Il tuo consenso? Non serve più: da oggi possono spiarti senza che tu possa opporti | La legge è cambiata

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La polizia lo considera legale - quotidianoitalia.it

Non devono chiederti nessuna autorizzazione. Possono registrare quello che dici e usarlo contro di te. Stai attento

La privacy è un diritto fondamentale che tutela la sfera personale di ogni individuo, garantendo che dati, informazioni e abitudini non vengano divulgati o utilizzati senza consenso.

Non si tratta solo di un concetto astratto ma di un principio che trova solide basi nel nostro ordinamento giuridico, a partire dalla Costituzione che tutela la riservatezza della persona, fino ad arrivare alle leggi specifiche che regolano l’uso e la protezione dei dati.

In Italia la materia è disciplinata in particolare dal Codice della privacy e dalle disposizioni introdotte a livello europeo, che hanno segnato una svolta negli ultimi anni.

Il riferimento principale è il regolamento europeo noto come GDPR, entrato in vigore nel 2016 e applicabile dal 2018, che ha fissato regole comuni per tutti gli stati membri. Questo regolamento ha ridefinito i concetti di consenso, trasparenza e diritto all’oblio, imponendo alle aziende e agli enti pubblici di gestire i dati personali con criteri più chiari e rigorosi.

Come proteggersi e perché

Non si parla solo di protezione contro abusi, ma anche di responsabilità da parte di chi tratta le informazioni, con l’obbligo di fornire agli utenti un accesso immediato e la possibilità di modificarli o cancellarli. L’Italia si è adeguata con interventi normativi e con l’attività del Garante della privacy, un’autorità indipendente che vigila su eventuali violazioni e fornisce linee guida per applicare correttamente la normativa.

Negli ultimi anni la questione della privacy si è però allargata a contesti che fino a poco tempo fa sembravano marginali. Con la diffusione capillare dei social network e delle piattaforme digitali, proteggere la propria immagine e le proprie informazioni è diventato un compito sempre più complesso. Le foto pubblicate, i post condivisi, i commenti e persino i like compongono una traccia digitale che può essere utilizzata da altri, a volte anche in modi non previsti.

In parallelo si sono moltiplicati i casi di cybercrime e di truffe online basate proprio sul furto di informazioni personali. Da qui la necessità di aggiornare continuamente le norme e di diffondere una cultura della consapevolezza, che metta al centro non solo il diritto alla privacy ma anche la responsabilità individuale nell’uso degli strumenti digitali.

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Cosa dice la Cassazione

All’interno di questo quadro normativo, ci sono aspetti che possono sorprendere i cittadini e che mostrano come la legge cerchi di regolamentare in modo preciso anche situazioni quotidiane. Un esempio arriva da una recente sentenza della Cassazione che ha confermato la possibilità di registrare una conversazione senza il consenso dell’interlocutore, purché si tratti di un dialogo diretto e la registrazione avvenga in circostanze non riservate.

La legge infatti permette di registrare se stessi mentre si partecipa a una conversazione con un’altra persona, a condizione che quest’ultima sia consapevole della propria presenza e non si trovi nella protezione della sua abitazione o della propria automobile. In questi casi la registrazione non è considerata una violazione della privacy, ma un atto di autotutela. La Cassazione ha chiarito che, se usata per difendere i propri diritti e non per diffamare, tale pratica è del tutto legittima e può rappresentare una prova in caso di contenziosi. Una conferma che la normativa, pur rigorosa, cerca di garantire un equilibrio tra la protezione della riservatezza e la necessità di difendersi da comportamenti scorretti.