Sono le nove. Mi trovo all’interno dell’aeroporto di New York, in una fredda mattina d’inverno. Dalla vetrata dell’aeroporto guardo la pista innevata, in attesa che parti il mio volo. Nel frattempo ripercorro nella mente quindici anni della mia vita. Fremo, ho fretta di arrivare in Italia, il volo è stato spostato di un’ora per via delle cattive condizioni meteo. Nella notte la brutta notizia: “La mamma è volata via”. Quante volte ho temuto questo momento, ed ora è arrivato. Lei è stata l’unica persona che mi è stata accanto in tutti questi anni, da quando ho lasciato la Calabria tradito da una mentalità e una cultura che aveva ucciso la mia gioventù. Ricordo ancora quella sera, quando rientrato a casa le dissi: “Mamma, sono innamorato di Sabrina, la figlia dei Costi”. Apriti cielo, non l’avessi mai fatto. C’era una ruggine tra la mia famiglia e quella di Sabrina peggiore delle guerre di ‘ndrangheta. Non riuscivo a capacitarmi. Non comprendevo tutto quell’odio che metteva a rischio il sentimento di due giovani. Il dolo maggiore arriva quando Sabrina mi dice che anche la sua famiglia aveva reagito malissimo al nostro amore, segno che era un percorso difficile da portare avanti. Sia per me sia per lei ci furono mesi di guerre aperte, dove ad avere la peggio eravamo noi, due giovani indifesi.
Mia mamma fu la più comprensiva, ma non riuscì a placare l’odio di mio padre. Solo più tardi ho saputo la verità su quel grande odio. Stasera ripercorro tutti quei momenti in attesa che il volo sia pronto e mi riporti in Italia per vedere l’ultima volta la mamma. E sì, lei, che nonostante avesse paura dell’aereo, ha fatto la spola tra l’Italia e l’America per venire da me. Io no, non sono più voluto tornare in Italia. Ero stato tradito da un paese che non premia le qualità. Scappai dalla Calabria, avevo 25 anni, oggi ne ho 44 e sento il peso di tutti questi anni fatti di sofferenza e anche di successi. In accordo con Sabrina, che era ancora minorenne e non poteva partire, decisi di trasferirmi a Milano, lì avrei aspettato il suo arrivo appena diciottenne. Ma non fu così, la sua famiglia le impedì di partire nonostante fosse diventata maggiorenne. Disgustato da tutto, feci le valige e lasciai l’Italia. Una volta in America, mi cimentai a fare tanti mestieri pur di raggiungere il mio obiettivo, diventare autore di film, la mia passione. Dopo cinque anni arriva la grande svolta della mia vita. Una mattina sono contattato dalla più grande azienda cinematografica americana, alla quale avevo inviato il mio curriculum. La notizia era di quelle attese da una vita: mi stipulavano un contratto e in più avrei avuto percentuali di degno rispetto in caso di successo dei film. Un’occasione da non perdere, accetto subito.
Anno dopo anno consolido il mio successo fino a raggiungere l’apice del boom, che mi porta ad essere conosciuto in tutto il mondo, anche in Italia. La mamma è fiera di me, e dopo cinque anni di lontananza decide di partire per riabbracciare quel figlio che non vede da molto tempo. L’aspetto all’aeroporto, lei piange alla vista di quel figlio ormai famoso. Sono giorni bellissimi, vissuti con la donna che aveva tentato in tutti i modi di ricucire il rapporto tra padre e figlio, senza riuscirci, ma lei non voleva perderlo quel figlio, e per la prima volta nella sua vita disubbidiva al volere di un calabrese. Era disposta a tutto, pure separarsi, ma quel figlio doveva rivederlo. I suoi appuntamenti con me, nel corso del tempo, diventarono costanti: ogni anno partiva e trascorreva tre mesi con me.
Ogni volta che arrivava le chiedevo di Sabrina, ma ormai di lei tutti avevano perso le tracce. Il primo a non averla più sentita ero io. Lei mi è sempre mancata, ma dovevo rincorrere un sogno, e forse un giorno l’avrei trovata e gli avrei detto ce l’ho fatta. Infatti, in tutti questi anni, avevo conosciuto tante donne, ma lei, la mia Sabrina, non l’avevo mai dimenticata. L’amore era andato via, ma il bene che le volevo come persona no, quello, non è mai fuggito via. Fu in quei tanti viaggi di mia madre in America che chiesi la verità su quell’odio che aveva bloccato il mio amore. Chinò il capo a terra, quasi in segno di vergogna: “La colpa è tutta mia”. Scioccato non riuscivo a comprendere le sue colpe. “Dimmi la verità”, chiesi.
Lei con fare desolato e pieno di rabbia: “Il padre di Sabrina è stato il mio primo fidanzato. Ci lasciammo, ma tra noi l’amore non era mai andato via. Così un giorno lo incontro per caso, e lui mi invita a prendere un caffè. Accetto come si fa tra buoni amici, ma i suoi occhi dicevano ancora tanto. Finimmo in un campo a fare l’amore, stavo tradendo tuo padre ma non mi interessava, era un qualcosa che volevo. Ironia della sorte, proprio in quel posto isolato e deserto, passa tuo zio Antonio che era impegnato in un pomeriggio di caccia. Apriti cielo. Ci fu una colluttazione incredibile, voleva ucciderlo, ma io mi misi davanti e dissi uccidi pure me. Antonio calma la sua ira per quello che aveva visto. Mi riporta a casa. Per strada mi chiede di fare un patto, se lui non avesse riferito nulla a tuo padre, io dovevo stare ai suoi comandi sessuali. Cosa che rigettai subito. La sera stessa disse tutto a tuo padre. Ci furono mesi e mesi d’inferno in casa nostra, tu eri piccolo, ma alla fine per evitare lo scandalo, tuo padre mi tenne in casa. Quando è scoppiato l’amore tra te e Sabrina era inevitabile che lui non avesse mai acconsentito. Perdonami, è stata tutta colpa mia. Ti auguro solo di rincontrare un giorno Sabrina, io prego ogni giorno finché avvenga, perché se il vostro è stato un grande amore, allora vi amerete ancora come quando eravate giovani”.
Un racconto che gelò il sangue. Mai avrei immaginato che il motivo di tutto fosse stato un tradimento di mia madre con l’uomo che amava per davvero. La strinsi tra le mie braccia mentre lei piangeva a dirotto. Da quel momento chiusi definitivamente con la mia terra. Ora sono passati quindici lunghi anni, e sapere che mia madre non c’è più mi rende triste e mi fa sentire molto più solo. Anche perché in tutti questi anni ho cercato di farmi una famiglia, di avere un rapporto d’amore con una donna, ma non ci sono riuscito. Accanto a me c’è stato sempre l’ombra di Sabrina che, un giorno, ricomparve come un fantasma venuto dal nulla.
Le preghiere di mamma erano arrivate. Infatti i social network sono formidabili per far ritrovare le persone nascoste in un angolo di questo mondo. Una sera mi arriva un messaggio. Nome e cognome in bella vista. Sbiancai. Il sangue si ferma per un istante nelle vene. Quindici anni sono tanti. Il messaggio era semplice. “Spero tu stia bene, e che nonostante la tua notorietà ti ricordi ancora di me”. E chi l’aveva mai dimenticata. Non sapevo più nulla di lei, sapevo solo quello che avevo vissuto io. Ricordo ancora quel panino mangiato alle quattro del mattino quando scesi dall’aereo che mi portava in un paese sconosciuto. Da quel giorno un inferno durato cinque anni. Un inferno che, ad un certo punto, mi stava trasportando anche a farla finita con la vita. Mi fermai solo per non dare un dolore a quell’unica persona che amava ancora me. Ero sul ponte di brooklyn, disperato ed angosciato, era un anno che mi ero trasferito in America, e le mi condizioni di vita peggioravano invece di migliorare. Erano tre giorni che non mangiavo. Piangevo come un bambino in cerca della poppata che la mamma gli nega. Le lacrime di angoscia mi dicevano di buttarmi giù, pochi minuti e tutto sarebbe finito per sempre. Mentre penso di farla finita, davanti ai miei occhi c’era sempre lei, la mia mamma. Fermai quell’ira, e decisi di ricominciare. La mattina mi aggrappai alle ultime speranze che mi rimanevano, e cercai un nuovo lavoro. Trovai riparo in un ristorante. La cosa che più mi incoraggiava è che i titolari erano napoletani. Spiegai le mie condizioni, e loro furono, da buon napoletani, subito ospitali. Mi diedero un lavoro come lavapiatti. Guadagnavo mille dollari al mese, pochi, ma bastavano per crederci ancora. Dopo un mese comprai il primo computer. Da lì incominciai a scrivere testi e sceneggiature per film. Passavo giorni e giorni a scrivere, e la notte lavoravo nel ristorante. Non mi sono più mosso da quel ristorante, ci ho lavorato fino al primo contratto con l’azienda cinematografica. Loro, per me, sono diventati una famiglia. Quando sono arrivato al successo, la prima cosa che ho fatto è stata quella di rimodernare quel ristorante che mi aveva dato modo di crederci ancora. Oggi mi guardo allo specchio e sembra sempre un sogno tutto quello che mi circonda: una bella villa, macchine di lusso, notorietà, ma dietro c’è tanta sofferenza, e non dimentico mai quella sera che stavo per farla finita.
Il messaggio di Sabrina aveva aperto una ferita che non si era mai rimarginata, ma che aspettavo da tempo. Attesi un bel po’ prima di risponderla. Dopo tanti ripensamenti un pomeriggio rispondo: “sto bene, spero che lo stia anche tu”. L’unica cosa che riuscii a scrivere. La risposta fu immediata: “Sto bene, spero un giorno di rivederti”. Questo messaggio riaprì quella porta che avevo chiuso nei confronti della mia patria. Ormai era lei la ragione di un mio ritorno in Italia. Anche se invece è stata la morta di mia madre ad obbligarmi a tornare indietro.
Tra me e Sabrina si apre un dialogo molto amichevole. Qualche volta ci sentivamo per telefono, altre si messaggiava per ore, ripercorrendo insieme la nostra gioventù. Ci siamo raccontato tanto delle nostre vite. Lei si era trasferita a Milano, dove vive attualmente, si è sposata, ma il suo matrimonio dopo pochi mesi è andati in frantumi. Non aveva più voluto risposarsi, non aveva figli, ma stava bene così. Nel suo cuore portava sempre il nostro amore, come d’altronde ho fatto io. Un amore assopito, forse sparito del tutto, ma che ha lasciato tanti bei ricordi indelebili. Oggi pomeriggio gli ho detto che sarei partito per l’Italia. È rimasta senza parole per qualche minuto, poi: “Questa notte ti aspetto all’aeroporto di Malpensa. Sarà la notte più bella della mia vita”. E sì, infatti arriverò quando in Italia e ancora notte. “Ok, aspettami”, rispondo.
Un anno dal ritorno di Sabrina ho imparato a fare mente locale del suo volto, essendo oggi una donna e non più una ragazzina. Dalle foto è una bella quarantenne, la stessa bellezza di un tempo. Ma vederla da vicino creerà sicuro imbarazzo dopo tutti questi anni. Finalmente, annunciano il mio volo per l’Italia: si ritorna in patria da vincitore.
Il volo è lungo. Facciamo il primo scalo, poi il secondo. È interminabile. In volo prendiamo la notte, segno che ci stiamo avvicinando all’Europa, quindi l’Italia. Il cuore accelera i battiti. Poche ore ancora e avrò davanti a me di nuovo la mia Sabrina. Sono impaziente. Mi calmo solo quando annunciano la fase di atterraggio. Siamo in piena notte. Dall’alto rivedo quella città che ho visto quando sono partito. Inizia la fase di atterraggio. Pochi minuti è l’aereo tocca il suolo italiano. Faccio tutte le operazioni di sbarco, prendo i pochi bagagli, ed esco dall’aeroporto. C’è poca gente. Mi avvio all’uscita. Appena fuori davanti a me compare la sagoma di Sabrina. Il cuore ha delle pulsazioni talmente veloci che ho paura che scoppi. Mi avvicino. Gli occhi lacrimano, sta piangendo. Mi avvicino ancora di più. Un fascio di luce illumina il suo corpo: è ancora bellissima, come se gli anni non avessero cancellato la sua bellezza. La guardo senza mai staccare gli occhi dal suo sguardo. Ci stiamo dicendo tante cose in pochi secondi. Sembra la scena dei tanti film che ho scritto, ma questa volta non sto scrivendo io, ma è il destino che scrive il prosieguo di una storia bellissima. Mi avvicino a lei. Senza dirci una parola ci stringiamo in un abbraccio forte. Quante volte ho immaginato questo abbraccio. Quante volte ho cercato di annusare nell’aria dell’America il suo profumo di ragazza. Ora sono qui e la tengo stretta tra le mie braccia. Non mi sembra vero.
“È bello tenerti di nuovo stretto tra le mie braccia”, mi dice Sabrina.
“Anche per Me, è meraviglioso”, rispondo.
Restiamo stretti per diversi minuti. Intorno a noi tanto silenzio. A fare rumore c’è solo il nostro respiro, forte, intenso, capace di fare chiasso in tanto silenzio. Io le accarezzo i capelli. Sabrina l’ho lasciata una ragazzina di 17 anni, la ritrovo una donna, nonostante tutto è come se il tempo non avesse cancellato il passato, come se tutto fosse rimasto fermo a quindici anni prima. Ad un tratto Sabrina si stacca dall’abbraccio:
“Vieni”.
“Dove”
“C’è un albergo qua dietro, andiamo, non l’abbiamo mai fatto, facciamolo stasera”.
Resto di stucco, non mi aspettavo una richiesta del genere. Ma aveva ragione mia madre: “Ti auguro solo di rincontrare un giorno Sabrina, perché se il vostro è stato un grande amore, allora vi amerete ancora come quando eravate giovani”. Non riesco a dirgli di no, sento qualcosa di particolare dentro di me. Ho avuto tante donne, ma lei rimane sempre l’unica, inimitabile, è speciale.
Raggiungiamo l’albergo. Una volta in camera non c’è nemmeno il tempo di dire qualcosa, le nostre labbra si avvinghiano in un bacio scaccia imbarazzo. Riassaggiare le sue labbra e come tornare ragazzo. Il resto è tutto un vortice di emozioni miste a passioni, in un ritorno scritto da un poetico destino.
“È stato meraviglioso”, dice Sabrina
“Questa sera hai trafitto per la seconda volta il mio cuore. Ora sarà dura”, rispondo.
“Il mio è rimasto sempre trafitto, la lama non è mai uscita, è rimasta conficcata in attesa che tu arrivassi a toglierla, questa sera l’hai tolta”.
“Perché non sei più tornata in Calabria, eppure eri in Italia”, le chiedo.
“Aspettavo te. Solo con te sarei ritornata in Calabria”.
“Perché”, chiedo
“Perché in quel paese di Merda ci sono i ricordi di quell’addio doloroso, che divise un amore stupendo. Ma ora sei qui, andiamo a spazzare via quei ricordi portandoci via qualcosa di più bello”.
“ Andiamo”.
Ci ricomponiamo, insieme partiamo per il lungo viaggio fino alla Calabria. Ricordo che quando eravamo giovani, nella nostra ristrettezza economica sognavamo di scorazzare l’Italia in Ferrari. Non ci penso due volte, strappo il biglietto aereo per Reggio Calabria. Noleggio una Ferrari a sua insaputa. “Ricordi quante volte dicevamo di girare l’Italia in Ferrari” domando. “Sì, lo ricordo bene”. La prendo sotto un braccio e la conduco vicino ad una Ferrari testa rossa, apro la portiera: “Prego madame”. Sabrina sorride ma, poi, piange dalla gioia. Ci avviamo verso la terra del sole. Tutto il viaggio è un divertirsi a raccontarci tante cose. Immaginavo di non tornare mai più in Italia, ma adesso che la ripercorro per intera, mi sembra un romanzo che nessuno sarà mai capace di scrivere, talmente è bella.
Arrivati in Calabria, usciamo dall’autostrada. Imbocchiamo la strada che conduce al nostro paese. Sembra tutto fermo al giorno che sono andato via. Quando entriamo in paese troviamo qualche casa in più, ma riassaporiamo l’odore del mare, e riabbracciamo i nostri ricordi d’infanzia e della nostra giovinezza e, forse, siamo ritornati a riprenderci quell’amore che due arroganti generazioni ci avevano tolto.
La giornata è triste: il funerale di mia madre. Io che vedo per la prima volta la tomba di mio padre. Sabrina che piange sulla tomba dei suoi genitori che non aveva mai più rivisto, solo in questa occasione può piangere sulla loro lapide. I fratelli e le sorelle che la riabbracciano. La gente incuriosita che mi guarda con stupore. La sera io e Sabrina facciamo una passeggiata lungo il mare come facevamo da ragazzi.
La giornata si spegne così: immersi nei tanti ricordi di una gioventù spezzata che mai più potremo riavere. Il mattino dopo ripartiamo, ma decidiamo di fare i turisti nel nostro paese. Il ritorno dura diversi giorni. Sempre in Ferrari andiamo a Roma, Firenze, Rimini, Venezia, per poi tornare a Milano. Le nostre soste sono fatte di tanti sorrisi e tante serate di passioni, come se stessimo vivendo un viaggio di nozze all’italiana, come si faceva proprio ai nostri tempi: in giro per l’Italia. Una volta a Milano qualcosa di importante dobbiamo dirci, perché la separazione è di nuovo lo spettro peggiore. Ma io questa volta sento che non voglio più separarmi da lei. Ma non so come dirglielo. No, non posso perderla di nuovo.
“Sabrina, ora sta per ritornare lo spettro di quindici anni fa”, gli dico.
“Infatti”, risponde
“Lo so, per te non è facile, ma non so, io devo andare, in America ho quello che l’Italia non ha mai saputo darmi. Tu sei libera di decidere se restare o venire con me per sempre”.
“Ovunque, in ogni angolo del mondo, io vengo con te”, risponde Sabrina.
Due ore dopo siamo sul primo volo per New York. Durante il volo: “Sono venuto a riprenderti come disse mia madre. Tutto questo è successo perché tuo padre e mia madre erano innamorati come noi, ma il loro amore fu spezzato da errori di incomprensioni. Ma posso dirti che hanno fatto l’amore dopo sposati, e per colpa di quel tradimento il nostro amore fu interrotto dall’odio dei nostri rispettivi padri. Ma mia madre ha sempre pregato affinché ci rincontrassimo, ed è successo. Aveva ragione lei, quando guardi negli occhi la persona che hai amato, la fiamma può accendersi in ogni momento. Ti Amo ancora Sabrina”
“Io non ho mai smesso di amarti. Il passato difficilmente si può cancellare, ma godiamoci il presente recuperando tutto il tempo perduto”, risponde Sabrina piangendo.
“Amore, lo faremo, per sempre”.
La stanchezza è tanta, ci addormentiamo in volo. Al risveglio Sabrina si ritrova in America. È emozionata come una bambina. I colori dell’America la fanno apparire una ragazzina. Una volta a casa, nonostante la stanchezza del volo, volgiamo incominciare una nuova vita amandoci ancora.
Quell’amore spezzato quindici anni prima, ritornato con la stessa potenza di allora, fra pochi mesi mi donerà la gioia di essere padre di un figlio della donna che ho sempre amato. Ed io gli insegnerò l’amore vero, raccontandogli la storia di un amore che, nonostante l’insidia, ha saputo aspettare fino a donargli la vita, e non sarà un film scritto da me, ma la storia vera della sua vita.
I fatti narrati nel racconto sono esclusivamente frutto della fantasia dell’autore. Ogni riferimento a persone o cose è puramente casuale.
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