Prima minaccia e poi si accoda e accetta. Questo è il nuovo M5S, o lo è sempre stato? L’unica certezza è che finora non ha mai mantenuto la parola data agli elettori nel 2018. Quel 33% è un sogno che si è avverato ma si è frantumato scomparendo del tutto. È chiaro che anche un M5S al 5% fa comodo ai quartieri alti del movimento. L’importante sarà rimanere, per pochi, dentro il parlamento, altrimenti a quest’ora il governo Draghi era già andato a casa.
In questi quattro anni il M5S, quel nuovo soggetto che si candidava ad aprire “il Parlamento come una scatoletta di tonno” si è dimostrato il più attento al cambio di idee. Solo in questa legislatura ha fatto parte di tre governi. Ha divorziato con il populismo per sposare la strada del progressismo, sotto la guida dell’ex premier tecnico Giuseppe Conte. Senza batter ciglio si è aggrappato al Draghi salvatore. Ha fatto il contrario di quello che diceva durante la campagna elettorale del 2018.
Quello che impressiona di più è il trasformismo di ciò che dice. Una mattina si sveglia e sa che deve dire il contrario degli altri. La mattina dopo si sveglia e accetta quello che decidono gli altri. Mai una posizione ferma e netta a costo di far cadere il governo Draghi. Nulla di tutto ciò. Il M5S è diventato il movimento del dietrofront perenne.