L’Italia partecipa attraverso la missione “Antica Babilonia” fornendo forze armate dislocate nel sud del Paese, con base principale a Nassiriya, sotto la guida inglese. La missione italiana ha avuto inizio il 15 luglio 2003. Il 12 novembre 2003 avvenne il primo grave attentato di Nassiriya. Alle ore 10:40 ora locale, le 08:40 in Italia, un camion cisterna pieno di esplosivo scoppiò davanti l’ingresso della base MSU (Multinational Specialized Unit) italiana dei Carabinieri, provocando successivamente l’esplosione del deposito munizioni della base e pertanto la morte di diverse persone tra Carabinieri, militari e civili. Il carabiniere Andrea Filippa, di guardia all’ingresso della base “Maestrale”, riuscì a uccidere i due attentatori suicidi, tant’è che il camion non esplose all’interno della caserma ma sul cancello di entrata, evitando così una strage di più ampie proporzioni.
Una brutta pagina di cronaca che colpì la nostra nazione. A darne testimonianza in esclusiva a Quotidianoitalia.it di quelle ore terribili, sono il brigadiere capo Di Giovanni Paolo e il maresciallo ordinario Visconti Cosimo, che quella mattina erano all’interno della base di Nassirya e rimasero gravemente feriti nell’esplosione.
“Noi eravamo in missione di pace, in supporto alla popolazione irachena, purtroppo il terrorismo non guarda in faccia a niente e nessuno. Io mi trovavo all’interno della base e stavo avviando ufficiali portoghesi che da lì a poco dovevano iniziare la missione al nostro fianco – racconta il brigadiere capo Di Giovanni – Noi facevamo parte del comando di manovra mentre un’altra base era al di là del fiume, poco distante da dove ci trovavamo noi. Il camion cisterna imbottito di esplosivo cercò di sfondare il cordone di protezione, ma i colleghi di guardia aprirono il fuoco colpendo i terroristi e lo stesso camion. L’obiettivo dei terroristi era quello di entrare fin dentro la base e molto probabilmente far esplodere l’intera palazzina, e di sicuro il bilancio delle vittime sarebbe stato maggiore di quello che si è avuto. Il coraggio dei colleghi evitò il peggio, ma per loro non ci fu scampo. Nell’esplosione ci sono stati 28 morti, 19 italiani, e la storia ci consegna 9 morti iracheni, ma io personalmente di corpi ne ho visti molti di più. La loro coltura porta a recuperare immediatamente i corpi e non lasciano il tempo di identificare i cadaveri e fare la conta esatta. Anche io fui colpito dall’esplosione come il mio collega Visconti – aggiunge – Cercammo di attivarci nell’immediato, per quello che era possibile, avevamo numerose ferite che non ci permettevano di fare molto. Nonostante ferito, cercai di recarmi autonomamente nell’altro edificio oltre il fiume, per raggiungere la parte che non era stata colpita dall’esplosione. Anche perché dall’altra parte c’era mio cognato, cercai di raggiungerlo per tranquillizzare tutti che ero ancora vivo nonostante le numerose fratture che avevo in tutto il corpo. Ero cosciente di non resistere molto a lungo per via delle numerose ferite riportate, quindi cercai di aiutarmi con le poche forze che mi erano rimaste, per chiedere soccorso dall’altra parte della base. Furono attimi terribili che rimangono per sempre. È un dramma che ti porti dietro per tutta la vita, anche perché hai visto morire tuoi colleghi che erano lì per portare pace a un popolo martoriato dalla guerra e, invece, avevano perso la vita per mano di terroristi che non amano la pace. I primi mesi dopo l’attentato non sono stati facili, tutto ritornava prepotentemente alla mente in ogni ora della giornata. La sofferenza che ti accompagnava quotidianamente era atroce, anche perché la degenza per le ferite riportate non è stata semplice. Possiamo solo ringraziare che siamo vivi. Oggi qui a Parete è una bella giornata di memoria. Noi sopravvissuti siamo i testimoni di quella tragedia e dobbiamo raccontarla ai giovani per far capire che la guerra non è bella, provoca solo morti”.
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