Lun. Mar 27th, 2023

Primavera 2004. Anche oggi, il sole si è levato alto su Corchiano, provincia viterbese che annovera tra i suoi abitanti: “La sciantosa illustre”, “La canzonettista del varietà”, “la voce di Roma”, Gabriella Ferri. Eccola, puntuale ,come ogni mattina, affacciarsi alla finestra del verde. Eccola, “La prima donna del cabaret”, mentre, sollevate le tapparelle e, aperti gli infissi, spalanca le ante del suo balcone fiorito. I grandi occhi, trincerati dietro lenti scure e spesse, vanno subito alla ricerca della strada per scrutare i passanti, le espressioni dei loro volti, i loro umori. Le dita, nervose e inquiete, ora, formano una spirale attorno a cui avvolgere capricciosamente i capelli, ora, accarezzano i petali rossi di un geranio per odorarne la fragranza. La viottola, serpeggiante e stretta, come al solito, è desolata: solo un gatto ferma il suo incedere regale per scrollarsi di dosso del terriccio. “Anvedi chi c’è?…micio, micione, che fai qua?, ti sei perso?; chi cerchi, gli amici tuoi?. Sapessi quanti gatti  come te ci stanno a Testaccio, il quartiere romano dove sono nata, il 18 settembre del 1942?!. Sapessi , a quest’ora, quanta gente c’è là…e i suoni che si sentono: il baccano degli automobilisti fermi nel traffico, la voce confusa degli ambulanti del mercato!…A proposito: lo sai, micio, che pure mi padre, Vittorio, faceva l’ambulante?, vendeva le caramelle in giro per la Capitale. Da adolescenti, io e mia sorella, lo seguivamo, poi…poi ci siamo persi di vista!. E’ stato lui a insegnarmi le canzoni romanesche: amava il dialetto, la tradizione!. In occasione delle fiere , cantavamo insieme nelle piazze dei rioni più popolari: S. Giovanni, Trastevere, Campo de’ Fiori…che belli che erano i colori della città!…tinte acccese , ormai sbiadite. Per un periodo , smisi di cantare stornelli : un incidente mi impedì persino di studiare e abbandonai la scuola, ma non persi la voglia di sognare e, negli anni Sessanta, passeggiando per via Condotti, o per via Veneto, non ricordo di preciso!, mi vedevo già mannequin e attrice. Nel 1964, però, mi imbattei in una ragazzetta timida, con i capelli neri e lunghi, sottili, sottili di nome Luisa: Luisa De Santis, la figlia del regista di “Riso amaro“(Giuseppe). Pure lei, come me, cantava e vantava un repertorio di canzoni “da osteria” e le proposi di formare il duo: “Luisa e Gabriella“. Ci esibivamo nei locali e nelle trattorie dell’Urbe con i brani: “Il barcarolo romano” e “La società dei magnaccioni” ,che, presto, esportammo nei ritrovi milanesi come l'”Intras club“,dove una sera venne a sentirci cantare Walter Guertler, il produttore della casa discografica Jolly per cui incidemmo il nostro primo quarantacinque giri “La società dei magnaccioni“. Grazie al successo ottenuto con la pubblicazione del disco,il cinema si accorse di noi, e, nel 1961, girammo un film: “008, operazione Ritmo” del regista Tonino Piacentini. La nostra, non fu un’interpretazione memorabile e, prive di rimpianto, tornammo alla musica con la registrazione di un nuovo quarantacinque giri: “Sciuri Sciuri” e “Vitti ‘na crozza“, canzoni attinte dal folclore siciliano. Fedifraghe, ritornammo spose fedeli del ritornello romanesco ed eseguimmo i brani: “La prova Cecilia“, “Le mantellate“, “E’ tutta roba mia“, tratto , quest’ultimo, dalla spettacolo “La manfrina” del compositore Ennio Morricone. All’improvviso, l’idillio si interruppe : Luisa era sempre angosciata; la timidezza le rubava la felicità di cantare in pubblico, impedendole di esprimersi al meglio e, “Con una stretta di mano, da buone amiche sincere”, ci separammo. Da quel momento, da solista, continuai la mia carriera e partii per una tournée in Canada. Non potendo stare lontano dalla mia Roma, tralasciai momentaneamente i concerti all’estero e, dopo un provino, divenni la cantante ufficiale del “Bagaglino”, teatro , presso cui incontrai l’attore comico Enrico Montesano e l’autore , nonché fidato collaboratore, Piero Pintucci. Nel 1968, incisi l’ennesimo quarantacinque giri di valore (“E’scesa ormai la sera” e “Ti regalo gli occhi miei“) che mi ofrii la possibilità di scoprire il Sud America e le sue sonorità, cariche di nostalgia. Avevo quasi trent’anni e mi pesava l’etichetta di “Cantante da taverna”, cucitami addosso dai critici e mi infastidivano l’atteggiamento sostenuto e la spocchia di certe dive  e di certi cantautori “impegnati”, convinti della loro presunta superiorità artistica. Quindi, mi presentai in gara al Festival di Sanremo con la canzone beat: “Sei tu ragazzo mio”, scritta insieme con mio padre e con Piero Pintucci. Lo stile rhytm’n blues mi si addiceva poco e venni eliminata al primo turno. Quell’esperienza mi servii per capire che dovevo essere me stessa, assecondare e non cambiare la mia natura di cantastorie. Recuperai, dunque, i classici della canzone popolare, cercando di innovarne la struttura e i contenuti, proponimento che realizzai nei brani: “Sor fregnone“, composto con Vittorio Nocenzi (tastierista del gruppo il “Banco del mutuo soccorso”) e “Sennò me moro“, scritto nel 1961 dal regista Pietro Germi e dal musicista Carlo Rustichelli per il film “Un maledetto imbroglio”. Poi, un amico della Rai, manco me ricordo più er nome, mise in piedi una trasmissione televisiva apposta per me, dedicata alle mie canzoni, intitolata : “Questa sera…Gabriella Ferri“. Erano gli anni Settanta: la società italiana inneggiava al cambiamento; la politica era scandita da contrasti e repentini trasformismi; il pubblico aveva bisogno di ridere. Così, con un gruppo di autori, reinventammo le “riviste canterine” del Dopoguerra e nacquero: “Dove sta Zazà” (1973), il “Circo della voce” (1974) e “Mazzabubù” (1975). Quanti ricordi!…le gare di stornelli e di improperi con il “Reuccio”, Claudio Villa; la maschera del clown che vaga disperato in mezzo a un cumulo di rifiuti, cantando di Zazà, sparito misteriosamente nel corso di una processione in onore di San Gennaro; la macchietta di “Ciccio formaggio”, impersonata dall’attore napoletano Nino Taranto e, riprodotta da me “en traversti”, con tanto di baffi e paglietta tagliuzzata dall’amata dispettosa; le canzoni : “L’amore è facile, non è difficile”, Il valzer della toppa” ( firmata da Pier Paolo Pasolini), “Remedios“(incisa in linua spagnola) e, quell’altra…come si chiamava?, come iniziava?…”Ognuno ha tante storie/ tante facce nella memoria/ tanto di tutto/ tanto di niente/ le parole di tanta gente…Anche tu così presente/ così solo nella mia mente/ tu che sempre mi amerai/ tu che giuri e giuro anch’io/ tu che giuri amore mio/ così certo e così bello/ anche tu diventerai come un vecchio ritornello che nessuno canta più/ come un vecchio ritornello/ che nessuno canta più…”. All’epoca, c’era un brano che non m’andava proprio de canta’: “Vecchia  Roma“, volevo sfuggire al confronto con l’interpretazione di Anna Magnani: la vera, l’unica, “Mamma Roma”. Il Cinema mi affascinava ,sì, ma non suscitava in me un’emozione paragonabile a quella del palcoscenico e, allora, nel 1976, accettai di girare il film: “Remo e Romolo. Storia di due figli di una lupa“, soltanto per riconoscenza nei confronti dei registi Mario Castellacci e Pier Francesco Pingitore ,che , pionieri, nel 1969 , avevano intuito le mie potenzialità da “cantattrice”. All’avanspettacolo in formato televisivo, rimasi legata fino al 1987, passando da “Giochiamo al vaerietè”(1980) a “Biberon” (1987), di cui cantai la sigla. Nel 1981, il cantautore genovese Paolo Conte si interessò alla mia voce e compose una serie di canzoni adatte al mio temperamento ironico, come: “Vamp“, in cui facevo il verso alle cantanti affette dalla “sindrome della femme fatale”, quelle che nelle interviste ai girnalisti dicono: “Nel pomeriggio mi recherò in teatro per le prove”…sarà, ma io, in trent’anni d’arte, non me so’ mai “recata”  in nessun luogo!… Per una decina d’anni, non ho cantato: ho scelto l’isolamento, ho lasciato la ribalta!. Il dolore per la morte di mio padre mia aveva annientata; quando cantavo non riuscivo più a emozionarmi, perché sentivo che la mia vita non valeva niente , che ero sola, circondata da estranei, interessati più a “Gabriella Ferri” che a “Gabriella”. Intorno a me , dentro di me,c’era sofferenza ,solitudine ,paura!. Fu sciocco desiderare la morte; ma la tentazione durò un attimo e poi ripresi il mio canto che, nel 1996, mi ricondusse , con la Piccola Orchestra Avion Travel, al Festival di Sanremo, dove ricevetti il prestigioso “Premio Tenco“. Nell’estate del 1997, ricominciai a esibirmi dal vivo , in un concerto al Parco Celimontano di Roma, per cui era previsto l’arrivo di un milione di persone: ne giunsero sette milioni!. Quel pomeriggio di fine luglio, mi parve di riafferrare l’impeto della giovinezza, la spensieratezza leggera delle improvvisazioni nelle feste di piazza. Feci pace con me stessa e con il mio spirito di girovaga inquieta e, per celebrare l’avvenimento, incisi ben due dischi con le note malinconiche e struggenti di autori del nostro Belpaese , senza però dimenticare la cultura popolare:”Lontano,lontano …nel mondo/ qualche cosa negli occhi di un altri/ ti fara ripensare ai miei occhi/a quegli occhi che t’amavano tanto/ e ad un tratto chissà come e perché ti trovarai a parlargli di me/ di un amore ormai troppo lontano”, “Stornello dell’estate”, “Una donna sbagliata”, “E’ scesa ormai la sera”, “Via Radella”, “O’ sole mio”. Poi, sollevando il capo e ,guardando l’orizzonte davanti a sé ,aggiunge : “Che bel cielo azzurro indaco!. Uh!, sta a passa’ uno stormo di rondinelle : be’ , semo in aprile, è primavera!. Non so perché, ma me sento talmente parte dell’infinito, che me ce perdo…!; è proprio meravigliosa la vita!. Grazie alla vita che mi ha dato tanto!…”. Proprio in quell’istante , Gabriella Ferri barcolla, cade e vola via, nel silenzio e nell’indifferenza di una mattinata di provincia. Sotto gli occhi stupiti di un gatto randagio, raggiunge la sua eternità.