Ci prendono sempre per folli quando parliamo di lavoro. Non lo siamo, soltanto che viviamo la vita quotidiana tutti i giorni e conosciamo da vicino, a differenza dei politici, la situazione lavorativa italiana e, in maniera più incisiva, quella del sud Italia. Ora arriva uno studio dell’Ocse che ci dà piena ragione.
Secondo lo studio Ocse entro il 2050 in Italia ci saranno più pensionati che lavoratori. Sulla base degli attuali schemi pensionistici, la percentuale di over 50 inattivi o pensionati che dovranno essere sostenuti dai lavoratori potrebbe aumentare di circa il 40%, arrivando nell’aera Ocse a 58 su 100. Nel nostro Paese il rischio è di un rapporto uno a uno o addirittura di più over 50 fuori dal mondo del lavoro che lavoratori.
È da quando siamo entrati in Europa e nella zona euro che scriviamo costantemente della situazione lavorativa italiana in declino. Nel nostro paese sono morte le PMI, ossatura del sistema sociale e lavorativo italiano. Con esse è morto il ceto medio, che era la parte trainante del paese. con due tessuti del genere messi fuori gioco, per l’Italia non ci sarà futuro.
Non condividiamo, nello studio dell’Ocse, il fattore uscita dal lavoro. 67 anni sono troppi come sono troppi 65 anni, a meno ché non si faccia una netta distinzione tra settori lavorativi. Un muratore non può lavorare fino a 67 anni, come non può lavorarci un lavoratore metalmeccanico o altri settori usuranti per la salute umana. Il prolungamento al lavoro toglie ai giovani anche la possibilità di potersi inserire nel mondo del lavoro. È un bumerang che già da diversi anni si ritorce sugli stati.
Infine lo studio spiega che è necessario una maggiore flessibilità nell’orario di lavoro e migliori condizioni di lavoro in generale per promuovere una maggiore partecipazione a tutte le età. Ad esempio, un lungo orario di lavoro può dissuadere alcune persone anziane dal lavorare più a lungo e impedire ad alcune donne, che tornano dalle pause di educazione dei figli, di perseguire carriere lavorative più lunghe. Cattive condizioni di lavoro in giovane età possono portare a cattive condizioni di salute e al pensionamento anticipato in eta’ avanzata. E’ anche importante investire nelle competenze dei lavoratori più anziani. Molti mostrano infatti livelli più bassi di prontezza digitale rispetto ai loro figli e nipoti (l’Italia è agli ultimi posti) e partecipano molto meno alla formazione professionale rispetto ai lavoratori più giovani.