“Gian Maria Volontè : il volto del cinema militante”In evidenza

“Caro papà , recentemente ti è capitato di chiedermi perché affermo che avrei paura di te . Come al solito non ho saputo risponderti , in parte appunto per la paura che mi incuti , in parte perchè motivare questa paura richiederebbe troppi particolari , più di quanti riuscirei a

“Gian Maria Volontè : il volto del cinema militante”In evidenza

“Caro papà , recentemente ti è capitato di chiedermi perché affermo che avrei paura di te . Come al solito non ho saputo risponderti , in parte appunto per la paura che mi incuti , in parte perchè motivare questa paura richiederebbe troppi particolari , più di quanti riuscirei a riunire in qualche modo in un discorso . Se ora tento di risponderti per lettera ,anche questa sarà una risposta molto incompleta , perchè anche quando scrivo mi bloccano la paura di te e le sue conseguenze , e perchè la vastità del tema oltrepassa di gran lunga la mia memoria e la mia intelligenza”. Con queste parole , lo scrittore praghese Franz Kafka introduce la sua : “Lettera al padre” e, chissà quante volte, anche il fanciullo e , poi , il giovane Gian Maria , avranno pensato e provato a formulare frasi come queste, impronunciabili per la bocca e , inconfessabili, per il cuore. Gian Maria , nato a Milano il 9 Aprile del 1933 ma cresciuto a Torino , infatti, è soltanto un bambino di dieci anni , quando il padre Mario , milite fascista ausiliario di Saronno, al comando della Brigata Nera di Chivasso , riceve l’incarico di catturare e di uccidere i partigiani attivi nella zona. Gian Maria è soltanto un bambino di dieci anni , quando il padre , in seguito a tale efferato delitto , viene arrestato e condannato a morire in carcere . Gian Maria ha soltanto dieci anni , quando la madre , Carolina Bianchi ,un alto-borghese proveniente da una famiglia di industriali milanesi , è costretta , a causa delle precarie condizioni economiche , ad affittare alcune camere della sua grande casa e, a vendere numerosi preziosi. Gian Maria è soltanto un ragazzo di quattordici anni , un adolescente inquieto e ribelle , quando decide di porre rimedio al dissesto finanziario della povera madre , abbandonando gli studi per cercare un impiego e fornirle ,così, un sostegno adeguato. Quindi, sale su un treno carico di immigrati diretto in Francia e qui , nelle campagne assolate dell’ Ille de France, curvo sui campi, trascorre i suoi giorni a raccogliere mele ,domandandosi perchè il destino , il Caso, la Sorte , gli uomini lo abbiano privato delle cure e delle attenzioni paterne. Passano, in questo modo , due anni della sua vita e , il ritorno in Italia , non gli riserva certo una prospettiva migliore : vive di espedienti , chiedendosi imperterrito : ” Perchè , padre, mi hai lasciato solo ? ” . Gian Maria ha sedici anni, quando in suo soccorso giungono le Muse dell’arte e , a mitigare la sua solitudine, spira la dolce brezza della letteratura : la sua famiglia , allora, diventano i libri e, i suoi più fidati confidenti, lo scrittore francese Albert Camus e il drammaturgo tedesco Bertolt Brecht . D’ un tratto, la dea bendata gli concede i suoi favori , frammettendo sulla sua strada i componenti della compagnia teatrale itinerante : ” I carri di Trespi” , cui si unisce in qualità di aiuto- guardarobiere e di segretario . Mese dopo mese , nello scontroso e distaccato ragazzo dagli occhi torvi, germoglia il fiore della passione : scopre che le mani possono anche essere usate per comunicare , emozionare , stupire , creando il miracolo di una realistica finzione scenica . Il giovane Gian Maria incontra la recitazione , il teatro e , nel 1954 , approdato nella Capitale , si iscrive all’ Accademia Nazionale d’arte drammatica dove viene indicato dagli insegnanti come : ” Elemento di grande talento” . Ancora studente, nel 1957, ottiene il suo primo ruolo nello sceneggiato televisivo della Rai radiotelevisione italiana : ” La foresta pietrificata “, con la regia di Franco Enriquez ( tratto dall’omonimo dramma teatrale di Robert E. Sherwood) e , successivamente, viene diretto dal regista Carlo Pavolini in “Fedra” (tragedia del drammaturgo francese Jean Racine) . Gli anni Cinquanta si chiudono con l’ingaggio da parte del Teatro stabile di Trieste e con la partecipazione agli sceneggiati televisivi : “L’ idiota ( romanzo di Fedor Dostoevskij) e Caravaggio ( ritratto del controverso pittore seicentesco) . Il decennio dei Sessanta , invece, è scandito da reiterate esperienze teatrali , quali : ” Romeo e Giulietta ” dell’ inglese William Shakespeare (1960) , ” La buona moglie ” del commediografo veneziano Carlo Goldoni (1963) e , ” Sacco e Vanzetti”, ( storia di due emigrati italiani anarchici , vittime del pregiudizio socio- politico e razziale , diffusosi nell’ America post -prima guerra mondiale), di Mino Roli e Luciano Vincenzoni in cui interpreta Nicola Sacco ( dieci anni più tardi interpreterà Bartolomeo Vanzetti nella trasposizione cinematografica del regista Giuliano Montaldo ) . Il 1964 è l’anno dello scandalo e delle censure : Gian Maria vuole portare in scena , in un piccolo teatro di Roma, di via Belsiana , l’opera di Rolf Hochhuth , “Il vicario” ( indagine sui rapporti tra la Chiesa cattolica e il regime nazista) , il cui debutto è impedito dall’irruzione della Polizia a causa della presunta violazione di un articolo del Concordato . Parallelamente il cinema si accorge del suo temperamento fiero ed estraneo ai compromessi , concedendogli l’onore dell’esordio sul grande schermo con la pellicola del regista Duilio Coletti : ” Sotto dieci bandiere “, cui seguono , tra il 1961 e il 1962 , una serie di film commerciali ( ” A cavallo della tigre ” di Luigi Comencini , ” La ragazza con la valigia ” di Valerio Zurlini ed ” Ercole alla conquista di Atlantide ” di Vittorio Cottafavi ) . Nel 1962 , Gian Maria è : il sindacalista Salvatore Carnevale , le cui battaglie sociali ispirano la pellicola di Valentino Orsini e dei fatelli Taviani , ” Un uomo da bruciare” . Le luci della ribalta , però , si spengono di nuovo : la sua interpretazione intensa e matura , non basta ; la svolta arriva solo nel 1964 , quando il regista romano Sergio Leone gli assegna il ruolo del co-protagonista , il ferale trafficante di alcolici Ramòn Rojo , in uno dei capisaldi del genere spaghetti- western , ” Per un pugno di dollari” . Nel 1965, è ancora Sergio Leone a volerlo sul set di : ” Per qualche dollaro in più ” ,in cui presta voce e corpo al sadico bandito El Indio , acquisendo una notorietà che lo consacra , definitivamente, presso il grande pubblico. Gli anni Settanta, vedono la trasformazione della giovane rivelazione Gian Maria , nell’ uomo, volto militante del cinema italiano, Gian Maria Volontè . Volto e anima , a cui i registi affidano la loro dura e intransigente critica alla classe dirigente italiana, espressa in pellicole di culto , quali: ” Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” , del 1970 ( che conquista due premi Oscar , un David di Donatello e tre Nastri d’argento, di cui uno attribuito al miglior attore protagonista, Volontè ) e “La classe operaia va in Paradiso” del 1972 ,( Menzione speciale al Festival di Cannes ), entrambe di Elio Petri ; ” Uomini contro ” ( del 1970 ) e ” Il caso Mattei ( del 1972, Menzione speciale al Festival di Cannes ) , entrambe di Francesco Rosi ; ” Sacco e Vanzetti ” del 1971 e ” Giordano Bruno ” del 1973 , entrambe di Giuliano Montaldo. L’Italia , è avvolta nella cappa fuligginosa delle stragi terroristiche (1969, Piazza Fontana); è divisa in una rinnovata faziosità , che oppone : ” i rossi ” ( i comunisti) ai “neri ” (i fascisti) ; le sue piazze sono quotidianamente pervase da orde di manifestanti e scioperanti disposti a scontrarsi con le forze dell’ordine per rivendicare, urlando, il proprio diritto al lavoro . La” stagione del terrore” consegna i suoi martiri alla Storia , rendendo vedove, le donne e, orfani, i bambini . La società civile piange i suoi figli : comunisti, anarchici, fascisti , missini istigati a combattere una guerra urbana, da avidi e astuti strateghi di partito, freddi contabili dell’ interesse privato. Volontè non può restare indifferente : fa suo l’impegno attivista, militando tra le fila del PCI, schierandosi in difesa delle minoranze e, realizzando un documentario sulla morte dell’anarchico milanese , Pinelli , avvenuta in circostanze misteriose nel 1970 e, di cui viene incolpato il commissario Luigi Calabresi condannato ,in seguito, per questo dal commando terroristico di Renato Curcio e Alberto Franceschini , ” Brigate rosse” . Il 1976 , segna la rottura definitiva tra il regista Elio Petri e l’attore , a causa dell’insuccesso del film : ” Todo modo” (tratto dal romanzo-inchiesta del 1974 di Leonardo Sciascia) ,grottesca denuncia delle trame finanziarie del governo democristiano. Una serie di decisioni e valutazioni artistiche avventate ( dal rifiuto di girare pellicole di valore quali :” Il padrino” dell’ italo- americano Francis Ford Coppola e ” Novecento” del parmense Bernardo Bertolucci , alla realizzazione di un film , Actas de Marusia : storia di un massacro , a sua detta ” davvero necessario” , poi rivelatosi un passo falso) determinano l’interruzione della sua carriera e , il conseguente addio dato al cinema negli anni Novanta ,preceduto dalle eccezioni fortunate de ” Il caso Moro ” del 1986 , con la regia di Giuseppe Ferrara, premiato con l’ Orso d’argento al Festival di Berlino e di ” Cronaca di una morte annunciata” del 1987 , con la regia di Francesco Rosi e, dall’assegnazione , nel 1991, da parte dell giuria della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia , del Leone d’oro alla carriera . Volontè , negli anni di latitanza dalla macchina da presa , entra in una profonda crisi depressiva che lo spinge , nel dicembre del 1994 , a raccogliere una nuova sfida attoriale lanciatagli dal cineasta greco Theo Angelopoulos con il film : “Lo sguardo di Ulisse” . Ma il suo cuore , stanco di battere, spende un ultimo sussulto, vibrando al suono del ciak ,accompagnato dal comando perentorio , ” Azione”, impartitogli dall’ aiuto- regista , per poi arrestarsi per sempre . Se è vero l’aforisma nazional-popolare che : ” l’esistenza è un viaggio” , Gian Maria Volontè l’ha compiuto per ritrovare qualcuno e qualcosa che riteneva di avere perduto . La volubile alternanza tra la ricerca di un ‘ autorità ( lo Stato) e la sua contestazione e delegittimazione , manifestano il bisogno dell’attore di sublimare il rapporto mancato con il padre : un padre assente da rincorrere e da rifiutare , di cui bramare e invocare l’ amorevole abbraccio per poi sottrarsi alla sua stretta. Un padre che ha avuto bisogno di detestare e , a cui ha dovuto opporsi, per crescere e per imparare ad operare delle scelte – “Essere un attore è una questione di scelta che si pone innanzitutto a livello esistenziale : o si esprimono le strutture conservatrici della società e ci si accontenta di essere un robot nelle mani del potere oppure ci si rivolge verso le componenti progressive di questa società per tentare di stabilire un rapporto rivoluzionario fra l’arte e la vita” – . Noi siamo d’accordo con quanto dichiarato dal regista e sceneggiatore ,Giuliano Montaldo : ” Vedendo Gian Maria Volontè capirete cosa vuol dire il mestiere dell’attore”.