Lavoro: “Una montagna di chiacchiere in provincia di Caserta”, smettetela…
CASERTA-Sono letteralmente disgustato dalla continue chiacchiere dei politici sul lavoro in provincia di Caserta. Sommato al disgusto c’è anche il disdegno per una classe dirigente che continua a fare promesse senza fondamenta. Non c’è politico, sottolineo non c’è, capace di

CASERTA-Sono letteralmente disgustato dalla continue chiacchiere dei politici sul lavoro in provincia di Caserta. Sommato al disgusto c’è anche il disdegno per una classe dirigente che continua a fare promesse senza fondamenta. Non c’è politico, sottolineo non c’è, capace di dare una risposta ad un problema grande come il lavoro, che in questa provincia è un dramma infinito. Quando parlo di lavoro mi riferisco alla produzione, volano dell’economia e risorsa economica per lo stato. Il lavoro che circola oggi in questa provincia si limita ai dipendenti pubblici, che i cittadini pagano attraverso le tasse. Il lavoratore pubblico è stato sempre soggetto sotto la protezione dei sindacati. In effetti quando si parla di lavoratori pubblici sappiamo benissimo che si tratta di soggetti che non possono essere licenziati in nessun modo, sono i tutelati delle sigle sindacali, guai a toccarli, anche se non servono. Se poi giriamo lo sguardo dall’altra parte, allontanandoci dalla vista del pubblico e tocchiamo con mano il privato, ci rendiamo conto che il lavoro è finito. Le poche industrie esistenti sono in fallimento o hanno già chiuso, potrei citarne tantissime, ma mi limito a dire che il lavoro industriale qui va a “puttane”. Dopo le industrie c’è l’edilizia che ha toccato il fondo. Gli operai edili e i piccoli artigiani dell’edilizia attendono con estrema pazienza che qualcosa si muove, o magari auspicano che al nord, perlomeno lì, riescano a sbloccare qualcosa in modo da poter riprendere quell’immigrazione moderna che per un ventennio ha dato lavoro agli edili della provincia di Caserta. Il commercio e l’artigianato sono allo stremo. Eppure nessuno muove un dito, sembra che tutto vada bene. La politica e i politici attendono che passi la crisi. Purtroppo questa crisi non passerà facilmente, e quando finirà, questa provincia sarà affossata del tutto. Soluzioni possono esserci, purtroppo l’incapacità della politica istituzionale di questa regione, compreso l’indifferenza dei parlamentari casertani, fanno sì che strumenti per rivitalizzare il comparto occupazionale non sono chiesti ai governi centrali. Innanzitutto bisogna chiedere leggi appropriate per la provincia di Caserta, partendo da sgravi fiscali per le Pmi, artigiani e commercianti. Chiedere una tassazione fissa che non superi il 20% del guadagno effettivo in modo da poter far rimanere nelle tasche delle imprese risorse utili da poter reinvestire. Mentre per le nuove attività bisogna chiedere al governo centrale di attuare delle procedure che siano incentrate sull’esonero dalle tasse e dei contributi previdenziali per chi crea nuove impresa almeno per i primi cinque anni dall’inizio dell’attività come avviene in molti paesi europei. Quello che determina la chiusura delle nuove attività in breve tempo, massimo tre anni dall’apertura, è proprio quel carico fiscale e quella pressione dei contributi previdenziali che in questa provincia si accumulano e diventano un macigno insostenibile. Quindi, anche se può sembrare fuori luogo la mia tesi, in effetti è quella che può portare ad una procedura che avvii le condizioni per creare un minimo di occupazione. Purtroppo la provincia di Caserta è un territorio disagiato. Non deve essere mortificante l’etichetta di terra disagiata, poiché il termine serve a capire che qui ci vogliono delle condizioni diverse al fine di creare quelle aperture capaci di dare un po’ di respiro a chi attende un lavoro o per chi vuole tentare una strada autonoma. Quindi i proclami eternamente ascoltati non hanno nessun effetto sulle cose che realmente bisogna fare. Forse i cittadini casertani devono comprendere che gli annunci che spesso giungo da autorevoli politici che arrivano qui a fare promesse, non hanno nessun effetto sul reale, ma è unicamente uno strumento consolidato per farsi propaganda e ottenere in cambio il voto, poi tutto resta come prima. Ormai è così da 40 anni, dai tempi della DC, PCI e PSI, assi portanti della politica casertana che hanno determinato il disastro targato provincia di Caserta, affossandola con clientelismo e assistenzialismo, il resto, quello che serviva per produrre è stato lasciato nelle mani del nord, privando questa terra delle giuste condizioni che potessero far trasparire il bagaglio di risorse umana e professionali esistente in questa provincia. Si sono alternati alla guida dei governi centrali, degli enti provinciali e regionali tutti i colori politici e sigle di partito, ma la sostanza, per chi ambiva ad un lavoro, è rimasta sempre immutata. Tutto ciò si traduce in una netta incapacità politica di tutti, perché tutti hanno governato e non hanno saputo creare le condizioni necessarie per una terra che attende risposte dal dopoguerra. Forse è giunto il momento di girare le spalle a chi ha tradito la fiducia della gente casertana, dando anche soddisfazioni a chi è morto dopo una vita passata alla ricerca di un lavoro e non l’ha mai trovato, ponendoci come obiettivo il cambiamento voltando le spalle alle promesse inconcludenti. Altrimenti, in questa terra, l’unica azienda fertile economicamente e capace ancora di garantire lavoro e occupazione, rimarrà solo la camorra. Non è retorica: in questa provincia ci sono padri di famiglia che cercano lavoro da un anno e non lo trovano. In questa provincia i consumi sono diminuiti drasticamente, segno che le famiglie non hanno più risorse economiche disponibili per i bisogni quotidiani, come non possono più pagare le tasse. Manca poco che in questa provincia i pignoramenti diventano l’unica risorsa per le istituzioni tutte. Quindi, in questa terra maledetta, se non si muove qualcosa nell’immediato, massimo sei mesi, qui finisce male. Una rivolta sociale non guarda più in faccia a niente e a nessuno: privare i cittadini del lavoro, del cibo, e della casa, significa decurtarli della dignità umana, e questo malessere porta dritti ad una mobilitazione sociale che può avere effetti disastrosi.