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A Palazzo delle Esposizioni a Roma accoglie la mostra: DNA. Il grande libro della vita da Mendel alla genomica

ROMA- Il percorso inizia con una prima parte storica, dove vengono ripercorse le fasi significative di questa grande evoluzione scientifica, presentando le grandi scoperte di illustri scienziati. La mostra si apre con le scoperte di Gregor Mendel (1822-1884) naturalista, botanico, e monaco agostiniano di origine ceca. Tuttavia egli raggiunse la sua notorietà solo dopo la sua morte, fu indubbiamente uno scienziato all’epoca troppo in anticipo sui tempi.
Nel percorso si comprende quanto Mendel amava dedicarsi alla meteorologia e all’orto dell’abbazia, dove scoprì le caratteristiche variabili delle piante, svelando dopo molti anni di lavoro i meccanismi dell’ereditarietà. Gregor Mendel, oggi conosciuto come il “padre della genetica moderna”, per compiere i suoi esperimenti coltivò e analizzò durante i sette anni di esperimenti circa 28.000 piante di piselli; successivamente impegnò un biennio per elaborare i suoi dati, che portarono a tre generalizzazioni che divennero in seguito famose come Leggi dell’ereditarietà di Mendel.
Si passa poi agli studi di Morgan sui moscerini della frutta ( fondamentali per capire cosa fossero i geni e i cromosomi), le derive razziste dell’eugenetica, fino ai lavori di James Dewey Watson, Francis Crick e Rosalind Franklin per la struttura a doppia elica del DNA.
Nella seconda parte si sviluppano temi sul presente e futuro, presentando i temi della clonazione, della medicina personalizzata dell’ingegneria genetica, della biologia sintetica, con un approfondimento riguardo la genetica forense e lo studio del DNA di specie estinte.
A mio avviso interessante la quarta sezione centrata su biotecnologie e clonazione, organismi geneticamente manipolati, l’industria molecolare. La produzione di organismi transgenici. Nel dettaglio la nascita nel 1996 ad Edimburgo la pecora Dolly e la sua morte prematura nel 2003. Così altri animali clonati in una scenografica “Grande Galerie”, la Cloning Hall of Fame.
A questo corredo di reperti da tutto il mondo si affiancano numerosi exhibit interattivi appositamente ideati per il progetto, video inediti, ricostruzioni spettacolari e apparati iconografici, il tutto in una cornice interattiva e suggestiva.
La mostra è indubbiamente un eccellente strumento informativo e didattico per approfondire in modo semplice ma non banale i settori della genetica e della genomica, e fornisce ai visitatori gli strumenti necessari per comprendere l’impatto che le scoperte in questi campi avranno sulla società del futuro.
La tragedia delle Foibe (profonde cavità naturali a imbuto rovesciato particolarmente diffuse sul Carso) avvenne in due fasi: la prima in Istria, subito dopo l’ 8 settembre ’43. Alla reazione popolare jugoslava contro il fascismo si unirono allora vendette private, anche di matrice etnica, con esecuzioni sommarie e, in qualche caso, alcune vittime furono gettate vive nelle foibe. La seconda fase avvenne durante i 40 giorni di occupazione jugoslava di Trieste, Gorizia e altre località della Venezia Giulia. Sul numero di infoibati non si hanno certezze: alcuni storici della destra hanno parlato di decine di migliaia di vittime, ma questa tesi, contestata dalla maggior parte degli storici, è contraddetta anche da gran parte dei documenti storici disponibili e dal materiale rinvenuto negli archivi dell’ ex Jugoslavia. La foiba di Basovizza, alle spalle di Trieste, divenne l’inghiottitoio più “sfruttato” dalle truppe di occupazione jugoslave. Gli storici oggi concordano sulle cifre: per i due periodi si va da un minimo di duemila a un massimo di quattromila civili italiani, militari o semplici oppositori del regime comunista jugoslavo, uccisi e fatti sparire in queste cavita’ carsiche al termine di processi sommari e del tutto irregolari. Ma dopo la guerra solo poche centinaia di salme poterono essere recuperate e riconosciute.
Il fenomeno dei massacri delle foibe è da inquadrare storicamente nell’ambito della secolare disputa fra italiani e popoli slavi per il possesso delle terre dell’Adriatico orientale, nelle lotte intestine fra i diversi popoli che vivevano in quell’area e nelle grandi ondate epurative jugoslave del dopoguerra, che colpirono centinaia di migliaia di persone in un paese nel quale, con il crollo della dittatura fascista, andava imponendosi quella di stampo filosovietico, con mire sui territori di diversi paesi confinanti.

Redazione

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