Categories: Cronaca

Giovane si uccide per non sopportare più le cattiverie dello stato italiano

ROMA- Una classe dirigente inutile. Un gruppo di cittadini italiani che compongono il peggiore cancro, i partiti, come malattia che divora tutto quello che gli passa davanti. Uomini e donne che fanno solo gli interessi dei partiti e nulla per tentare minimamente di risolvere perlomeno uno dei problemi che stanno massacrando una nazione.
Stiamo per raccontarvi una triste storia di un’Italia che muore, anzi, che si uccide per non sopportare più le cattiverie dello stato italiano. Una lettera che una mamma di un giovane, Michele, ha consegnato a “Il Messaggero Veneto” affinché si possa conoscere la disperazione di un giovane che si è tolto la vita per disperazione.
“Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile… Non posso passare il tempo a cercare di sopravvivere“. Così ha deciso di farla finita il 31 gennaio, trentenne friulano, grafico senza lavoro, riporta Il Messaggero Veneto. “Un ragazzo della generazione perduta che ha vissuto come sconfitta personale quella che per noi è invece la sconfitta di una società moribonda che divora i suoi figli”: Nella sua ultima rabbiosa lettera d’accusa, Michele rivendica il “diritto ad avere spazio”, “ad avere il massimo”, “stufo di domande, critiche, sforzi senza risultati, colloqui di lavoro inutili”. “Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità”, il suo grido.
“Ho vissuto male per trent’anni”. Sono una brava persona, ho commessi molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte. Ma di no come risposta non si vive, di no si muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare. Da questa realtà – si legge – non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile. Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato e nessuno può costringermi a farne parte, scrive il giovane, è un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento e privo ormai anche di prospettive.

Redazione

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