Lun. Giu 5th, 2023

Inverno 1986. Napoli, via Conte di Ruvo, quartiere Museo. Nella sala del Teatro Bellini, è in corso la prima  rappresentazione del Riccardo III° di William Shakespeare, con la regia di Antonio Calenda, e l’attore esordiente, Sergio Rubini, conclusosi il primo atto, si intrattiene dietro le quinte, in attesa di rientrare per il secondo, quando , nel frattempo, viene raggiunto dal collega Francesco De Rosa, tra i protagonisti della pellicola di Steno “Febbre da cavallo”, il quale si complimenta con lui per aver raccolto l’applauso del pubblico.

“Bravo, Sergiù!, sei stato veramente bravo, complimenti!…lo spettacolo poi è riuscitissimo e il regista , Calenda, è acclamatissimo…insomma, sta piacendo moltissimo!…”, riporta l’opinione della platea, l’attore comico, continuando: “Quindi, sai cosa faccio?, per ringraziarti della bella serata che sto trascorrendo, ricambio con un invito al cinema per vedere il mio ultimo film: il seguito de “I soliti ignoti” di Mario Monicelli, vent’anni dopo… è una pellicola graziosa assaje, vedrai che ti divertirai!…”.

“Grazie dell’invito, Ciccio!…appena finiamo le repliche, la prima giornata libera, faccio un salto al cinema, promesso!…”, replica Rubini.

“Sergiù, ma c’è qualcosa che non va?, io ti vedo strano!…Ma è successo qualcosa?…”,domanda De Rosa, preoccupato.

“No, Ciccio, non è successo niente!…Mi vedi così, teso, perché prima di entrare in scena vado letteralmente nel panico, ma poi, appena si alza il sipario, magicamente,la tensione sparisce!…”, rivela l’attore.

“Ansia?, panico?, tensione?…potevi dirlo prima Sergiù!….Anche io agli inizi della mia carriera ero timoroso, insicuro, poi, applauso dopo applauso, ho trovato la sicurezza in me stesso…Comunque, sai che ti dico?, dopo lo spettacolo andiamo a cena…ti devo parlare di un progetto…”, annuncia l’attore comico, suscitando la curiosità di Rubini, che lo invita, con un cenno del capo, a illustrarglielo: “Sergiù, che ne diresti se io e te riproponessimo a teatro “Napoli milionaria” di Eduardo nella versione cinematografica: quella in cui c’erano Eduardo e Totò…sì, sì , lo so, il paragone non calza, il paragone non regge assolutamente…Io e te , davanti a simili mostri sacri del palcoscenico e dello spettacolo scompariamo proprio…ma il testo è profondo e universale : la Guerra, i suoi riflessi sulla società, sulla famiglia, la” ricostruzione”…e poi, i registri che passano dal comico al tragicomico in una sola scena…Io ci credo!: io credo che , insieme, potremmo farcela!…Sergiù, noi ce la possiamo fare ,perché siamo come i De Filippo quando hanno iniziato: ma tu, la conosci la loro storia?…I fratelli De Filippo, Eduardo, Titina e Peppino, erano tre giovani, figli della sarta Luisa De Filippo e dell’attore e commediografo Eduardo Scarpetta. Loro, non erano  le star, i monumenti sul palco che conosciamo oggi, ma tre persone che hanno lottato, osato, sono state spregiudicate e sono partite dal disagio. Non aiutava essere figli di “N.N.”, Scarpetta, che era  il loro padre naturale,ma poco presente nelle loro vite, alla fine, l’hanno obliato col talento…Loro sapevano di dover stare sempre nelle retrovie. Peppino, affidato appena nato alla balia in campagna, era “ il selvaggio”, detto: “ ‘a scignetella”… A loro tre, toccavano le scale per salire da Zio-papà: in ascensore entravano solo i veri Scarpetta…per non parlare del pranzo o della cena!…Si racconta che il cameriere di Palazzo Scarpetta, ogni giorno, bussasse a casa di Luisa De Filippo per portare loro, le pietanze fredde,  ciò che avanzava, ma i tre ragazzi almeno avevano un pasto, un tetto, la scuola, cose non scontate… Tuttavia, il loro destino sarebbe stato quello di perdenti, se non avessero avuto la forza, il coraggio e l’intraprendenza per ribaltare tutto!… E così, i tre  fratelli hanno modificato le regole del Teatro,ed Eduardo, in particolare, ha avuto una sensibilità per l’avanguardia… Nei  primi anni Venti, infatti, quando Pirandello debuttava al Teatro  Valle con “Sei personaggi in cerca d’autore” e la gente gli urlava: “Manicomio, manicomio!”, Eduardo ne rimase  folgorato….e andò  a Milano, a recitare in lingua, portando meschinità e fragilità in scena , rompendo con la tradizione della farsa, risalente ai tempi di Petito e dello stesso padre, Scarpetta…Da quel momento, il teatro in dialetto napoletano divenne un classico universale, tradotto in varie lingue, pure in russo!…”.

“Va bene, Sergiù, se la metti così, quasi quasi mi convinci!..certo però che l’impresa è titanica…io direi di parlarne con più calma dopo lo spettacolo…adesso, inizia il secondo atto e  tocca a me entrare  in scena!…”, si congeda l’attore, chiosando ,concitato ,prima di uscire dalle quinte per salire sul palcoscenico:”Ciccio, a più tardi,allora!… mi raccomando non ti dimenticare del nostro appuntamento, perché io questa impresa la voglio realizzare insieme a te …Io,  “Napoli milionaria”, la voglio proprio mettere in scena con te ,che sei napoletano, che sei un “figlio d’Arte” di Eduardo… Io e te, come i De Filippo, perché anch’io e te, come loro: “Rivendichiamo il lieto fine!…”.

“Inizialmente doveva essere una serie. Mi chiedevano un’idea e io mi portavo appresso questa storia: i De Filippo che non avevamo mai visto: né solo bambini, né riconosciuti artisti, ma  giovani e squattrinati precari della scena che devono sconfessare il mondo delle farse per trovare identità e futuro. Fino a quella “prima” ,centrale nel racconto , del 25 dicembre del 1931, in cui il terzetto debutta al Kursaal con “Natale in casa Cupiello”. Addosso, umiliazioni e ferite, con cui i figli illegittimi di “Zio-Eduardo Scarpetta” faranno i conti in maniera diversa”. Così, l’attore, regista e sceneggiatore Sergio Rubini, in un’intervista rilasciata a La Repubblica, qualche settimana fa, in occasione dell’uscita nelle sale del film “I fratelli De Filippo”, prossimo alla messa in onda anche in  Televisione.

Nato a Grumo Appula (Comune in provincia di Bari), il 21 dicembre 1959, figlio di un capostazione e di una casalinga, originari di Gravina in Puglia, terminati gli studi Superiori e , diplomatosi presso il Liceo Scientifico Federico II° di Altamura, nel 1978, coltivata sin dall’infanzia e nell’adolescenza la passione per la recitazione, si trasferisce a Roma, per frequentare l’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”, che, tuttavia, non conclude, iniziando a lavorare nei teatri prima della fine del triennio di studi.

Scritturato da registi quali: Antonio Calenda, Gabriele Lavia, Enzo Siciliano ed Ennio Coltorti, per piéce del repertorio classico e contemporaneo, al termine di diverse esperienze in ambito radiofonico, debutta nel Cinema ,nel 1985, con la pellicola di Valentino Orsini, “Figlio mio, infinitamente caro…”, cui seguono i film: “Desiderando Giulia”  di Andra Barzini, e “Il caso Moro”, diretto da Giuseppe Ferrara.

Sottopostosi a un provino per impersonare Federico Fellini da giovane, nella pellicola “Intervista” diretta dallo stesso regista riminese , ottiene il ruolo, per poi esordire come protagonista nel film-esordio di Giuseppe Piccioni, “Il grande Blek”.

La vera e propria svolta, però, arriva solo nel 1989, grazie all’incontro con l’autore e sceneggiatore Umberto Marino, con cui inizia una feconda collaborazione. Nel 1990 , infatti, cimentatosi nella regia, dirige la pellicola “La stazione”, tratta da un’opera teatrale dello stesso Marino, con cui si aggiudica un premio come “miglior film”alla Settimana internazionale della critica al Festival di Venezia.

Forte di tale successo, fra il 1993 e il 1997, dirige : “La bionda”, “Prestazione straordinaria”“Il viaggio della sposa”, film preludio alla maturità come regista e attore, acquisita grazie agli incontri e alle collaborazioni con l’attrice Margherita Buy, divenuta negli stessi anni sua moglie, e con il regista Gabriele Salvatores, che, dal 1997 al 2002, lo dirige nelle pellicole “Nirvana”, “Denti” e “Amnésia”, mettendone in risalto la recitazione surreale e influenzandone  successivamente l’operato da regista e   la nuova serie di film da lui diretti nei primi quindici anni del Duemila: “Tutto l’amore che c’è” (2000), “L’anima gemella” (2002), “L’amore ritorna” (2004), “La terra” (2006), “Colpo d’occhio” (2008), “L’uomo nero” (2009), “Mi rifaccio vivo” (2013) e “Dobbiamo parlare” (2015).

Avvicinatosi tramite Salvatores a un gruppo di attori della compagnia del Teatro dell’Elfo di Milano, quali: Bebo Storti, Antonio Catania, Elio De Capitani, Paolo Rossi, Claudio Bisio, Gigio Alberti e ad altri come Diego Abatantuono e Silvio Orlando, non tralascia di lavorare come interprete per altri registi: recita, infatti, nelle pellicole “Chiedi la luna”, di Giuseppe Piccioni,  “Al lupo al lupo” di Carlo Verdone“Una pura formalità” di Giuseppe Tornatore, “Storie d’amore con i crampi” di Pino Quartullo, “L’albero delle pere”, di Francesca Archibugi, “Il talento di Mr. Ripley” di Anthony Minghella, “Mio cognato”, di Alessandro Piva,  “La passione di Cristo”, di Mel Gibson, “Manuale d’amore”, “Manuale d’amore 2 – Capitoli successivi”; “Genitori & figli – Agitare bene prima dell’uso”, di Giovanni Veronesi.

Collaborato negli ultimi anni con i registi: Alessandro D’Alatri (“Commediasexi”), Giulio Manfredonia (“Qualunquemente”) ed Ettore Scola (“Che strano chiamarsi Federico”), si dedica anche all’insegnamento, tenendo un corso di recitazione cinematografica presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, per la quale realizza progetti didattici come lungometraggi (“6 sull’autobus”  e “Fuori sede”).

Vincitore di David di Donatello , Nastri d’Argento, Globi e Ciak d’Oro e del Premio Federico Fellini per “l’eccellenza artistica” al Bif&st di Bari, fra il 2019 e il 2020, gira lo spot per una nota marca di pasta, e  un film: “Il grande spirito”.

Attualmente nelle sale con “I fratelli De Filippo”, pellicola di cui ha curato la regia, uscita nelle sale nei soli giorni del 13, 14 e 15 dicembre e che sarà trasmessa da Rai Uno il 30 dicembre, della sua ultima opera, ha detto: “L‘autore deve, per me, attraversare territori inesplorati, e diversi. E per avere uno sguardo lungo, non deve essere nel suo tempo, ma stonato, perché non puoi essere allineato con tutto quello che ti circonda. Eduardo era così poco allineato che, a un certo punto, investì tutto per farsi registrare le commedie. E oggi lo conosciamo così a fondo, perché continuiamo a vederlo in tv. Anche oggi, Peppino ci diverte, e ci rassicura, è importante.
Ma Eduardo ci fa stare sulle spine. Abbiamo bisogno di chi solleva lo sguardo, in un momento in cui la pandemia ci ha fiaccati, e ci spinge a vivere alla giornata. Invece, questa vicenda, questi ragazzi, riaffermano il senso dell’orizzonte. E lo voglio dire: rivendico il lieto fine…
Lo ritengo un atto di coraggio, mostra che la provincia e la periferia, non solo geografica, ma sociale, spesso, custodiscono un segreto di futuro, di tenacia. Quando la parte sana del Paese si è rimessa in moto, abbiamo ricominciato non solo a correre per il mercato, ma a pensare, a progettare. È l’umanità quella che va rimessa al centro”.