Lun. Set 25th, 2023

ROMA – Sono la miniera d’oro dei partiti e dei politici. Sono una macchina perfetta di voti. Le società pubbliche in Italia continuano a nascere al ritmo di una al giorno, e vanno poi ad allagare la grande flotta di società partecipate che sprecano i soldi pubblici dei contribuenti. È quanto emerge dalla Cgil con il suo centro studi Ires in un approfondito studio di 60 pagine, ci consegna oggi un’immagine mostruosa. Uno scenario popolato da 8.893 società partecipate dalle pubbliche finanze e cresciute a un ritmo impressionante: circa 5mila nel solo periodo compreso fra il 2000 e il 2014, fino a raggiungere uno spettacolare rapporto di una ogni 6.821 abitanti. La famosa riforma del titolo V della Costituzione voluta da un centrosinistra all’inseguimento forsennato della Lega Nord, ha ampliato a dismisura le prerogative della politica locale alimentandone le tentazioni più inconfessabili. Oggi il numero dei dipendenti delle società partecipate ha raggiunto 783.974 unità, più degli abitanti di Bologna e Firenze messi insieme. Qualche anno fa la Corte dei conti ha stimato in 38 mila il numero delle figure apicali in quelle società. Talvolta in proporzione perfino superiore a quello degli stessi dipendenti. Questo spiega perché risultano inattive ben 1.663 delle 8.893 società partecipate. Il 18,7 per cento di scatole vuote. Con vette in Molise (31 per cento), Calabria (38 per cento) e Sicilia, dove si supera il 40 per cento. Persino in Trentino Alto-Adige è inattiva una su dieci. Ma il dolo rimane sempre nel fatto che queste partecipate hanno in seno membri dei partiti, cosiddetti trombati alle elezioni, che attraverso le società partecipate trovano quel pizzico di gloria dopo la delusione elettorale. Neppure la crisi, né i vari provvedimenti presi a partire dal 2007 e tesi a scoraggiare la proliferazione di questo fenomeno hanno frenato il proliferare delle società pubbliche. Come argomenta la Cgil in questo dettagliato dossier, le società non attive bisogna considerare le 828 congelate o messe in liquidazione a partire dal 2010, è anche vero che da quell’anno e fino a tutto il 2014 ne sono state costituite 1.173 nuove di zecca. E il ritmo delle nascite si è appena rallentato. La politica locale rischia di dover rinunciare a muovere potenti leve clientelari. Pratica, ahinoi, assai diffusa. Qualche anno fa si scoprì che presso i gruppi politici del consiglio regionale della Campania erano distaccati 150 dipendenti di società pubbliche. Pagati dai contribuenti ma al servizio di partiti e loro capicorrente. La legge 190 del dicembre 2014 prevedeva che gli enti locali predisponessero piani di razionalizzazione delle partecipate entro il marzo dell’anno seguente: ebbene, la Corte dei conti ha rilevato che due mesi dopo quella scadenza soltanto 3.570 soggetti sugli 8.186 interessati dalla disposizione l’avevano osservata. Quindi nonostante si è cercato di frenare il fenomeno l’emorragia ha continuato a dissanguare i contribuenti italiani. Le società partecipate, vuoi o non vuoi, sono una miniera d’oro per i partiti, quindi difficilmente la sua riduzione sia concretizzata del tutto.