L’Italia non ha utilizzato i fondi strutturali europei disponibili. Di chi è la responsabilità?
ROMA-Siamo alle solite e l’intervista del prof. Enzo Moavero Milanesi, ministro degli Affari Europei, al Corriere della Sera

ROMA-Siamo alle solite e l’intervista del prof. Enzo Moavero Milanesi, ministro degli Affari Europei, al Corriere della Sera di domenica 23 giugno, lo conferma.
Il contenuto dell’intervista è a dir poco sorprendente, perché non basta dire “che l’Italia non è ancora riuscita a spendere circa il 60% dei fondi strutturali europei disponibili” del settennio 2007 – 2013, così come non basta dire che “dei non trascurabili finanziamenti europei per ricerca, innovazione e sviluppo tecnologico riusciamo a utilizzare poco più del 50% della quota a cui potremmo aspirare”, perché ciò non ha senso e si ritorce su chi è titolare del dicastero degli Affari europei non solo di questo governo, ma anche di quello precedente del sen. Mario Monti, quando la responsabilità, sotto il profilo politico, del mancato utilizzo ricade sul ministro per non aver quanto meno impedito che ciò avvenisse.
Che i fondi non vengano utilizzati e l’Italia sia un contribuente netto è un fatto notorio e risaputo da tutti, ma non è questo il punto dolens, ma quello di chi ha consentito che si verificasse questa Caporetto economica per non aver sollecitato o proposto al governo gli strumenti più opportuni per attivare ogni possibile meccanismo di spesa.
Quali? La nomina di “commissari ad acta” perché vigilassero sull’effettiva attuazione dei progetti per garantire l’impiego dei fondi nelle regioni della coesione, da sempre in ritardo di sviluppo, come la Campania, la Puglia, la Basilicata, la Calabria e la Sicilia, nelle quali alcuni governatori hanno utilizzato i fondi in modo frammentario e nella misura in cui potevano soddisfare fameliche clientele.
La costituzione di “cabine di regia” a livello nazionale e regionale per coordinare e vigilare sull’impiego dei fondi per l’effettiva crescita delle regioni in ritardo di sviluppo.
Questi ed altri ancora potevano essere gli strumenti per fare in modo che 30 miliardi di euro già assegnati all’Italia per il settennio 2007 – 2013 rimanessero inutilizzati e denunciarne il mancato impiego a 6 mesi dalla fine del settennio in corso.
Soltanto adesso, in forza di impellenti necessità finanziarie per affrontare in primis il grave problema della disoccupazione giovanile, sul quale il premier Letta sta profondendo un grande impegno in vista anche del vertice europeo del 28 – 29 giugno prossimo, si è pensato di ricorrere entro la fine del 2013 alla riprogrammazione con l’U.E. di questi 30 miliardi per poter rifinanziare in termini reali il programma per la crescita e l’occupazione giovanile.
Ciò vale per gli oltre 55 miliardi che spettano all’Italia per il settennio 2014 – 2020, il cui impiego dovrà essere subito programmato con le regioni della coesione, perché non subiscano la triste sorte dei 30 miliardi del precedente settennio.
C’è da dire, infine, che ciò è possibile, perché l’Italia è uscita dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo ed a patto che resti sotto la soglia del 3% nel rapporto deficit/PIL, altrimenti il nostro Paese ha davanti a sé la strada a senso unico del “disastro”.
Invero, nessuno si può allontanare da questa trincea, perché, come ha detto il premier Letta, bisogna “coniugare crescita e rigore”, che sono le due linee su sui l’Europa è divisa con la Germania in testa ai paesi del Nord Europa filo – austerity.
L’Italia non può fallire l’obiettivo, se non vuole rischiare il default.
di Fiorenzo Grollino