Blocco definitivo dei social: il governo ha vietato ogni contatto col mondo | Non ti è neanch permesso di esprimere la tua opinione

Il governo prende seri provvedimenti - pexel - quotidianoitalia.it
Da questo momento in poi dici addio ai social. Non li potrai usare più, il governo ha messo lo stop a tutti
Il diritto di parola è uno dei pilastri della convivenza civile. Significa poter esprimere opinioni, idee, dissenso, senza temere conseguenze o repressioni. È un traguardo che in molti paesi è stato conquistato con sacrifici e lotte, ma che ancora oggi non è garantito ovunque.
La libertà di espressione è preziosa perché rappresenta il fondamento di ogni altra libertà, e quando viene limitata o censurata, il rischio è che un intero sistema democratico ne esca indebolito. È l’arma più pericolosa nelle mani di chi governa, perché permette di controllare non solo i corpi ma soprattutto le menti.
Oggi più che mai questo diritto si intreccia con la realtà dei social network, luoghi dove miliardi di persone condividono pensieri, critiche, proteste e denunce. Le piattaforme digitali sono diventate una nuova piazza pubblica, spesso più influente di giornali e televisioni.
Eppure proprio qui la libertà di parola incontra limiti, filtri, algoritmi che censurano, post rimossi senza spiegazioni, account sospesi. Per qualcuno è una forma necessaria di moderazione, per altri una nuova forma di bavaglio. Non mancano i casi in cui opinioni scomode vengono silenziate, e questo genera il sospetto che anche in democrazie consolidate ci siano forme sottili di controllo.
Dove la libertà di parola non è scontata
Se nei paesi occidentali il problema si traduce in discussioni sulle regole delle piattaforme, altrove la questione assume toni drammatici. In stati come la Cina il controllo della rete è totale, i social globali sono banditi, l’informazione indipendente non esiste, ogni voce di dissenso viene messa a tacere con la forza.
Non si tratta solo di censura ma di una vera e propria distorsione delle notizie, con la costruzione di una realtà parallela che annulla il libero pensiero. Per i cittadini significa vivere senza poter accedere a un’informazione libera, senza poter raccontare le proprie storie e senza poter denunciare abusi.
E non è un fenomeno isolato. In diverse parti del mondo governi autoritari hanno compreso che controllare internet equivale a controllare la società. Blocchi improvvisi, restrizioni, blackout digitali sono diventati strumenti abituali per zittire opposizioni e movimenti. È un’arma silenziosa e potente, che limita non solo le libertà individuali ma la stessa possibilità di costruire un futuro diverso.

La decisione del governo
In questi giorni sta succedendo qualcosa di inaspettato in Nepal, al punto che si parla di rivoluzione della Gen Z. Le immagini che arrivano da Kathmandu e da altre città raccontano di un paese in fiamme. Il parlamento devastato, i palazzi del potere bruciati, un ministro inseguito e costretto a fuggire nudo fino a un fiume, le case dei politici date alle fiamme. È la rabbia di una generazione che non ha più nulla da perdere. Da giorni il paese è travolto da proteste violentissime, con almeno 19 morti e centinaia di feriti. L’esercito ha imposto il coprifuoco, le strade sono militarizzate, ma la rabbia non si placa. Tutto è iniziato con una decisione del governo: bloccare i social network. Ufficialmente per motivi tecnici, in realtà per zittire i giovani che li usavano per organizzarsi e criticare il potere.
Ma i social sono stati solo la scintilla. Il Nepal, repubblica dal 2008 dopo la fine della monarchia, vive da anni in una fragile democrazia. Governi che cadono di continuo, corruzione, nepotismo, disuguaglianze crescenti, un’economia che si regge sulle rimesse degli emigrati. I giovani crescono senza prospettive, senza lavoro, senza possibilità. È in questo contesto che la protesta è esplosa. Non è il capriccio di una generazione che rivuole i social, ma l’espressione di una rabbia profonda che covava da anni e che ora sta riscrivendo la storia del paese.