Vittorio Taviani: “L’altra metà di me”
Estate 2012. Roma, carcere di Rebibbia. All’interno di una sala destinata dalla direzione alle attività ricreative , i registi Paolo e Vittorio Taviani incontrano alcuni detenuti della sezione Alta Sicurezza, precedentemente selezionati per recitare nel documentario da loro diretto : Cesare deve m…

Estate 2012. Roma, carcere di Rebibbia. All’interno di una sala destinata dalla direzione alle attività ricreative , i registi Paolo e Vittorio Taviani incontrano alcuni detenuti della sezione Alta Sicurezza, precedentemente selezionati per recitare nel documentario da loro diretto : “Cesare deve morire”, narrazione della messa in scena ,ad opera degli stessi, del “Giulio Cesare” di William Shakespeare. “Salve a tutti!…Oggi , è un giorno molto importante…fra poco inizieremo le riprese del nostro film…”, principia il suo discorso, Vittorio Taviani, continuando: “Prima di affidarvi al nostro valido collega, Fabio Cavalli, che si alternerà con noi nelle riprese, volevo ringraziarvi per la serietà e il coraggio che avete dimostrato mettendovi in gioco!…So quanto ciò non sia facile per voi…questo film,questa “rappresentazione” del “Giulio Cesare”, sarà un viaggio all’interno di voi stessi , ma anche dell’umanità intera…Vedete, io non credo che il male appartenga soltanto a chi , come voi, l’ha compiuto nelle sue forme estreme, distruttive , lesive dell’individuo ,come della società, della comunità cui esso appartiene…Il male è insito nella natura dell’uomo, pertanto : è in ogni uomo!…Ogni volta che ciascuno di noi tradisce, inganna, insulta, ferisce l’altro compie il male!… Tutti uccidiamo qualcuno, prima o poi, in tanti modi e non solo , non sempre, con un’arma…spesso lo facciamo con le parole, dette e non dette…altre volte, invece, con le intenzioni, quelle cattive, già viziate da tornaconti , interessi ed egoismi personali…altre volte ancora , lo facciamo con le bugie, con le menzogne, che , per giustificarci con la nostra coscienza, riteniamo raccontate “a fin di bene”, per “il bene dell’altro”, mentre è alla salvaguardia o all’ottenimento del nostro ,di bene, che miriamo!…Se il bene è divino, il male , dunque, è esclusivamente umano e , quindi, poiché inscindibile dalla natura dell’uomo, privo di una dimensione temporale definita…Esso appartiene ad ogni tempo, ad ogni fase e ciclo della storia e opera, attraverso i secoli , nello stesso , identico modo…Passioni insane e tradimenti, guidano, traviano la vita dell’uomo di ogni epoca…quella di Cesare , quella dell’uomo contemporaneo…Il solo antidoto, il solo rimedio, ieri come oggi, è la consapevolezza, la redenzione…redimersi, “prendere dimora” in un altro io…rigenerarsi, rinascere…è possibile, anche per voi, credetemi!…E tu, Paolo, cosa ne pensi?…Sei stato così silenzioso…Scusate , ma non posso fare a meno della voce di mio fratello… del resto ci frequentiamo da un’ ottantina d’anni…Paolo è l’altra metà di me!…” .
“Era un guardiano della libertà. Vittorio, era come un padre. Mi ha incoraggiato , sostenuto , tolto l’etichetta di “criminale” che portavo cucita addosso. Gli devo tutto”. Così , Salvatore Striano, detenuto-attore del docu-drama “Cesare deve morire”, ha ricordato il regista Vittorio Taviani, appreso della sua scomparsa. Nato a San Miniato il 20 settembre del 1929 , cresce nella provincia pisana insieme con il fratello minore Paolo. Figli di un avvocato antifascista , entrambi, durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale , studiano con scarsa convinzione presso la facoltà di Giurisprudenza e coltivano la passione per il cinema, organizzando proiezioni di pellicole neorealiste presso i circoli del cinema locali, con la supervisione dell’amico partigiano, Valentino Orsini. Nel 1954, decisi ad abbandonare gli studi per dedicarsi alla regia e alla sceneggaitura di film, si trasferiscono a Roma, dove iniziano realizzando cortometraggi per il cinema e la televisione (“San Miniato, luglio ’44”, con il contributo alla sceneggiatura di Cesare Zavattini, “L’Italia non è un paese povero”, film-denuncia sulle conseguenze della metanizzazione del Belpaese, diretto insieme con Joris Ivens). Passati dal documentario al lungometraggio, nel 1962 debuttano sul grande schermo con la pellicola “Un uomo da bruciare”, (ispirata alla vicenda del bracciante socialista Salvatore Carnevale, ucciso dalla mafia), vincitrice del “Premio della Critica” alla Mostra del cinema di Venezia. Messisi in luce con la critica , fra il 1963 e il 1969 continuano a godere del favore degli esperti , realizzando una filmografia: “impegnata , chiara e originale” (“I fuorilegge del matrimonio”, “I sovversivi” e “Sotto il segno dello scorpione”). Conquistata poi, verso la metà degli anni Settanta, la fama internazionale con film quali : “San Michele aveva un gallo”(premio “Interfilm” al Festival di Berlino) e “Allosanfàn”, nel 1977 ottengono la consacrazione con la pellicola , adattamento dall’omonimo romanzo di Gavino Ledda, “Padre padrone”, crudo racconto della lotta di un pastore sardo contro le regole feroci della società patriarcale , premiata con la Palma d’Oro e il Premio della critica al Festival di Cannes e con un David Speciale e un Nastro d’Argento. Inseparabili nella vita ,come sul set, dal 1979 al 1982 firmano, ancora una volta congiuntamente, film destinati ad entrare nella storia del cinema italiano ,quali : “La notte di San Lorenzo”, storia della drammatica fuga di una comunità dai nazisti e inseme inno alla speranza e monito contro ogni guerra, vincitore di David di Donatello e Nastri d’Argento per la regia e la sceneggiatura e di un Premio della Critica al Festival di Cannes. Giurati al Festival del Cinema di Venezia del 1984, nello stesso anno curano ,insieme allo scrittore Tonino Guerra, la riduzione cinematografica di quattro novelle di Luigi Pirandello dal titolo “Kaos”, premiata con un David di Donatello e un Nastro d’Argento per la sceneggiatura, cui seguono le pellicole : “Good morning Babilonia”, epopea pioneristica del cinema e “Il sole anche di notte” , trasposizione del racconto “Padre Sergij” di Lev Tolstoj, presentata fuori concorso al Festival di Cannes. Nei primi anni Duemila , reduci dai successi alterni di “Fiorile” , de “Le affinità elettive”, film, quest’ultimo, tratto dall’omonimo romanzo di Goethe e di “Tu ridi”, ispirato, ancora una volta, ai personaggi e alle novelle di Luigi Pirandello, dopo aver festeggiato l’ onorificenza di Grand’ Ufficiale, tributata a Vittorio dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, si cimentano con la regia televisiva delle miniserie Rai: “Resurrezione” , adattamento del romanzo di Tolstoj e “Luisa Sanfelice”, storia d’amore e di rivoluzione sullo sfondo della Repubblica Partenopea. Tornati alle platee cinematografiche con la pellicola “La masseria delle allodole”, ricostruzione del genocidio armeno desunta dal romanzo di Antonia Arslan, nel 2012 vincono l’Orso d’Oro al Festival di Berlino con il film “Cesare deve morire”, docu-drama sulla messa in scena teatrale della tragedia “Giulio Cesare” di William Shakespeare , ad opera di un gruppo di detenuti del carcere romano di Rebibbia , diretti dal regista Fabio Cavalli. Ideatori di una riduzione per il grande schermo del “Decamerone”, dal titolo: “Meraviglioso Boccaccio”, nel 2017 presentano al pubblico della Festa del Cinema di Roma la loro ultima pellicola : “Una questione privata”, adattamento del romanzo di Beppe Fenoglio. Ammalato da tempo, Vittorio scompare il 15 aprile scorso, all’età di ottantotto anni, nella sua casa romana, lasciando soli i figli e il fratello Paolo. Di lui, ha detto lo scrittore e poeta Gavino Ledda : “Con Vittorio era un piacere chiacchierare di qualsiasi argomento , dal cinema alla musica , lo ricordo sempre prodigo di consigli e incoraggiamenti. Una volta ebbi un malore : mi venne spontaneo chiamarlo. Lui, insieme a Paolo , si precipitò in albergo , portandosi dietro il suo medico e mi rimase vicino fino a quando non ripresi le forze. Ecco , in questo dettaglio, apparentemente insignificante , ritrovo tutta l’umanità e l’altruismo di Vittorio”. “Sarà difficile , non indolore, parlare da oggi , al singolare dei fratelli Taviani”, gli fa eco il giornalista e critico del “Il Secolo XIX”, Fulvio Caprara : “In tutte le mille interviste , in tutti gli incontri internazionali, Paolo e Vittorio hanno sempre parlato con una sola voce , integrando pensieri e parole, venendosi in reciproco aiuto, come se all’uno servisse sempre l’altro per chiarire e capire meglio il proprio stesso pensiero. E soprattutto la visione omogenea del cinema,della vita e della politica , quello sguardo intriso di implicazioni letterarie e poetiche , che ha da sempre caratterizzato lo stile dei Taviani. Denuncia e racconto fantastico , valori civile e ricostruzione storica , melodramma e riflessione morale” .