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Taranto: la città che muore due volte

Avete mai sentito parlare delle acciaierie di Piombino come avete sentito parlare di quelle di Taranto in materia d’inquinamento? Non credo, anzi, non si è mai sentito parlare d’inquinamento fuori misura com’è successo all’ex Ilva di Taranto. Eppure sono due industrie che producono lo stesso prodotto, ma la caciara che è avvenuta intorno alle acciaierie di Taranto non si è sentita intorno a quelle di Piombino. Una si trova al nord, una si trova al sud. Al sud va sempre tutto male, al nord le cose vanno diversamente.
Oggi Taranto è una città che muore due volte: per patologie tumorali e la paura di perdere il lavoro. Da un lato si muore per via di un inquinamento che colpisce prevalentemente i bambini, dall’altro una forza lavoro che senza l’acciaieria non sa cosa fare.
Le responsabilità sono della politica locale pugliese, che non ha saputo vigilare. Poi c’è la responsabilità dei cittadini tarantini, che hanno subito in silenzio quello che gli accadeva intorno. Nessuno ha alzato un dito prima, solo quando il dramma era già consumato, hanno alzato la testa, ma era troppo tardi. Ora, nonostante il dramma c’è, basta chiederlo a tutti quelli che nella città di Taranto sono colpiti da tumore, nessuno chiede che l’acciaieria sia rimossa dall’interno della città e ricostruita altrove. O chiedere a gran voce di fermarla per un periodo di tempo e metterla in sicurezza per il bene della vita. Ora che c’è il rischio che l’acciaieria possa chiudere lasciando senza lavoro migliaia di lavoratori, la protesta si sposta sulla garanzia del lavoro, facendo passare in secondo piano la questione ambientale che riguarda la salute dei cittadini. A piombino è successo tutto il contrario, i cittadini hanno chiesto prima la garanzia per la salute e poi il mantenimento dei posti di lavoro, oggi lì non hanno gli stessi problemi che ci sono a Taranto.
Il dato reale è che a Taranto si continua a subire l’inquinamento dell’acciaieria. Le indagini epidemiologiche della prima Valutazione Integrata di Impatto Ambientale e Sanitario (VIIAS) effettuata sulla popolazione residente intorno al polo siderugico più grande d’Europa, hanno confermato l’aumento di mortalità. La VIIAS curata dai ricercatori di Arpa Puglia, Emilia Romagna, Aress Puglia, delle ASL di Taranto e Brindisi e del dipartimento di epidemiologia della Regione Lazio, ha denunciato come la produzione di acciaio comporti per la salute umana «un rischio non accettabile». Soprattutto per coloro che vivono nei quartieri a ridosso dello stabilimento, a partire da Tamburi. E, aggiungiamo, per gli stessi lavoratori. Quindi c’è da porsi anche un’altra domanda: di sicuro quando è nata l’acciaieria tutto intorno non c’erano case, chi ha permesso di costruire interi quartieri intorno al polo siderurgico? Ritorniamo sempre al punto di partenza: le responsabilità sono di tutti, politica e cittadini. A Taranto si è consumato un conflitto sociale sulla pelle di cittadini e lavoratori tarantini. Sono almeno 9000 le famiglie coinvolte. E per giunta, sul caso Ilva, appaiono in contrapposizione potere esecutivo e giudiziario. Intanto lo scorso 24 gennaio, lo Stato Italiano è stato condannato dalla Corte dei Diritti Umani Europea (Cedu) per aver tutelato la produzione di acciaio piuttosto che la salute e il diritto alla vita privata dei cittadini di Taranto. È il solito business economico che protegge i forti e massacra i deboli. L’acciaieria, come detto, va fermata e messa tutta in sicurezza, con nuovi criteri produttivi che salvaguardano principalmente la salute dei cittadini e dei lavoratori, per poi farla ripartire priva dei problemi che finora hanno ucciso una città che ha bisogno sia del lavoro e sia del diritto di vivere senza essere inquinata. Ci vuole coraggio, quello che manca alla politica, che è fatta di scelte coraggiose.

Redazione

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