di credito. Se, da un lato, le fusioni, nella prospettiva della Commissione di vigilanza della Banca centrale europea, che spinge per avere meno operatori, ma più solidi, trovano una sua ragion d’essere, dall’altro c’è il rischio che una improvvisa e drastica riduzione degli attori del mercato possa danneggiare la competizione. Tutto ciò si trasformerebbe in un danno per la clientela delle stesse banche, sia famiglie sia imprese, che va assolutamente evitato. Sarà compito dei regolatori e della vigilanza, nazionale ed europea, assicurare che i risparmiatori, gli investitori e, in generale, i clienti non subiscano effetti negativi dalle aggregazioni bancarie, ma, anzi, possano trarre vantaggi, derivanti, in particolare, dalla riduzione in termini di costi di cui beneficeranno le banche» osserva ancora il vicepresidente di Unimpresa.

Redazione

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