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lisabetta Corvino: “Le ragioni dei fallimenti sono dentro i partiti”

CASAL DI PRINCIPE -Il risultato elettorale è l’espressione della nostra democrazia e mi tolgo sempre tanto di cappello, perché la democrazia è il nostro bene più prezioso. In questi giorni però mi sono venute in mente delle forti argomentazioni contro la democrazia, prima di tutte la crocifissione di Gesù di Nazareth, un ragazzo che forse non era il figlio di Dio che diceva di essere, ma era certamente un bravo figliolo che non meritava di morire ammazzato per aver difeso i valori in cui credeva – spiega amareggiata Elisabetta Corvino – Eppure il referendum popolare del tempo lo ha crocifisso. Mi è venuta in mente la pena di morte negli USA, che rappresenta tutto il fallimento di uno stato che non sa offrire altro rimedio alla violazione della legge che la morte dei suoi cittadini. Eppure la pena di morte è anch’essa la sacrosanta espressione della democrazia. Oggi il popolo ha votato per la protesta, nella maggior parte dei casi senza neppure conoscere chi fosse a rappresentarla. Poco ha importato chi fosse, purché contro tutti i partiti politici. Come dare torto al popolo. Se la politica ha tradito la fiducia degli elettori, se gli eletti vanno a testa bassa in spregio della volontà popolare, a perseguire obiettivi di opportunità, se la politica nessuna risposta sa dare al bisogno disperato dei giovani di non voler delinquere e di voler occupare il posto che gli spetta come essere umani e come cittadini, se la politica promuove gli incapaci nei posti chiave delle amministrazioni, in spregio della meritocrazia, se la politica permette a chi ha il denaro di acquistare una laurea e superare nella vita chi si laurea con il sudore della fronte, se la politica permette che una forte percentuale di cittadini viva sotto la soglia della povertà e un’altra forte percentuale viva di sprechi, come dare torto ai cittadini. Il popolo è così arrabbiato che avrebbe crocifisso di nuovo Gesù Cristo e messo a morte tutti i politici. Ma il risultato della rabbia non è una meta definitiva, è solo una sosta a un crocevia dove la politica può ancora scegliere quale direzione prendere. E mi auguro che possa scegliere la direzione della riflessione su se stessa, invece che della criminalizzazione di quel populismo, che essa stessa ha creato. Le ragioni dei fallimenti sono dentro i partiti politici, non fuori di loro. E che la smettessero tutti di criticare i cinque stelle, perché più lo fanno e più i cittadini si galvanizzano perché sentono di aver colpito e affondato! Attaccare i cinque stelle significa comportarsi come i genitori che danno torto ai professori quando i figli vanno male a scuola, o ai compagni, quando non vogliono giocare con loro. È bene farsi qualche domanda e capire dove si è sbagliato. Me le faccio io per prima. Una volta individuate le criticità è possibile trasformarle in punti di forza da cui ripartire. Intanto sarebbe buona regola per tutti i partiti politici ripartire dalla politica intesa come servizio e non come strumento, ripartire dai militanti più competenti, dalle donne e dai giovani più appassionati, ripartire dall’ascolto dei territori, dalle sezioni e farne luoghi di discussione e di rilevazione dei bisogni e non comitati periferici al servizio dei manipolatori di turno. È l’unica strada per ricucire quella cerniera fra elettori ed eletti in cui si sostanzia la vera democrazia.

Redazione

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