ROMA- Quando ho iniziato a fare questo lavoro, nel 2002, ero cosciente di avere davanti a me una bella gavetta. Da subito ho capito che prima di tutto dovevo imparare a conoscere la categoria. Così ho fatto. Ma non lascio giudizio sull’intero comparto giornalistico, perché sono convinto che il buon giornalismo esiste ancora, dipende da come lo si vuole fare e, soprattutto, come ti danno modo di poterlo fare. Una categoria che è in crisi, questo lo sanno tutti. È difficile fare giornalismo. Quando nel 2009 ho deciso di aprire quotidianoitalia.it ero altrettanto convinto di avere davanti una strada talmente difficile che, spesso, mi ha portato allo sconforto, ma non mi sono lasciato intimorire, ho guardato avanti cosciente che la mia idea di un buon giornalismo non doveva essere distrutta dalle idee altrui. Creare un giornale che potesse dare spazio a tutti indistintamente. Così ho fatto. Certo, crescere in questo modo si rivela sempre più difficile, perché c’è chi fa della cronaca la sola arma per il clik. Ma a me non interessa il clik, a me interessa che la mia figura di giornalista, iscritto all’ordine della Campania, sia classificata tale, e al cittadino arrivi una buona informazione. Se sto sbagliano linea editoriale me ne assumo le responsabilità, ma vado avanti.
Detto ciò, posso dire che quello che si sta vivendo in queste ore con il caso Belpietro, quello di Porro, sia l’accensione del motore di una macchina più potente di quella che i giornalisti veri usano tutti i giorni per contrastare il sistema. Oramai i grandi giornali sembra la pensano tutti allo stesso modo. Come se si stesse dettando una linea ben precisa da seguire, e nonostante i giornali online sono tanti, non riescono a contrastare questa deriva. Ma non lo dico solo io, anche gli stessi attori che siedono nei banchi del potere, hanno iniziato a capire che qualcosa non va. E tutto si gioca intorno al referendum costituzione, dove la voce del SÌ deve essere maggiore della voce del NO. Il caso Belpietro è emblematico visto che nel Palazzo tutti, ma proprio tutti, lo hanno letto allo stesso modo: portare uno strumento di comunicazione con l’elettorato moderato, di centrodestra, sul versante del fronte del «Sì» renziano, appare l’unico scopo. Ha detto bene Gaetano Guagliariello: “ Una situazione del genere. È il colmo. Finiremo per scrivere sui muri”. Portare Libero su una linea editoriale diversa, cambiare un direttore del Tg3 troppo irriducibile, o far fuori dal palinsesto Rai una trasmissione come Virus, sono facce della stessa medaglia.
Renzi sta mettendo dei paletti all’informazione per salvare le bruttissime cose che ha fatto nella riforma costituzionale. E per consolidare quel suo potere, oltre a prendere i punti chiave delle istituzioni, sta cercando di mettere una benda anche all’informazione. Nessuno parla di regime, ma la strada che si sta aprendo sembra essere questa. Il mondo dell’informazione deve avere uno scatto d’orgoglio dinanzi all’espansionismo renziano. Chiaramente la Rai è lo strumento prediletto, e nei giorni scorsi in commissione vigilanza le opposizioni hanno chiesto di dare delle indicazioni alla Rai sul referendum costituzionale, in modo tale che si possa evitare di ritrovarsi tutti gli spazi occupati dal premier e dai promotori del SI. Ma non c’è stato niente da fare, il Pd ha fatto muro, suscitando le ire del grillino Airola, che in mezzo all’emiciclo di Palazzo Madama ha esclamato: “Siamo in una condizione peggiore di quando c’era un premier che era proprietario di tre tv!”.
Per concludere, tutto ciò mi amareggia perché pone il nostro lavoro al servizio di qualcuno e non al servizio delle nostre idee e, soprattutto, al servizio della corretta informazione che deve giungere ai cittadini. Essere una piccola testata giornalistica online non preoccupa nessuno, ma certamente continuerà, nel nostro piccolo, a dare quella corretta informazione che il paniere più ampio dell’informazione non da. I cittadini vanno informati, e per farlo, bisogna dare un’informazione che si basi principalmente sul rispetto della verità, e rispetto per un pluralismo sano che prenda le distanze da logiche che non fanno più parte del nostro essere giornalisti dalla fine della seconda guerra mondiale.