La principessa del parco
È bello rivedere davanti a me di nuovo il parco pieno di luci. È stato un anno e mezzo terribile. Quanta sofferenza! Lo scorso anno il parco era al buio, ma non m’importava, non era Natale, il mio cuore già spento. Dentro avevo tanta malinconia.

È bello rivedere davanti a me di nuovo il parco pieno di luci.
È stato un anno e mezzo terribile. Quanta sofferenza!
Lo scorso anno il parco era al buio, ma non m’importava, non era Natale, il mio cuore già spento. Dentro avevo tanta malinconia.
Nel mese di marzo il destino fu crudele con me, mi portò via in poche settimane la mamma e il papà. Quel virus aveva sconvolto la mia vita togliendomi tutto quello che avevo.
Non solo, poche settimane prima, come se non bastasse, quello che consideravo il mio amore è sparito nel nulla lasciandomi solo un biglietto: “Sento di non amarti più, ti auguro il meglio dalla vita. Perdonami, ma amo un’altra”.
Poche parole che avevano distrutto tutto ciò che avevo fatto per il mio uomo. Mi aveva usata, poi era scappato via.
Sono un’imprenditrice. Non è stata una passeggiata, ma alla fine ci sono riuscita.
Ma ora sono una donna vuota. Voglio solo far passare il tempo. Finché non placherò i miei dolori. Non credo che in me torni l’amore, non ci credo più.
Dal terzo piano guardo le luci di Natale che ornano il parco. Finalmente è ritornata la luce del Natale dopo la devastante epidemia. Ci siamo liberati dalle angosce subite durante un anno e mezzo, prigionieri del virus. Lentamente le cose si stanno rimettendo al loro posto. Anch’io ho subito la crisi: mesi e mesi con l’attività chiusa. Operai fermi. Ho fatto quello che potevo per loro.
Il parco è sempre vuoto a quest’ora, ma da diverse sere noto su una panchina, proprio di fronte al mio balcone, un uomo seduto. Ormai sono già tre sere consecutive. Chissà che fa lì tutto solo. Forse è il solito senzatetto. Poverino, con il freddo che fa deve essere brutto. Mi incuriosisce.
Prendo il mio cane, ormai siamo inseparabili.
Dopo la morte dei miei e la brutta avventura amorosa, ho solo lui che mi vuole veramente bene. Scendo.
Passo davanti all’uomo seduto sulla panchina. Ha gli occhi chiusi e cuffiette nelle orecchie. Starà ascoltando musica, immagino. Ha una barba folta e l’aspetto non è certamente gradevole. Molto trascurato. Chissà cosa gli è successo di brutto nella vita, mi domando. Risalgo e mi metto a letto.
La sera dopo mi affaccio al balcone e quell’uomo è ancora lì. Mi intenerisce.
Chissà se avrà mangiato.
Preparo un panino e scendo giù. Mi avvicino e gli offro lo spuntino. Ma lui non reagisce, continua ad avere gli occhi chiusi. Lo scuoto per fargli capire che voglio dargli da mangiare. Apre gli occhi, mi guarda e prende il panino.
Mi allontano per far passeggiare il cane. Al ritorno mi fermo di nuovo davanti a lui. Non contenta, mi siedo accanto a lui, sono curiosa di sapere perché sta lì. Lui non mi nota nemmeno, forse la musica in sottofondo non gli fa notare la mia presenza al suo fianco. Così lo scuoto di nuovo. A quel punto lui apre gli occhi:
“Grazie, stasera se non fosse stato per lei, avrei saltato la cena.”, ammicca a un timido sorriso.
“E di che? Quando si può fare una buona azione, si deve fare”, gli rispondo.
C’è qualche minuto di silenzio tra noi. Lui continua ad avere le cuffiette e mi ignora, che strano. Cerco di aprire un dialogo.
“Se togli le cuffiette possiamo parlare, se vuoi…”
“Parla, ti sento.”
“Ma hai le cuffie, non puoi sentirmi.”
“Invece ti sento, non funzionano.”
“Come non funzionano, allora che le tieni a fare?”
“Con le cuffie creo l’effetto nel mio cervello, un’illusione che mi fa credere che sto ascoltando musica, ma immaginaria, mi fa sentire meno solo e posso sognare.”
“Mi fa piacere.”
Come primo approccio può bastare e ritorno a casa. Una volta rincasata, comprendo che quell’uomo ha un’aura di mistero attorno a sé. Racchiude qualcosa che l’ha colpito prima di ridursi così. Però, è una persona molto educata. E a me piacciono le persone educate.
Il mattino dopo mi affaccio al balcone e lui già non c’è più. Chissà se ritorna anche questa sera, mi chiedo. Manca poco al Natale, mi accingo a viverlo con tutta la tristezza possibile che ho accumulato dentro il mio cuore. L’unico svago che ho per non pensarci sta diventando quell’uomo seduto sulla panchina.
Voglio sapere tutto di lui. Non perdo tempo. In tarda serata guardo dietro i vetri del balcone se c’è. C’è.
Fa molto freddo, mi dispiace che un uomo debba vivere ridotto così. Mi si stringe il cuore. Mi dirigo verso l’armadio, prendo un piumone dei miei, lo ripongo in una busta abbastanza grande e scendo giù.
“Se per te non è un’offesa, ti ho portato questo, stasera fa molto freddo, penso ti faccia comodo.”
“Sì, grazie, sei molto gentile.”
“Posso sedermi?”
“Certo.”
“Ti va di parlarmi di te?”
Mi guarda fisso, quasi come per capire se può fidarsi di me. Lo capisco, anch’io ormai non mi fido più di nessuno. Sono molto scettica. Ma la sua risposta non si fa attendere a lungo.
“Sono stato sfortunato. Avevo un bel lavoro. Guadagnavo bene. Alla mia famiglia non facevo mancare nulla. Poi, l’inferno.”
“Che lavoro facevi?”, gli chiedo.
“Sono laureato in ingegneria informatica con una specialistica in designer e marketing. Adesso mi vedi così, ma ti assicuro che non sono l’ultimo arrivato.”
“Cosa ti è successo, perché sei finito su questa panchina?”, domando.
“Lavoravo per una grande multinazionale straniera. Ci lavoravo da quasi dieci anni. Il lavoro mi aveva permesso di mettere su famiglia. A marzo è arrivato l’inferno. Già le cose non andavano bene, la Società era sempre intenzionata ad andare via dall’Italia e l’epidemia è stato il pretesto giusto per farlo. Una mattina siamo andati a lavoro e abbiamo trovato tutto chiuso. Abbiamo cercato di sapere qualcosa. Ma solo nel tardo pomeriggio, tramite un messaggio sul cellulare, ci è giunta la notizia che la società avrebbe chiuso i battenti definitivamente. Non immagini il mio sconforto. In quel periodo brutto ho provato a trovarmi un altro lavoro, uno qualsiasi, pure il lavapiatti, l’importante era che guadagnassi qualcosa. Ma l’Italia era stata chiusa. Non c’era nulla da fare. Un periodo orribile. Non era nemmeno arrivata la cassa integrazione. Per fortuna avevo dei risparmi da parte. Le cose si sono complicate quando la mia compagna, con la quale avevo un bambino di otto anni, ad un certo punto è cambiata totalmente, era spuntata fuori una donna che non conoscevo. Poi un giorno ero uscito per fare la spesa e al mio rientro ho trovato valigie vicino alla porta. Ovviamente le ho chiesto subito spiegazioni. Lei senza timore mi ha detto: ‘Me ne vado, non voglio più stare con un fallito.’ Che tristezza! Non potevo essere io il fallito, era il mondo che stava andando a rotoli. Non mi ha dato ulteriori spiegazioni e se n’è andata portando via con sé il mio gioiello, il mio adorato bambino. Dopo qualche ora sono andato a cercarla a casa dei suoi. Non c’era. E non c’era nemmeno da una sua amica. Poi mi sono fermato ad un bancomat per prelevare qualcosa per continuare la ricerca ed è stato proprio allora che con mia amara sorpresa ho scoperto che aveva prosciugato tutto il nostro conto prelevando tutto, ma proprio tutto. Non ero ricco, ma lei mi ha privato di quel poco che avevo. Non avevo più nulla. Non avendo genitori né sorelle e fratelli, mi sono ritrovato in poche ore solo e abbandonato. Il giorno dopo mi sono recato da un avvocato per denunciarla. Ma prima di entrare, ho visto un cartello. C’era scritto: ‘Per informazioni e consigli l’onorario è di centocinquanta euro.’ Avevo solo cinque euro in tasca, era tutto quello che mi è rimasto. Il giorno dopo ho lasciato anche la casa che avevo in affitto, dovevo dare ancora un pigione al proprietario. Volevo andare dai carabinieri ma poi ho finito per cedere ad una lenta rassegnazione. Più passavano i giorni, più mi disperavo e quel che era peggio era che mi sono lasciato completamente andare e alla fine mi sono ritrovato a vagare tra i marciapiedi. Ed eccomi qui, questo sono io.”
Ascolto la storia e il mio animo si riempie di tristezza. Un conto è che due persone non stanno più bene insieme, un conto è lasciare una persona in mezzo alla strada, ci vuole davvero un cuore di pietra. Al momento non trovo altre spiegazioni plausibili. Fa molto freddo, mi dispiace lasciarlo lì, ma non ho scelta. Posso anche fidarmi di lui, ma ho paura di portarlo a casa mia. In questo mondo infame dobbiamo avere paura delle persone tanto da lasciarle al freddo. Ma non posso, se mi succedesse qualcosa di brutto, non me lo perdonerei mai. Non ho altra soluzione che andare via. Lo saluto e con un groppo alla gola mi ritiro in casa.
Non riesco a prendere sonno. Ogni mezz’ora mi alzo e guardo se è ancora sulla panchina. È sempre lì. Ora si è sdraiato ed è avvolto completamente dal mio piumone. Piango. L’umanità non può essere questa. Ho lasciato una persona al freddo. Non è giusto. Ma per ora non mi viene in mente nessuna idea. Mi rialzo verso le quattro del mattino, guardo fuori e vedo che non c’è più. Mi rincuoro: si sarà rifugiato al caldo. Solo così riesco finalmente a dormire.
La mattina, una volta in azienda, contatto un’agenzia investigativa. Dopo qualche ora arriva il titolare. Gli spiego che cerco una persona ma ho pochi elementi in mano. Lui non fa una piega. Ci pensa lui, dice. Gli riferisco quello che so e gli chiedo di trovarmi il bambino. Rimango in attesa per tre settimane.
Nel frattempo, ad Alfonso, così si chiama, trovo una sistemazione provvisoria in un dormitorio pubblico gestito da una cara amica. Tutte le sere io e lui ci facciamo la nostra chiacchierata sulla panchina, poi ognuno se ne va a dormire. Sono contenta di non vederlo più dormire sulla panchina. Perlomeno in questo mi sento rasserenata. Passano tre settimane, l’agente mi chiama dicendomi che forse ha trovato il bambino e sta partendo per Bologna. Non dico nulla ad Alfonso, voglio essere sicura prima di dargli la notizia. Il giorno dopo lo stesso agente mi comunica che ha trovato e anche visto il bambino. Ha tutti gli elementi della sua indagine condotta in queste settimane. Il bambino che cerchiamo è proprio lui. Sono strafelice, forse farò il regalo più bello ad Alfonso. La sera lo incontro al solito posto.
“Ho una bella notizia per te.”
“Quale sarebbe?”
“Ho trovato il bambino, domani devi partire per Bologna.”
“Ma che dici, come l’hai trovato?”
“Ho incaricato un’agenzia investigativa per trovare il piccolo, sta a Bologna.”
“Perché stai facendo questo per me?”
“Perché non è giusto che ad un papà venga privato del proprio figlio, come donna non lo accetto.”
“Cosa devo fare?”
“Domani vai a Bologna, ti incontri con l’agente e sarà lui a condurti da tuo figlio.”
“A che ora devo partire?”
“Ti ho prenotato un Frecciarossa che parte alle 11, così alle 13 sarai già lì.”
“Va bene.”
“Domani mattina presto ti aspetto qui, prima dobbiamo fare una cosa.”
“Cosa?”
“Te lo dirò domani.”
Vado via, è una notte speciale per me, come credo lo sia anche per Alfonso. È il 22 dicembre, Alfonso potrà vivere un Natale diverso ritrovandosi col figlio.
Il mattino dopo Alfonso è puntualissimo. Non voglio che vada dal figlio con quattro stracci addosso, ha bisogno di una sistemata. Per prima cosa andiamo da un barbiere che gli restituisce un aspetto migliore, poi andiamo in giro per i negozi per comprargli degli abiti nuovi e infine a casa mia per una doccia sgrassante e indossare i nuovi abiti. Dal bagno esce un uomo completamente cambiato. Ed è anche un bell’uomo. Ha riconquistato il suo aspetto giovanile che aveva perso da barbone. Lo accompagno alla stazione.
“Grazie.”, mi dice Alfonso
“Non mi devi ringraziare, è un tuo diritto, è una fortuna che siamo riusciti a trovarlo.”
“Cosa gli dirò dopo quasi due anni di assenza?”
“Quando rivedrai tuo figlio, tutto ti verrà naturale.”
“Mi tremano le gambe.”
“È normale. Adesso va’, altrimenti perdi il treno. Però prima prendi questi, non puoi andare senza soldi e senza telefono.”
“No, non posso accettarli! Hai fatto già tanto per me, da quando ci siamo conosciuti ti ho solo creato problemi.”
“ Ma che dici, lo faccio con tutto il cuore. Prendili, sono cinquecento euro. Fammi stare tranquilla, ti prego.”
A quel punto Alfonso non obietta più. Si allontana da me lentamente. Fa cento metri, si volta e torna indietro. Mi viene vicino e con una voce timida mi fa: “Se il mondo fosse pieno di donne amorevoli e dolci come te, regnerebbe solo l’amore.” “Chiamami dopo che hai visto il piccolo.”, gli sussurro. Parole bellissime che mi emozionano. Dicono che i gentiluomini non esistono, ma non è vero. Sono rari, ma esistono. Mentre lui sale sul treno, esco dalla stazione con le belle parole ancora impresse nella mente. La giornata scivola senza problemi immaginando l’incontro di un padre che non vede da tempo il figlio. Verso sera ricevo la telefonata di Alfonso. Poche parole e tanta gioia per aver rivisto il figlio.
Arriva l’alba della vigilia di Natale. Alfonso ritorna in serata. Io sono a casa. Mi affaccio al balcone, e il parco senza Alfonso su quella panchina mi sembra vuoto. Cala la sera. È la vigilia di Natale, ho tanta malinconia dentro, mi sento più sola del solito. Mi arriva un messaggio: “Sono appena arrivato nel parco.” È Alfonso. Come un fulmine scendo le scale per raggiungerlo. Una vigilia di Natale tutta insolita, ma meglio di quella che abbiamo vissuto lo scorso anno. Appena vedo arrivare Alfonso, per la prima volta mi batte il cuore. Non so il perché.
“Allora, com’è andata?”
“Bene, è cresciuto.”
“Ti vedo turbato.”, gli chiedo.
“È stato un momento troppo toccante. Mio figlio mi ha chiesto perché sono scomparso. Gli ho spiegato che non è così e che anzi non ho mai smesso di pensare a lui. La cosa più bella che mi ha detto quando mi ha visto è stata: “Papà, ti ho sempre aspettato”.”
Sono commossa. Alfonso ha gli occhi lucidi dalla commozione. È la vigilia di Natale, non è giusto che entrambi la viviamo chiusi nella nostra delusione. Così prendo la saggia decisione di trascorrerla insieme.
“Andiamo da me, trascorriamo insieme questa vigilia di Natale”.
Alfonso non obietta, forse era quello che si aspettava. In mattinata ho fatto la spesa in previsione di un Natale in solitaria, ma poi inconsapevolmente ho finito per comprare più cose del previsto, come se il destino avesse già predetto quello che sarebbe successo stasera. Una volta in casa, non perdo un minuto di tempo e preparo la cena di Natale per noi due. Alfonso apparecchia la tavola e mi da una mano in tutto. Non capisco come una donna abbia potuto comportarsi in quel modo nei confronti di un uomo così adorabile. La cena prosegue con tanta spensieratezza. Ci diciamo tante cose, è un modo per far passare il tempo. Fuori inizia a nevicare, è l’atmosfera giusta per festeggiare la vigilia in casa. Lo scorso anno rivendicavamo di uscire, invece è bello trascorrerla quando sei in buona compagnia o magari con gli affetti più cari. Parliamo di tutto come se ci conoscessimo da un’eternità. Questo mese mi ha regalato una bella amicizia. Forse quella vera. Dopo la seconda portata chiedo ad Alfonso: “A Bologna hai incontrato la tua ex?”
“Sì, era con il bambino”.
“Vi siete parlati?”
“Sì e sarebbe stato meglio se non l’avessimo fatto, è stata troppo crudele con me.”
“In che senso?”
“Ha detto che mi ha fatto vedere il bambino solo per farmi vedere com’è cresciuto e che non devo illudermi perché non succederà più. Ha sistemato ogni cosa con la legge, facendo in modo che ottenesse l’affidamento esclusivo di mio figlio perché ha raccontato ai giudici che io l’ho abbandonato e che sono scomparso dalla sua vita. Non ho voluto rovinare il momento magico che vivevo con mio figlio mettendomi a litigare con sua madre. Dopo però l’investigatore privato mi ha spiegato cosa ha scoperto grazie alla sua indagine. La mia ex sta con una persona che è molto influente, relazione che porta avanti già dai tempi in cui vivevamo insieme. Ormai non m’importa più del suo tradimento, sono solo amareggiato per il fatto che cerca in tutti i modi di tenermi lontano da mio figlio. Non ho le forze né i mezzi per reagire, ma una giustizia per me deve esserci. Non è possibile tutto questo.”
Cerco di confortarlo pur sapendo che non è facile, ma anch’io devo aprire il mio cuore:
“Devo dirti una cosa.”
“Dimmi.”
“Sono un’imprenditrice. Ho una piccola fabbrica di accessori per donne: borse, scarpe, borselli. Ho sacrificato gran parte della mia vita per questa azienda. Poi la pandemia ha rallentato tutto. I tempi in cui siamo stati fermi. Il mondo che si è fermato. Tutto quello che è successo, ha penalizzato anche la mia attività. In tutti quei mesi ho solo pensato ai miei operai che hanno figli da sfamare, ho cercato di non farli stare con le mani in mano, però le commesse sono diminuite a dismisura. Ho continuato a pagarli, anche se venivano a lavoro solo per pulire i capannoni, tanto per fare qualcosa. Tranquillo, non sono in povertà. In tutti questi anni ho fatto la formica. Ho sempre pensato a mettere soldi in banca e comprare proprietà. Allo stesso tempo non mi sono fatta mancare nulla, nemmeno le vacanze per rilassarmi. Ho acquistato quattro appartamenti e una villetta, in più i capannoni dell’azienda sono di mia proprietà. Però ho dovuto vendere un appartamento e la villetta per pagare le tasse e gli operai. Ma tutto questo non m’importava, ciò che contava era che loro non avessero trascorso momenti di disperazione durante l’epidemia. Questo però ha comportato una caduta dei miei affari, poiché non ho potuto rinnovare i miei oggetti. Poi, non per ultimo, la mia idea era di creare altri accessori come profumi, così ho fatto un investimento per creare il laboratorio e la produzione di questi profumi. Il mio ex mi ha convinto a intraprendere questa strada, ma poi è stato il primo a scappare via lasciandomi il cerino in mano. Sapessi come sto male quando entro nel locale e la ragnatela sta logorando macchinari nuovi mai andati in funzione. Ci credevo, ma credo che presto diventerà la mia sconfitta imprenditoriale. Spero che il mondo riapra le sue porte, così posso rimettere in sesto la mia piccola impresa, dato che i miei principali clienti sono stranieri.”
“Mi dispiace tantissimo, siamo accumunati da troppa sofferenza che ha caratterizzato ed interrotto le nostre vite in questi ultimi anni. Ma sappi che non è stata colpa nostra: siamo entrati in una guerra incredibile che ci ha trascinato nel baratro. Ma ora che tutto è finito possiamo credere in un riscatto.”
“Hai ragione, ci credo pure io, ci vorranno solo tanta forza di volontà e tanti sacrifici come ingredienti per rialzarci in piedi.”
La cena volge al termine. Alfonso mi da una mano a rimettere in ordine la cucina, poi:
“Allora me ne vado, ho approfittato di te fin troppo. Comunque grazie per avermi fatto trascorrere la vigilia insieme a te.”
“Ma no, dove vai, resta qui, la serata ancora non è finita. Ma poi dove vai con questa neve? Rimani con me, trascorriamo le feste insieme, tanto siamo entrambi soli.”
Riesco finalmente a convincerlo. Rimane insieme a me e trascorriamo la serata guardando l’album delle mie foto. Ci sono anche tanti sfottò, ma ci divertiamo un sacco. Una sera diversa dalle altre dopo la tempesta. Tuttavia non riesco a togliermi dalla testa ciò che Alfonso mi ha raccontato a proposito del suo incontro con la sua ex a Bologna. Devo rifletterci. Nonostante la nevicata, prima di mezzanotte decidiamo di recarci a messa per sancire il nostro ritorno alla normalità. Attraversiamo tutto il parco. Io mi metto sotto al suo braccio per ripararmi dal freddo come farebbe qualsiasi fidanzata, anche se a conti fatti non lo sono. Però lui, da vero amico, me lo lascia fare. Attraversiamo tutto il parco fino a raggiungere la chiesetta che si trova proprio all’angolo destro del cancello del parco. Entriamo. La chiesetta è piena di persone. Ci posizioniamo in un angolo e ascoltiamo l’omelia in attesa della venuta di Gesù bambino. Dopo quasi due anni, è la prima volta in cui mi sento davvero bene. Non mi sentivo così da quando sono morti i miei e sono stata lasciata da un uomo che non era uomo!
Al ritorno continuo a stringermi a lui. Non so spiegarmi il perché, ma mi sento protetta, al sicuro e tanto emozionata. Alfonso è un uomo diverso, lo sento. Rientrati a casa, andiamo subito a letto. La notte la trascorro quasi insonne. Penso a come aiutarlo a ricongiungersi col figlio senza impedimenti legali. Così la mattina appena sveglia chiamo il mio avvocato: “Ciao, ho bisogno di parlarti.”
“Ma tu sei scema, oggi è Natale.”
“Lo so che è Natale, ma devo parlarti, ci vediamo tra un’ora al bar.”
“Va bene.”
Nel frattempo si è svegliato pure Alfonso. È già vestito. Mentre lui sorseggia un po’ di caffè, io vado a prepararmi. Usciamo e ci dirigiamo al bar, dove mi sta già aspettando l’avvocato. Facciamo colazione insieme, poi Alfonso ci lascia educatamente, così posso parlare liberamente con l’avvocato, raccontandogli tutto quello che so in merito alla storia di Alfonso.
“Ascoltami, devi fare in modo che il bambino stia anche col padre. E lo voglio per il 28 dicembre.”
“Il 28? Ma sei pazza, come faccio?”
“Dici sempre che sei il miglior avvocato. Non voglio sapere come fai, ma una strada c’è, ne sono sicura. Trovala.”
“È un caso complicato, difficilmente lo si può risolvere in pochi giorni.”
“Non mi interessa, ti aspetto la sera del 28 al parco insieme al bambino.”
“Sei proprio di coccio. E va bene, ci provo.”
L’avvocato se ne va, mentre Alfonso mi aspetta fuori. Lo raggiungo, appena mi avvicino mi da una rosa, un gesto gentile che apprezzo tantissimo. Prendo la macchina e ci dirigiamo verso l’azienda. Sono pochi chilometri. Entriamo. Una volta dentro, Alfonso fa un giro di perlustrazione mentre io gli spiego tutti i passaggi delle lavorazioni e i macchinari. Lui mi ascolta in silenzio.
“Complimenti, hai una bella azienda, piccola ma ben curata.”
“Dietro quella porta c’è la mia delusione.”
Entriamo nell’altra ala del capannone, dove c’è quel sogno mai partito. Alfonso è curioso, osserva tutto con la massima attenzione. Non mi fa domande. Si avvicina a dei flaconi di profumi di altre aziende, che avevo comprato tanto per cercare di copiarli per poi produrne qualcuno simile per i miei profumi. Ne prende uno in mano e sorride. Gli chiedo il perché. Lui mi risponde che il flacone gli ha rievocato un vecchio ricordo, ma non aggiunge altro. Dopo un po’ andiamo via e ci dirigiamo ad un ristorante gestito da una mia amica per trascorrere il pranzo di Natale. Passiamo insieme una bella giornata. Solo a tarda sera torniamo a casa e lì finisce il Natale e la prima parte di feste. Una volta a casa, però, Alfonso, per la prima volta, mi fa una richiesta:
“Hai un computer portatile.”
“Sì.”, gli rispondo.
“Me lo presti per qualche giorno?”
“Certo.”
Non capisco cosa deve farci. Il mattino dopo prende il computer e se ne va. Un atteggiamento un po’ strano, ma non del tutto preoccupante, almeno questo è quello che ho pensato all’inizio. E invece per tutto il giorno non si è fatto proprio sentire. Verso sera gli invio un messaggio per chiedere se venisse a cena a casa mia. Lui mi risponde di no e ha anche aggiunto che non ci sarebbe venuto nemmeno per trascorrere la notte. Stessa cosa per i giorni successivi. Inizio a sentirmi angosciata. Il mio pensiero corre subito al passato. Non voglio crederci, Alfonso è diverso, eppure sono tre giorni che non si fa vedere né sentire. Quando mi affaccio dal balcone e lui non c’è sulla panchina, mi mette tristezza. Verso le due del pomeriggio mi chiama l’avvocato.
“Stasera sarò al parco, porterò con me il bambino.”
“Ci sei riuscito?”
“Sì, il tuo investigatore mi è stato di grande aiuto. L’amante ha creato una manfrina riuscita bene. Sono riuscito a informare al giudice che quella sentenza era una truffa, poiché molti documenti erano falsi. E io ne avevo le prove. Appena se n’è reso conto, ha convocato la donna e il suo compagno, il caso sarà riaperto, nel frattempo mi ha concesso la possibilità di portare con me il bambino per qualche giorno. Però mi serve subito una procura con la firma del padre. Mandamela subito.”
“Quanto subito?”
“Massimo un’ora.”
Devo rintracciare immediatamente Alfonso. Dopo un po’ d’insistenza mi risponde al telefono.
“Devi venire subito da me, è urgente.”
“Che succede, mi metti agitazione.”, mi risponde Alfonso.
“Vieni subito, ti prego.”
Nemmeno mezz’ora dopo Alfonso bussa il campanello. Apro la porta. Lui appena mi vede mi stringe le mani e mi abbraccia. Per la prima volta sento il calore di Alfonso che mi avvolge tutta. L’abbraccio mi piace da morire. Mi sento protetta e coccolata. L’ho fatto preoccupare, tale da spingerlo ad abbracciarmi. Lui mi chiede con una certa premura, mentre mi tiene stretta tra le sue braccia:
“Sono arrivato qui il prima possibile, cos’è successo?”
“Devi firmare un documento.”
“Un documento?”
“Sì, un documento.”
“Di che si tratta?”
“Non farmi troppe domande, firmalo e basta.”
“Ti prego, dimmi di che si tratta?”
“Sai che non ti ho mai preso in giro. Mi serve questo documento, fra qualche ora lo capirai, ma ora firma e non chiedermi più nulla.”
“Mi fido di te, non tradirmi pure tu.”
“Non lo fare mai, sei un uomo che non lo merita”.
Dopo la firma, invio subito un’email all’avvocato. Alfonso è molto scettico, cerco di rincuorarlo dicendogli che è una cosa che lo riguarda ma che per ora non posso dire altro. Per stemperare la tensione, lo invito ad andare a prendere un caffè al bar. Ma lui fa con un tono serioso:
“Devo finire una cosa importante.”
“Cosa?”
“Non posso dirtelo, poi capirai. Possiamo prenderci un caffè, però dopo devo andare, mi servono poche ore e sarò di nuovo da te.”
“A che ora?”
“Per le 15 sono da te, giuro.”
“Va bene.”
Scendiamo insieme, prendiamo un caffè e usciamo dal bar. Alfonso mi guarda dritto negli occhi, mi abbraccia e con tanta gentilezza mi da un bacio sulla fronte. Poi mi dice:
“Ascolta sempre il tuo cuore, non ti tradirà mai fino alla morte. A volte questa vita è dura, ma si aprono sempre strade che ti portano dove vuoi arrivare. Grazie per tutto quello che hai fatto per me, non te ne pentirai.”
Mi lascia lì e se ne va. Faccio ritorno a casa. Attraverso tutto il parco. Mi siedo sulla panchina, sulla nostra panchina.
Rifletto sulle parole che mi ha detto prima di andarsene. Inizio ad avere pizzichi al cuore. Sta succedendo qualcosa, lo sento. Oddio, sono confusa, non mi sono mai sentita così bene in tutta la mia vita. Vorrei riavere i miei per raccontargli di quei giorni meravigliosi che hanno cambiato la mia vita per sempre. I miei occhi si inumidiscono, due lacrime di gioia e di dolore al contempo scendono lungo il mio viso. Ho cambiato la vita di un uomo, gli ho ridato la voglia di vivere, di crederci ancora, di trovare il suo riscatto. Non so cosa ho trovato io invece, ma di sicuro un amico vero. Solo un amico vero sa abbracciarti senza secondi fini. Solo un amico vero sa farti stare bene e corre da te se ne hai bisogno. Ed è quello che Alfonso ha fatto quando è corso a casa mia, preoccupato per me, e mi ha avvolto nelle sue braccia. Torno a casa e attendo la telefonata dell’avvocato, in attesa che Alfonso torni da me e possa tenermi di nuovo stretta tra le sue braccia. La telefonata dell’avvocato arriva nel primo pomeriggio: “Verso le 17.00 sarò al parco, ho il bambino con me.”.
La gioia che provo è infinita, sono riuscita a far sì che Alfonso possa trascorrere il Capodanno con suo figlio. Attendo tremante il ritorno di Alfonso, sarà una sorpresa unica.
Alle 15.00 suona il campanello, è Alfonso. Apro. Vorrei buttarmi tra le sue braccia, sentirmi di nuovo coccolata, ma non voglio esagerare. Alfonso ha in mano il computer che gli ho prestato. Mi prende per mano e mi porta vicino al tavolo. Apre il computer.
“Non sapevo come fare per sdebitarmi con te. Ma quando mi hai portato in fabbrica ho trovato finalmente il modo di ripagarti per tutto ciò che hai fatto per me. Dimmi se ti piacciono.” , mi dice entusiasta.
Nel computer ci sono disegni di modelli di nuove borse, scarpe, borselli. Non solo, compaiono tanti progetti di bottigline di profumi, contenitori in cartone per le bottigline. Un lavoro che solo un bravo designer può fare. Insomma, Alfonso è scomparso solo per preparare i disegni per me e consentirmi di rilanciare l’azienda. E sono tutti bellissimi. Poi tira fuori la bottiglina che si è portato via dalla fabbrica e mi dice:
“Questa l’ho creata io, sorridevo perché tu l’avevi scelta per copiarla e poi il destino ha voluto che io la ritrovassi nella tua azienda.”
“Alfonso, non ho parole. Credo di aver trovato la persona giusta per far ripartire la mia piccola azienda. Hai fatto un lavoro straordinario in così poco tempo.”
“Può essere solo l’inizio di un lungo percorso. Le idee non mancano, questi disegni sono la marcia in più per avere prodotti che nessuno ha ed essere tu copiata e non tu a copiare gli altri. Avrai esclusive che ti aiuteranno a far accrescere la clientela se saprai puntare anche sulla qualità.”
Se non avessi paura di rovinare questa giornata ricca di sorprese, gli avrei dato un bacio profondo. Anch’io ho una sorpresa da dargli. Non posso rovinare tutto. Guardo l’orologio e mi accorgo che sono quasi le 17, bisogna andare al parco. Questa volta sono io a prenderlo per mano, invitandolo a scendere. Una volta al parco, ci sediamo sulla panchina su cui quest’uomo sognava di rivedere suo figlio.
Fa freddo, appoggio la mia testa sulla spalla di Alfonso per riscaldarmi. Tengo sempre d’occhio l’ingresso del parco per vedere se arrivano l’avvocato e il bambino. Sono agitata. So che sarà un momento emozionante per tutti. Passano pochi minuti e vedo spuntare l’avvocato con il bambino. C’è pure una donna che si ferma all’ingresso e non prosegue. Con un cenno della mano faccio segno ad Alfonso:
“Guarda, sta arrivando il mio regalo di Natale.”
Alfonso si alza di scatto dalla panchina. Come imbambolato, guarda l’arrivo del bambino. Dopo un po’ gli corre incontro e il piccolo fa altrettanto. Si abbracciano tenendosi stretti l’uno all’altro. Poi Alfonso lo alza al cielo come se fosse la coppa del mondo in segno di vittoria. Ammiro lo spettacolo più bello della mia vita. Non sono mai stata testimone di una gioia simile. Il destino mi ha condotto su una strada nuova che, forse, sarà quella che percorrerò per il resto della mia vita. Piango. È un’emozione unica. Ci ricomponiamo e usciamo dal parco.
Nel frattempo la donna è sparita nel nulla. L’avvocato mi viene vicino e mi comunica che entro il 3 gennaio deve riportare il bambino a Bologna. Poi si aprirà un procedimento per ripristinare il diritto del padre di avere il bambino come prevede la legge. Sono contenta. Anzi, strafelice.
Torniamo a casa. Il piccolo è un po’ spaesato, è normale, ma non si stacca un attimo dal papà. Preparo la cena. Dopo due anni d’inferno sento di avere di nuovo una famiglia. Quella che avevo e non ho più. Sono figlia unica, come lo è Alfonso, non abbiamo nessuno, ci siamo solo noi stessi. Trascorriamo una serata allegra tutti e tre insieme. Poi il piccolo si strofina gli occhi per il sonno. Alfonso lo porta a letto. In un attimo si è addormentato. Ci sediamo in poltrona. In casa mia c’è un’atmosfera insolita. Sento delle vibrazioni al cuore che diventano quasi fitte. È qualcosa che non ha nulla da vedere con un infarto. Sono sintomi diversi. Ci vuole poco per capirlo. Alfonso mi stringe la mano, mi guarda negli occhi: “Sei fantastica. Sei una donna speciale che ha fatto tanto per me.”
“Anche tu hai fatto tanto per me, mi permetti di ricominciare a produrre.”
“Che ne sarà di noi dopo queste feste?”
“Tu che programmi hai?”
“Una mezza idea io l’avrei… Sento qualcosa che mi tormenta da qualche settimana. Qualcosa che mi toglie il respiro solo a pensarci.”
“Sarebbe?”
Non c’è tempo per la risposta. Alfonso mi guarda in modo talmente amorevole che ormai non abbiamo più il tempo di tirarci indietro. Mi tira a sé e con quel fare dolce: “Credo di essermi innamorato di te”.
Si avvicina sempre di più, tanto da stringermi in un forte abbraccio. Questa volta l’abbraccio non finisce qui, le nostre labbra si toccano per la prima volta. Un bacio profondo suggella l’inizio di qualcosa inimmaginabile per la mia vita fino a pochi mesi fa. Mi sono innamorata di lui già da tempo, lo sentivo ogni giorno, ma non potevo rovinare tutto. Ho atteso che il tempo scrivesse l’epilogo di questa storia. Il bacio sembra durare all’infinito. Ed è il bacio più meraviglioso mai ricevuto. Alfonso si alza, mi prende in braccio come se fossi una piuma. Mi porta in camera da letto. Io non faccio obiezioni. Lo desidero anch’io. Mi sdraia sul letto e inizia la più bella e straordinaria storia d’amore. Le emozioni che mi trasmette attraverso la sua delicatezza nel fare l’amore sono uniche. Un uomo elegante anche nel sentimento. La sua dolcezza attraversa tutto il mio corpo, facendomi sentire desiderata e amata come non mai. Non me lo aspettavo, ma è successo.
Sono felice, strafelice, ho trovato l’uomo della mia vita. Quello che saprà amarmi fino all’ultimo respiro. Dopo tante sofferenze sto vivendo il Natale più bello della mia vita. Non solo perché ho ritrovato una famiglia, di cui il piccolo ne farà parte a vita, ma questa notte mi farà diventare anche mamma. Non abbiamo voluto attendere nemmeno un minuto per dare una risposta alla nostra voglia di amarci fino alla fine. Sono cosciente che con Alfonso posso coronare il il sogno di una vita: diventare mamma. Alfonso è l’uomo giusto per me.
Ed eccomi qui, alle prese con la mia nuova vita, che non cambierai per nulla al mondo.
La mattina mi alzo presto, preparo la colazione per noi tre. Dopo un po’ si alza anche Alfonso e il piccolo. Facciamo colazione. La mia casa non è più vuota. É di nuovo il 31 dicembre, un altro anno presto ci lascerà. Voglio preparare un cenone di Capodanno con tutto e di più, quindi chiedo di uscire a fare delle compere. Una volta al supermercato scegliamo quello che più ci piace. La sera ci deliziamo con le pietanze che ho preparato nel corso della giornata. Ci divertiamo tanto in attesa dello scoccare della mezzanotte. Mi affaccio al balcone. Finalmente il parco inizia a riempirsi di gente per brindare tutti insieme all’arrivo del nuovo anno. Come una volta. Scendiamo anche noi. Al piccolo abbiamo comprato giochi pirici per farlo divertire, per noi invece una bottiglia di spumante e due calici per festeggiare il nostro incontro nel parco che ha portato all’amore. A mezzanotte stappiamo la bottiglia,
Alfonso mi stringe forte a se e sussurra: “Qui è iniziato tutto, sei la cosa più bella che la vita poteva donarmi. Sei la principessa di questo parco. Grazie amore mio”. “Ti amo, cuore mio”, rispondo.
Dopo anni di sofferenza il mondo riconquista la normalità, tutti noi riconquistiamo la normalità. L’epidemia doveva restituirci un mondo diverso, invece nulla è cambiato, l’umanità è rimasta quella che era se non peggiorata. Alfonso ha sofferto per via della cattiveria umana, per fortuna che il destino l’ha portato in questo parco a pochi passi da me, e insieme adesso riprenderemo un cammino fatto di amore.
Spero che l’umanità un giorno possa cambiare e far sì che questo mondo sia solo amore e non arroganza e presunzione come è adesso.
di Francesco Torellini
I fatti narrati sono esclusamene frutto dell’autore, ogni riferimento a persone o cose è puramente casuale.
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