Era uno dei punti qualificanti del programma elettorale:
aumentare le pensioni minime tutte a un milione di lire. Con la Legge
finanziaria per il 2002 (Legge 448/2001) si procede a rendere operativa
l’intenzione di aumentare le pensioni minime a patto che il beneficiario abbia
più di 70 anni di età e che non disponga di un reddito
personale, escluso l’eventuale reddito derivante dall’abitazione, superiore a
6.713,98 euro (13 milioni di lire).
Il governo Berlusconi decise di dare un po’ di dignità a quelle fasce disagiate
che con riuscivano ad andare avanti con le pensioni minime che si aggiravano
intorno alle 530 mila lire.
Dal primo gennaio 2002 le pensioni minime quindi sono innalzate a un
milione di lire, a patto che il beneficiario abbia più di 70 anni di
età e che non disponga di un reddito personale, escluso l’eventuale
reddito derivante dall’abitazione, superiore a 6.713,98 euro (13 milioni di
lire).
Oggi le pensioni minime sono rimaste alla somma che riuscì a dare Berlusconi in
quel lontano 2002. Oggi, con l’arrivo e lo sviluppo della moneta unica, con 516
euro al mese c’è da fare la fame. L’uro non vale nulla. Allora con un milione
di lire i pensionati al minimo si sentivano ricchi, ora con 530 euro sono
miserabilmente finiti nella povertà. È tutto l’effetto negativo dell’euro, che
da quando è stato introdotto ha portato soltanto povertà. Per non parlare, poi,
all’aumento dei prezzi in tanti settori che hanno fatto lievitare alcuni acquisti,
a partire delle case. Ma tutto l’insieme ha visto gli stipendi e le
retribuzioni ferme mentre il resto è aumentato a dismisura.
Berlusconi ora sta portando avanti un’altra battaglia sociale per portare le pensioni minime a mille euro. Come si fa a dargli torto: nessuno può vivere con 500 euro al mese, quindi è opportuno iniziare a pensare a quelle fasce sociali disagiate che non riescono a sopravvivere con la pensione minima. Dopo la decisione di Berlusconi, tutti gli altri governi che sono venuti dopo, non hanno più pensato ai poveracci.