Inverno 1974. Roma, quartiere Della Vittoria. All’interno del Teatro delle Vittorie, la sala della Rai adibita a studio televisivo, sono in corso le prove della trasmissione “Canzonissima”, condotta dalla ballerina, cantante e attrice Raffaella Carrà, con la partecipazione del duo comico Cochi e Renato e dell’attore Paolo Villaggio.
Terminato il ripasso della coreografia della sigla iniziale, “Felicità, tà tà”, la showgirl,la esegue , lasciando poi il palcoscenico ai cantanti in gara nei due gironi: quello di musica leggera e quello di musica Folk.
Arrivato il turno del cantautore e cabarettista Toni Santagata, concorrente della categoria del Folk, già noto per il brano in dialetto pugliese “Quant’è bellu lo primm’ammore”, prova la sua canzone: “Lu maritiello”, interrotto ,però,quasi subito da un tecnico, per via di un problema al microfono.
Intanto, due imbianchini, chiamati per riverniciare la scenografia,mentre lavorano, ne commentano l’esibizione.
“’A Mauri’, ma te, c’hai capito qualcosa?, ma ‘sto Santagata che canzone ha cantato?…Bravo, è bravo, niente da di’, ma er dialetto puglise è troppo diffiicile…ce vorrebbe la traduzione!…”, constata Luigi, detto: “Gigi”, il più anziano tra i due.
“Be’, sì, in effetti!…Però, bravo è bravo!…E poi ha già avuto successo una decina di anni fa…’A Lui’, ma te, te la ricordi la canzone “Quanto è bello lo primm’ammore”?… era la sua!, la cantava lui…pensa che è stata la canzone più richiesta alla festa di matrimonio di mia sorella, che si è sposata a Sezze Romano, eh!, mica in Puglia!… perché il marito è della provincia di Latina…Be’, te sembrerà strano, ma lì, anche se non capiscono bene il testo, ‘sta canzone è al primo posto in hit parade!…”, racconta Maurizio.
“Quindi, ‘a Mauri’, me stai dicendo che ‘sto Santagata è più gettonato de Modugno?…A me, però, ‘st’idea de non capi’ quello che canta , nun me piace mica!…io devo capi!’…Oh, le parole so’ importanti, sa?… va be’ il ritmo, ma il significato de ‘na canzone è tutto!…”, constata Luigi.
“Te, c’hai ragione, Lui’, ma Santagata è bravo, pure se non si capiscono le parole delle sue canzoni, nun ce sta niente da fa !”, sentenzia Maurizio.
I due imbianchini, poi, terminata la conversazione, e, ripreso a lavorare, non si accorgono della presenza di Santagata, rientrato in studio per esibirsi, una volta risolto dal tecnico il problema all’audio. Questi, allora, avvicinatosi, si rivolge loro per replicare, dicendo: “ Signori, non ho capito bene: com’è questa storia che le mie canzoni sono difficili?…I miei brani, non sono difficili, sono cantati in dialetto pugliese, che è un patrimonio storico e culturale!…Vedete cantare in italiano, è facile, è la nostra lingua, la lingua di tutti, ma esprimersi in dialetto, che è la nostra lingua madre, è tutta un’altra cosa!…è conservare le radici, è conservare il legame con la terra natia ,le sue tradizioni, gli usi, i costumi, i culti… è ricordare le proprie origini per tramandarle!…Cantare in dialetto, non è un vezzo, un capriccio, una trovata pubblicitaria, ma è un’operazione culturale, vuol dire contribuire alla sopravvivenza della memoria dei nostri avi… Vedete, io ho iniziato una decina di anni fa. Sono partito con l’italiano,poi, accanto a queste composizioni ne ho aggiunte altre in dialetto, perché intuii che si rischiava, di perderne l’uso. Scrissi brani in pugliese per preservare le tradizioni , compresi i piatti locali. I brani in dialetto li ho conservati come piccoli gioiellini, in uno scrigno. Pian piano, in alcune manifestazioni organizzate in circoli dell’élite napoletana, perché ho cominciato a Napoli, quando mi trasferii lì per studio, azzardai introducendo canzoni in dialetto e fui apprezzato. Compresi che quella poteva diventare la mia caratteristica, privilegiando il mio territorio e linguaggio. Io sono orgoglioso, perché la mia è una missione: essere il cantore della Puglia e della pugliesità più autentica e verace!…”.
“’A Mauri’, mi sa che il Signor Santagata c’ha proprio ragione!…”,esclama Luigi, chiosando: “Pure noi, che semo romani, dovremmo fa’ de ppiù per valorizzare la canzone nostra…Va bene il rock’n’roll, vanno bene i Beatles, ma pure “Er barcarolo”, c’ha il suo perché, no?…”.
“Nelle mie serate ,quando ho cominciato , i pezzi in dialetto pugliese divennero più numerosi e mi dissi: “Darò una svolta allo spettacolo italiano attraverso il dialetto pugliese!”. Questi, i miei sogni sin da ragazzo, oggi divenuti “i successi di Tony Santagata”, ma anche pezzi che connotano l’Italia nel mondo. Ho costruito questo mio progetto, giorno per giorno, per anni, lasciando ogni hobby, studiando bene la chitarra, mia amica, quasi una parte del mio corpo, con un lavoro enorme. Ogni risorsa, non solo fisica, l’ho dedicata alla costruzione di quello che poi è diventato “Tony Santagata”. Da sempre, ho avuto coscienza e volontà di far diventare il mio progetto realtà: portare in primo piano la tradizione e il dialetto pugliesi. Oggi, ho la fierezza che questa mia produzione è diventata stra-popolare e che altri artisti l’hanno poi anche ripresa reinterpretandola a modo loro, ma partendo da ciò che ho fatto io. Così, il cantautore e cabarettista Toni Santagata, in un’ intervista rilasciata nel 2018 a una rivista , in occasione della partecipazione a un Festival dedicato alla musica Folk.
Nato a Sant’Agata di Puglia, il 9 dicembre 1935, Antonio Morese, questo il vero nome dell’artista, trascorre un’infanzia modesta, ma felice, rivelando una passione e un talento per la musica, che coltiva parallelamente allo studio. Infatti, diplomatosi,si trasferisce a Napoli per frequentare la facoltà di Giurisprudenza presso l’Università Federico II°, alternando le lezioni alle prove con il suo gruppo.
Quindi, interrotti gli studi e , fatto ritorno a Roma, viene ingaggiato da alcuni locali come l’Embassy, dove propone, fra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, il suo repertorio di canzoni in italiano e in lingua dialettale pugliese , tra le quali : “Quant’è bello lu primm’ammore”, “La zita”, “Li strascenete”, ritenute dai discografici per un pubblico “di nicchia”,sebbene poi la Sunset Record decida di pubblicare il suo primo album.
Contribuito a fondare il Folkstudio, nel 1964, incide il 45 giri contenente i brani: “Quant’è bello lu primm’ammore” e“Miezz’a la piazza”, censurati dalla Rai, alternando alle esibizioni canore quelle di cabarettista e,ideando e recitando scenette ,sempre in dialetto pugliese.
Nel 1967, invece, preso parte, su richiesta dell’impresario Ezio Raedaelli , al “Cantaeuropa”, partecipa in gara Festival “La Barca d’Oro”, tenutosi a Napoli, vincendo la manifestazione con un brano contro la guerra.
Molto legato alla città, alla notizia della scomparsa del “Principe della risata”, Antonio De Curtis, in arte “Totò”,omaggia quest’ultimo di un tributo musicale, componendo e cantando la canzone “Carissimo Totò” , nel corso della commemorazione dell’attore ,svoltasi presso il Teatro Politeama.
Nel 1970, unico ospite del Festival del Cinema di Taormina, dove si esibisce in veste di comico, si trasferisce per un breve periodo a Milano, città nella quale raccoglie un largo consenso di pubblico presso il Derby Club , ottenendo il premio “Bullone d’Oro” come “migliore cabarettista”, occasione nella quale è notato dal regista e scrittore Marcello Marchesi ,che lo invita ad esibirsi nel programma di Rai Uno, in onda in prima serata, “Ti piace la mia faccia?”.
Autore della sigla della trasmissione “A come agricoltura”,non trascura la vita privata, sposa infatti la fidanzata Giovanna Isola, divenendo poi, dopo qualche tempo, padre di Francesco Saverio.
Nel 1971, invitato al programma Rai “Speciale 3 milioni”, durante il quale presenta i brani di sua composizione: Il gallo contestatore, La pagnotta, Un esercito di viole, Il seminatore, gira per i teatri italiani con spettacoli di cabaret e passa dalla casa discografica RCA alla Fonit.
Protagonista di varie manifestazioni ed eventi musicali, quali: “CantagiroSpettacoli”, “Premio Regia Televisiva” e il “Festivalbar”, nel 1973, partecipa in gara a “Canzonissima”, arrivando in finale con la canzone “Austerity”.
Ripresentatosi l’anno successivo, nella sezione inedita “Folk”, con il brano “Lu maritiello”, tradotto in quattro lingue, presentato insieme ai brani: “ Quant’è bello lu primm’ammore” e “La zita”, vince, approdando poi al Festival di Sanremo, con la canzone “Via Garibaldi”, con cui ottiene il premio per il miglior testo, e a Un disco per l’estate , con il brano “Dolce amore”.
Tornato in Tv nella veste di “Comandante”, nel programma per ragazzi “Il dirigibile” ,di cui firma la sigla e altri quaranta canzoni cantate nel corso delle puntate, lascia la trasmissione dopo due edizioni per una tournée internazionale , al termine della quale torna in Rai come autore e conduttore del varietà radiofonico “Cabaret ovunque”, varietà promosso poi , visto il successo, al mezzogiorno della domenica, con il nuovo titolo di “Cabaret di mezzogiorno”.
Nuovamente sul palcoscenico per una serie di concerti, riscuote un largo consenso negli Stati Uniti dopo una serie di concerti al Madison Square Garden di New York.
Forte del successo internazionale, ancora una volta in radio con le trasmissioni: “Miramare”, “Radio taxi”, “Di riffa o di Raffa”, “Radio Punk”, di cui cura anche le sigle, nel 1978, partecipa di nuovo al “Cantagiro” come cantautore e cabarettista, e incide “Squadra grande Squadra mia” sigla di “Goalflah-Domenica Sportiva” , divenuta poi l’inno dei Mondiali di Calcio del 1982.
Tenuti una serie di concerti in Italia, America e Canada, nel 1992, conduce su Rai Uno, insieme con l’attrice e showgirl Sydny Rome, il programma “Ciao Italia”, esperienza, seguita dalla partecipazione in gara al Festival di Sanremo nel gruppo Squadra italiana, con il brano “Una vecchia canzone italiana”.
Nel nuovo Millennio, dedicatosi alla scrittura e alla composizione di opere musicali moderne, tra cui: “Padre Pio Santo della speranza”, rappresentata nel 2002 in Vaticano, presso l’Aula Paolo VI, in occasione della canonizzazione del frate di Pietrelcina ed, eseguita con l’ausilio dell’orchestra e del coro dell’Accademia di Santa Cecilia , diretti dal maestro Lionello Cammarota, e con la partecipazione di Cecilia Gasdia, Mireille Mathieu, Remo Girone, è tra i fondatori della Nazionale di Calcio degli Attori, con cui realizza numerosi incontri a scopo benefico.
Apparso per l’ultima volta in televisione l’11 novembre scorso , nella trasmissione di Rai Uno “Oggi è un altro giorno”, condotta da Serena Bortone, dopo un periodo difficile, dovuto alla scomparsa improvvisa nel 2020 del figlio cinquantenne ,Francesco Saverio, si spegne a Roma, dopo alcuni giorni passati in ospedale, il 5 dicembre scorso, all’età di ottantacinque anni, vegliato dalla moglie Giovanna, con cui ha fatto in tempo a festeggiare i cinquant’anni di matrimonio.
Salutato da familiari e amici nella chiesa degli Artisti, in piazza del Popolo, nel 2018, intercettato a margine di un Festival di musica folk, aveva detto di sé e della sua carriera: “Spesso al termine dei miei spettacoli c’è la standing ovation per fortuna e spero continui così. Il mio è stato un lavoro di “poeta impegnato” che in questi anni mi ha consentito di distinguermi ed esser unico, cantando dal vivo e non in playback. Questo, il pubblico me lo riconosce. A me basta la mia chitarra perché possa esprimermi e se poi c’è l’orchestra, sono contento. Il pubblico è cambiato, all’inizio mi ascoltavano molto attentamente e le persone quasi pretendevano il “nuovo genere” che proponevo. Devo dire che in questi ultimi tempi sta ritornando il gusto di riscoprire “Tony Santagata” anche da parte dei giovani. Oggi, si comprende, forse con maggiore coscienza, il mio percorso artistico, ciò che ho fatto. Ed è bello sentire che, se accenno un brano in una serata, il pubblico mi accompagna cantando il resto della canzone. Mi piace da sempre avere un dialogo con il pubblico ed amo condividere le mie esperienze con loro anche attraverso i social. Oggi, ho la fierezza che questa mia produzione è diventata stra-popolare e che altri artisti l’hanno poi anche ripresa, reinterpretandola a modo loro, ma partendo da ciò che ho fatto io. Mi sono sempre sentito un antesignano ed ho avuto la fortuna di avere delle intuizioni e con l’ironia legata alla satira storica e di costume sono riuscito, già negli anni Sessanta, a far passare concetti forti”.