L’altro giorno mi sono imbattuto in una discussione con un imprenditore. Alla domanda quanto dà ai suoi dipendenti, la risposta è stata dai 500 euro agli 800 euro. A questo punto mi sono detto, è troppo poco per poter vivere. Con questi soldi al massimo si pagano le bollette e forse resta qualcosa per mangiare. ebbene, ieri l’Inps ha confermato quello che diceva l’imprenditore. È non è nemmeno colpa sua, sono le leggi fatte dai vari governi che gli permettono di retribuire paghe da fame.
Il 23% dei lavoratori italiani percepisce meno di 780 euro al mese, considerando anche i part-time – i dati sono del rapporto annuale dell’Inps, presentato ieri mattina dal presidente Pasquale Tridico. Per contro, «l’1% dei lavoratori meglio retribuiti ha visto un ulteriore aumento di un punto percentuale della loro quota sulla massa retributiva complessiva», è la sentenza di Tridico, risuonata nelle stanze di Montecitorio. «La distribuzione dei redditi all’interno del lavoro dipendente si è ulteriormente polarizzata, con una quota crescente di lavoratori che percepiscono un reddito da lavoro inferiore alla soglia di fruizione del reddito di cittadinanza», ha spiegato il numero uno dell’Istituto.
La colpa quindi ricade solo sulle istituzioni politiche, che nel corso degli anni, i governi che si sono succeduti alla guida del paese, non hanno fatto altro leggi che penalizzano chi lavora. Ma c’è un altro dato che fa rabbrividire. E cioè che sono oltre 4,3 milioni i lavoratori che percepiscono meno di 9 euro lordi l’ora. Oggi la soglia di povertà è stabilità a mille euro, se un lavoratore percepisce 780 euro è un povero che va a lavorare per rimanere povero. È tutto da rivedere, perché un tempo il lavoro permetteva di crearsi una vita, oggi il lavoro non permette più nulla.