ROMA- Sentire Renzi nel suo politichese scorretto, fa venire da ridere. In Italia, nel periodo della crisi, tra il 2007 e il 2014, le famiglie sono state costrette a ridurre drasticamente gli acquisti. La diminuzione degli acquisti delle famiglie è costata 80 miliardi di euro, con una contrazione della spesa pari a -3.300 euro a nucleo familiare in 7 anni. Numeri che fanno a cazzotti con le chiacchiere dei politici, che continuano a ribadire che tutto va bene, forse per loro, ma per il paese no. Nel periodo citato si è registrato un generale impoverimento dei cittadini ed è aumentata in modo considerevole la quota di famiglie in condizione di povertà assoluta. Ma la politica non lo dice. Gli uomini dei partiti non lo dicono. E mica so fessi!!!
Oggi in Italia c’è un numero considerevole di uomini onesti disgraziatamente disoccupati. Come ci sono uomini onesti finiti sfortunatamente in mezzo ad una strada, perché lo stato gli ha tolto anche la casa. Mi affanno a ripeterlo continuamente, ma dall’altra parte c’è un potere politico che fa orecchie da mercanti. Strafottenti politicanti che non si immedesimano nelle condizioni di chi ormai deve guardare e desiderare, perché non può comprare. Gente che prima, anche con sforzo, quello che desiderava riusciva ad averlo.
I politici fotografano un’Italia che migliora, mentre davanti c’è un paese in affanno che non riesce più a trovare la dimensione giusta. La disuguaglianza sociale causata dall’euro e la forme peggiore di società. Da un lato troviamo individuai che sono diventati più ricchi di prima, e dall’altra, il ceto medio, ha perso tutto il suo potere. Questa è la dimensione concreta del paese, dove l’90% della popolazione vive in sofferenza e non sa più a chi santo pregare, e c’è un 10% che è ricchissimo e non sa cosa farsene dei soldi.
La perdita del lavoro, la difficoltà a trovarlo, la caduta in povertà hanno raggiunto il Nord come il Sud, le aree metropolitane come i comuni più piccoli. Al Nord sono state colpite con forza le famiglie operaie e di artigiani, di piccoli imprenditori e quelle con a capo disoccupati, e non sono state colpite poco neanche quelle di impiegati. Al sud invece la crisi ha cancellato il lavoro: non c’è più. Al sud ormai lavorano bene, e senza problemi, solo quelli della pubblica amministrazione, per il resto è terra bruciata. La forbice si è ampliata e il peggioramento è stato più forte proprio per chi stava peggio. La grave situazione del Sud si protrae da molti anni e ora ha conosciuto una discontinuità di segno negativo. Il Sud ha raccolto le briciole della crescita e non è riuscito a sfruttare questa nuova opportunità perché mancano le condizioni per farlo. Nel 2015, a fronte di un Centro-Nord con oltre 300 mila occupati in più rispetto al 1977, il Sud si presenta con 600 mila occupati in meno. Ma sono dati superflui, perché parliamo di confronti che sono fatti con il 1977, anno lontano dalla realtà di oggi. Di conseguenza si è innescato anche il fenomeno dell’immigrazione, che ha ripreso forma negli ultimi anni. Una migrazione di cui poco si è parlato, che ha riguardato, secondo l’Istat, 1 milione 600 mila persone in quindici anni, per il 60% dai 20 a 45 anni di età. L’allontanamento dal sud povero ha inciso anche sulla fecondità, che ha raggiunto nel Sud i livelli più bassi del Paese. La gente è andata via quindi meno giovani significa meno figli, e meno lavoro si traduce in minori possibilità di mettere su famiglia.
Il fatto che la crisi abbia toccato, quasi da subito, le zone più ricche del Paese, il nord ricco, ha fatto si che tutti i riflettori della politica sono stati puntati lì, mentre le conseguenze nel Sud sono state in genere sottovalutate. La povertà assoluta nel Sud ha proprie specificità, e riguarda prevalentemente famiglie operaie e con a capo padri disoccupati. Il reddito medio disponibile pro-capite delle famiglie meridionali è il 63% di quello delle famiglie residenti nel Nord, con Campania, Calabria e Sicilia in fondo alla classifica e Bolzano, Lombardia e Emilia-Romagna in vetta. La sfida, quindi, è grande. Si tratta non solo di riavvicinare il Sud al Nord, riducendo le distanze, attraverso l’aumento dell’occupazione in entrambe le zone del Paese, ma anche puntare alla riduzione delle disuguaglianze interne al Sud.
E come sempre i politicanti della bugia facile, da anni dicono che il Sud deve essere visto come una risorsa del Paese. Mai come oggi si deve affermare che il Sud deve essere messo al centro delle politiche economiche e sociali anche come un’opportunità per gli imprenditori di tutto il Paese e d’Europa. Ma i politici continuano a scherzare, ridendo sui problemi, e interessandosi solo dei problemi sei loro partiti di appartenenza. Non usciremo bene da questa crisi se non si capisce che la situazione sta peggiorando, e le conseguenze, anche per le nostre istituzioni democratiche, si faranno sentire.
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